Sotto la lente - Il calcio in Cassazione

Il 23 marzo è alle porte: lunedì sarà infatti il giorno in cui la Cassazione scriverà la parola fine ad uno dei tanti capitoli di Calciopoli, quello dei tre gradi dell'azione penale. Perché poi Calciopoli sanguinerà ancora, chissà per quanti anni, forse per sempre, se qualcuno non si prenderà la responsabilità di fare giustizia fino in fondo: su Moggi e gli altri imputati di Calciopoli, sulla Juventus e anche sul calcio tout court. E comunque la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo cui si è già rivolto Moggi e il Tar adito dalla Juve per il risarcimento di 443 milioni di euro chiesto alla Figc, nonché la possibile richiesta di revisione del processo sportivo ex art. 39 CGS, sono già dietro l'angolo
Sì, perché in questo Grande Imbroglio, come ebbe a definirlo l'avvocato Prioreschi, il legale di Moggi che in questo pasticciaccio brutto ci si è infilato fino al collo per sbrogliare la matassa che stava avviluppando troppe vite.
Ma nel guazzabuglio in cui la Cassazione è chiamata a fare ordine e chiarezza non vi sono solo Moggi & compagni di sventura e la Juventus, vi è anche il povero calcio italiano, un tempo re e ora mendicante.
Quello che in realtà è accaduto nel 2006 è ormai chiaro a tutti: è stato costruito un processo sul nulla, su quel nulla a cui le indagini avevano portato; l'accusa non è riuscita a dimostrare nessuno dei suoi teoremi, che dunque sono rimasti semplici postulati, cioè "affermazioni non dimostrate e non evidenti che vengono comunque prese per vere in modo da fondare una dimostrazione o un procedimento che altrimenti risulterebbe incongruente".
Già, perché i sorteggi hanno dato evidenza di essere assolutamente regolari, le ammonizioni mirate avevano la mira sbilenca e, per quanto riguarda la pistola fumante delle schede svizzere, non era nemmeno caricata a salve, era scarica proprio: non si è mai vista infatti prova meno provata di questa sulla base di telefonate intercettabili ma non intercettate (perché il primo tentativo non corrispondeva alle attese), delle quali non solo non c'è la minima idea del contenuto ma nemmeno l'attribuzione degli interlocutori, fatta con olio di gomito anziché con l'apposito software forense, è minimamente attendibile (livello di approssimazione inferiore al 5%, secondo la testimonianza del perito De Falco). Come si può costruire un'accusa, prima ancora che una condanna, di frode sportiva, per non dire poi dell'associazione a delinquere su questo nulla?
Se a tutto questo aggiungiamo la più che dubbia competenza territoriale di Napoli, i buchi dell'inchiesta, il pasticcio dell'acquisizione (senza rogatoria) dei numeri delle schede svizzere (con De Cillis, il gestore del negozio di Chiasso, rinviato a giudizio per falsa testimonianza), il giallo del video sparito, smontato e rimontato, la mancata osservanza da parte del pm dell'art 358 cpp che impone al pubblico ministero di svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore degli indagati (invece di nascondersi dietro un 'piaccia o non piaccia' che ha smascherato l'intenzione di correr dietro solo ai misfatti di Moggi), come può la Cassazione avallare le condanne?
C'è solo da augurarsi che la Suprema Corte trovi il coraggio e l'onestà di acclarare appieno la natura della Farsa, sbugiardando quanti se ne sono resi complici; in ogni caso sarebbe il minimo sindacale dichiarare che a Napoli non ne han fatto una giusta, con due sentenze che peraltro non riflettono quanto emerso nel dibattimento, ma sono ferme alle informative di Auricchio, anni di udienze buttati alle ortiche; come se tutto fosse già stato scritto.
Non era un mondo perfetto quello del calcio del 2006, e aveva già sofferto di parecchi mali, dalle prime Scommessopoli all'impunita (anzi quasi premiata) Passaportopoli alla Bilanciopoli rattoppata con le solite pezze peggiori del male: chi lanciava ammonimenti (Giraudo sul doping amministrativo e finanziario: "Chi non paga le tasse e gli stipendi per comprare giocatori fa concorrenza sleale. Ci sono società con un livello tecnico assoluto che però non potrebbero permettersi. E' questo il vero problema del calcio italiano") era decisamente scomodo, anche perché dimostrava coi fatti competenza ed efficienza. La cosa migliore era togliere di mezzo queste figure anomale, bisognava solo attendere il momento giusto, anzi il complice giusto, perché già una volta la ciambella era riuscita male, nel caso delle accuse di doping che Guariniello, titillato da Zeman, aveva scagliato contro la Juventus.
Ma, una volta fatto il ribaltone e istruito il Grande Imbroglio, quello che si presentava come il Nuovo Calcio ripulito non fece altro che trasformare quelli che erano al più piccoli malvezzi generali in una deregulation nel cui alveo a spadroneggiare si è insediata una lobby che oggi fa esclamare: 'Aveva ragione Giraudo quando disse: Noi togliamo il disturbo, ma vedrete i banditi che verranno dopo di noi'.
Adesso i nodi stanno venendo al pettine: al di là dello spettacolo sempre più misero offerto dal nostro calcio, per di più giocato in impianti inospitali e fatiscenti, le nuove regole coniate nel 2007 hanno permesso di mascherare una situazione di degrado finanziario che sta generando mostri come il crack del Parma, e si sussurra che sia solo la punta dell'iceberg.
Questo calcio allo sbando, attraversato da continui febbroni (un Calcioscommesse all'ombra della cupola di un'organizzazione internazionale, fallimenti, bilanci in profondo rosso, scandalotti assortiti, dirigenti - a qualsiasi livello - tutt'altro che illibati, politiche federali e di Lega fondate non su competenze ma su scambi di poltrone e favori) merita, lui sì, una Suprema Corte che faccia piazza pulita e metta al bando chi sta distruggendo lo sport che tanto amiamo.