Gli eroi in bianconero: Virginio ROSETTA

Prima di lui il pallone era inteso solo per assestargli solenni calcioni. C’era chi ci si dilettava con palleggi di sconfinata amorosità, come il terzo dei cinque sciagurati fratelli Cevenini, che si fumava cento sigarette al giorno e tutti i portieri della terra, compreso Combi che faceva impazzire in allenamento.
«Noi mordevamo il freno a Vercelli per dover giocare senza prendere una lira», ha raccontato un giorno degli anni Sessanta “Viri” Rosetta, 52 volte azzurro, mille volte campione.
Giocava con la testa, nel senso che usava i due piedi in modo perfetto, evitando scrupolosamente di sporcarsi i capelli sempre imbrillantinati. È possibile che non abbia mai colpito il pallone di testa. Nella sua Juventus, a questa incombenza provvedevano in parecchi, soprattutto Monti e Bertolini.
«È stato il più grande terzino da me conosciuto», ha detto Giovanni Ferrari, «nel gioco di testa non era un campione, ma il suo senso della posizione gli permetteva di fare a meno di quest’arma. Non si allenava molto e per questo in campo non lo si vedeva mai scorrazzare in lungo ed in largo. Sbarrava la sua zona e basta. Quanto agli accordi con il portiere, lui passava il pallone a Combi ad occhi chiusi o, per lo meno, senza guardare. E novantanove volte su cento Combi era là. La centesima volta, beh, era perdonato, tanto più che in genere un gran balzo di Combi ci metteva ugualmente una pezza».
La Juventus aveva preso ad apprezzarlo nella Pro Vercelli. Dal settembre 1923 (da due mesi Edoardo Agnelli era presidente bianconero) dura l’amore juventino. La Pro Vercelli venne a giocare una partita nel primo campo in cemento d’Italia, quello di Corso Marsiglia, ma l’attesa rimase delusa. Rosetta non giocò. Era rimasto a Vercelli come tutti gli altri giocatori della Pro. Avevano chiesto regolari guadagni ed il presidente Bozino aveva risposto con una lettera piena di sdegno: per le gloriose bianche casacche dovevano sentirsi onorati di giocare gratis.
“Viri” Rosetta aveva le idee chiare. Venne a Vercelli il dirigente juventino Roberto Peccei, che sarebbe poi divenuto suo cognato, a proporgli di trasferirsi come impiegato alla ditta dei fratelli Ajmone e Marsan; avrebbe fatto il ragioniere per 700 lire al mese. La Juventus, per le sue prestazioni calcistiche, gliene avrebbe date altre trecento, più 40 mila lire di ingaggio. Estate 1923: “Viri” Rosetta diventa torinese juventino e guadagna mille lire al mese.
Campionato a tre gironi 1923-24. Rosetta gioca mezzala. La Juventus è lanciatissima, ma il Genoa solleva il caso del suo tesseramento. Bozino parteggia per il Genoa ed il tesseramento di Rosetta viene annullato d’autorità. Il vicepresidente Craveri sfida a duello Baruflini, vicepresidente del Milan, i tempi erano questi. Scoppiò uno scandalo che fece tremare il mondo del calcio. Alla Juventus furono annullate le tre gare in cui aveva schierato Rosetta e, di conseguenza, venne retrocessa di sei punti in classifica. La squadra bianconera perse lo scudetto, ma non rinunciò al giocatore.
«Tutto considerato e sommato, venivo a guadagnare mille lire al mese», ebbe a ricordare più volte lo stesso Rosetta, «toccavo il cielo con un dito: all’improvviso venivo a trovarmi ricco e, con me, la povera mamma che insegnava in una scuola elementare e con ansia aspettava il 27, così come mio padre anch’egli impiegato. Insomma, il calcio dava a tutti noi benessere. Mi trasferii a Torino. Intanto la Juventus aveva presentato in Federazione quella lettera che ci aveva spedito la direzione della Pro Vercelli e l’avvocato Bozino, che della Federazione era anche presidente, e che approvava il mio tesseramento per la Juventus. Cominciai a giocare in maglia bianconera impiegato non come terzino, bensì all’attacco, prima come centravanti e poi nel ruolo di mezzala. Era la stagione 1923-24. I gironi che componevano il campionato erano tre. Eravamo in testa al nostro che comprendeva anche il Genoa. Insomma, stavamo correndo, lanciati, verso lo scudetto. Tutto d’un tratto, il Genoa suscitò il caso del mio tesseramento ed i giornali presero a scrivere che “la posizione di Rosetta non è regolare !!!” Il Genoa chiese alla Federazione di indire una assemblea straordinaria per affrontare la questione. Il cuore di Bozino diventò tenero per il Genoa. Venne convocata la richiesta assemblea e la squadra ligure ebbe a suo favore tutte le deleghe delle società della Riviera. Ottenne così l’annullamento del mio trasferimento. Un vero putiferio. Il nostro vicepresidente Craveri sfidò a duello il vice presidente del Milan, Baruffini. La sfida ebbe un’eco clamorosa. Mi sentivo nei panni di responsabile di tutto e me ne stavo chiuso in casa senza più uscire. Nel frattempo la Juventus era stata retrocessa in classifica, penalizzata di sei punti. Non ho mai capito perché sei punti. Fatto sta ed è che quel campionato lo vinse proprio il Genoa».
Campionato 1925-26, l’allenatore è un ungherese inquieto e sentimentale, stravede per Verdi e la lirica. Morirà il giorno della cruciale sfida, giocata tre volte, con il Bologna, Jeno Karoly, primo allenatore moderno del campionato; tattica, strategia, sapeva tutto. La Juventus dominò il suo girone, salvo doversela vedere in finale col Bologna. Primo match 11 luglio a Bologna, Bologna 2 Juventus 2; secondo match: 25 luglio a Torino, 0 a 0. La “bella” destinata a Milano per il primo agosto. Il 28, Karoly muore d’infarto, la Juventus lo onora tra le lacrime. Il Bologna è piegato per 2 a 1. Lo scudetto è dedicato all’ungherese sentimentale, Rosetta è il migliore in campo.
È stato il primo grande stratega difensivo della storia del nostro calcio. I suoi palloni, lunghi o brevi, erano messaggi. Il suo grandissimo senso della posizione, il suo elucubrato pragmatismo, la sua tecnica nel difendere l’1 a 0 evitando inutili sforzi. Il ragioniere insegnava calcio, ed anche comportamenti di vita, a tavola era facile vederlo evitare il bicchiere di vino. Finito di giocare, fu allenatore sapiente. Quando morì, nel 1975, la sua Juventus era tornata vittoriosa come ai suoi giorni.
Il ricordo di Alberto Fasano, su “Hurrà Juventus” del giugno 1975:
Primo a morire (20 ottobre 1940) era stato Umberto Caligaris, stroncato da infarto, in tenuta di gioco, mentre partecipava ad un incontro tra “vecchie glorie” sul campo di “Piazza d’Armi”, insieme ai suoi due inseparabili compagni, Rosetta e Combi. Quest’ultimo, il portiere, rimase vittima anche lui di un attacco cardiaco, nei pressi di Imperia, il giorno di Ferragosto del 1956. Rosetta, invecchiato precocemente, aveva tuttavia resistito a lungo agli attacchi del male. Domenica mattina ha chiuso gli occhi per sempre. Aveva 73 anni.
Che cosa possiamo dire che già non si sappia di “Viri” Rosetta ??? Che fu il più inglese dei difensori italiani e, senza dubbio, uno dei più grandi terzini del calcio mondiale nell’epoca a cavallo tra le due Guerre Mondiali; ma nemmeno questa è una novità. Più interessante, ci pare, è ricordare che Rosetta fece involontariamente nascere il primo putiferio calcistico, dando praticamente il via al professionismo in Italia. Sono cose che meritano di essere raccontate.
“Viri” aveva forse già fatto parlare di sé quando Edoardo Agnelli decise che era fatto su misura per la Juventus. Veramente Sandro Zambelli, con intuito e prontezza, fin dal 1918 si era accorto che quel biondino, visto giocare per caso, nascondeva talento e classe della qualità più genuina. Subito gli aveva messo davanti un cartellino federale, che venne regolarmente firmato nel corso di una cena in una trattoria vercellese. Il cartoncino, impreziosito dall’autografo del giocatore, tornò nelle tasche del dirigente bianconero e, qualche ora dopo, finì in un cassetto della scrivania dello stesso Zambelli, dove rimase parecchi anni.
Terminata la guerra, ripresero i campionati e Rosetta, che aveva iniziato la sua carriera nella Pro Vercelli come centravanti, continuò a giocare nella squadra delle bianche casacche, impiegato come terzino, segnalandosi per la sua bravura. “Viri” era figlio di una maestra, era cresciuto con pochi sogni e molta ragionevolezza in un tipico clima provinciale attento al sodo. Sapeva di valere e, precorrendo i tempi, quando un giorno, in termini un po’ avventurosi, la Juventus precisò le sue offerte, ne valutò innanzi tutto il contenuto concreto. Sicuramente non immaginava di dar vita ad un autentico “giallo”.
Tutto prese corpo da una lettera che la presidenza della Pro Vercelli aveva inviato ad ogni suo tesserato, nell’estate del 1923, a salvaguardia dello spirito dilettantistico. Qualche giocatore lo aveva messo in discussione: tra questi, sicuramente, Rosetta. La lettera dichiarava in tono perentorio che chiunque lo desiderasse era libero di lasciare la società. Forte di questo documento, “Viri” accettò le proposte avanzate dal dirigente juventino avvocato Peccei e decise di passare alla società torinese, previo benestare dell’avvocato Bozino, presidente della Federazione e (guarda caso) anche massimo dirigente della Pro Vercelli. Così Rosetta firmò un cartellino per la Juventus (dimenticando di averne già firmato un altro davanti a Zambelli). Purtroppo il nullaosta rilasciato con la famosa lettera dai dirigenti vercellesi non aveva alcun valore per le autorità federali: un diabolico pasticciaccio, nel quale si trovarono coinvolti sia Rosetta che la Juventus.
Rosetta esordì nella Juventus il 23 novembre 1923, all’ottava domenica di campionato, in qualità di centrattacco. Segnava stupendi goals, segnò anche quello della vittoria contro il Genoa primo in classifica; furono proprio i dirigenti del sodalizio ligure che, allarmati per la crescente serie di vittorie juventine, chiesero alla Federazione di promuovere una assemblea straordinaria per discutere il “caso Rosetta”. L’avvocato Bozino si rimangiò gran parte della recente condiscendenza ed al giocatore venne annullato il secondo tesseramento, ritenendosi valido soltanto il primo che lo teneva legato alla Pro Vercelli. L’atmosfera si arroventò a tal punto che il vicepresidente della Juventus, avvocato Enrico Craveri, sfidò a duello il vice del Milan, Baruffini: solo in extremis la contesa fu scongiurata. L’idea di risolvere le vertenze secondo il codice cavalleresco era molto simpatica; oggi i due dirigenti si sarebbero insolentiti assai più banalmente a viva voce o a mezzo della stampa. Il frastornato Rosetta, colpito da squalifica, non venne più utilizzato in quel campionato e la Juventus venne penalizzata di sei meritatissimi punti, la cui sottrazione consentì al Genoa di vincere lo scudetto.
Poi, scontata la squalifica, Rosetta ricominciò a giocare, facendo coppia, come terzino, prima con Gianfardoni, poi con Bruna (non disdegnando frequenti apparizioni come attaccante, nel ruolo di mezzala destra) quindi con Allemandi, con Ferrero ed, infine, con Caligaris. Con la maglia bianconera “Viri” giocò 338 partite, realizzando 29 goals. Con la maglia azzurra ne giocò 52, di cui 26 insieme a Combi ed a Caligaris. Vinse otto scudetti: due con la Pro Vercelli e sei con la Juventus: un autentico record. Quando il terzino venne convocato per la prima partita in azzurro, aveva soltanto diciotto anni: la classe non matura, irrompe. Il suo amico Caligaris giocò in nazionale quando non aveva ancora compiuto ventuno anni.
Confessiamo il nostro imbarazzo nel parlare di Rosetta senza coinvolgere nel discorso “Berto” Caligaris, arrivato alla Juventus dal Casale. Erano due tipici prodotti del calcio provinciale, diversi come temperamento, come carattere, come gioco. Rosetta apparve subito come giocatore completo; affinò in seguito il suo gioco con l’esperienza, ma non ne mutò più la base. Elemento calcolatore, freddo, positivo il vercellese; entusiasta, tutto fuoco, irrompente il casalese. Il primo studiava l’avversario, il secondo lo investiva. Questo diverso comportamento in campo traduceva il diverso carattere dei due atleti: di poche parole, riflessivo, osservatore Rosetta; espansivo, tutta cordialità, esuberante Caligaris. Giocarono, come abbiamo detto, per molti anni insieme, completando gioco e caratteri e formando la più bella coppia che mai sia stata vista in tutte le nostre nazionali.
Caligaris è stato l’ultimo fiore del giardino casalese, un fiore prodigioso sbocciato su una pianta già rinsecchita; da parte sua Rosetta ha chiuso con un capitolo superbo il romanzo del calcio vercellese, uno dei più belli che il calcio italiano abbia scritto. Si trovarono insieme alla Juventus e furono i capisaldi difensivi della famosa squadra del quinquennio. Il gioco dell’uno completava quello dell’altro. Rosetta schermiva di astuzia con l’avversario, fingeva d’attaccarlo, voleva indurlo in errore; Caligaris non gli lasciava tempo di tirare il fiato; il calcolo di Rosetta integrava lo slancio del compagno. Agivano d’accordo, senza parole e senza cenni, istintivamente collegati in ogni momento dalla comune intelligenza di gioco. D’accordo tra loro e d’accordo con il portiere, il grande Combi. Abbiamo visto una volta Rosetta passare al volo, su calcio d’angolo, la palla a Combi, da due o tre metri: ai tifosi venne la pelle d’oca. Il segreto di Rosetta e Caligaris era di mai distrarsi: quando uno si muoveva, l’altro già sapeva cosa intendesse fare. Giocarono insieme i più begli anni della loro carriera ed insieme la chiusero.
Ad Amsterdam, nel torneo Olimpico del 1928, Virginio Rosetta venne apprezzato e considerato come il miglior terzino. Avendo iniziato la carriera in qualità di attaccante, il biondo “Viri” conosceva tutte le malizie degli “avanti” e con l’aiuto di una classe superiore e di mezzi atletici favolosi sapeva neutralizzare qualsiasi insidia portata nel settore di sua pertinenza. II tutto con estrema freddezza, con un comportamento controllato e raziocinante. Era fortissimo incontrista e battitore di assoluta precisione. Longilineo puro, ogni suo gesto era improntato a notevole stile; era educato come vorremmo fossero ancor oggi i nostri giocatori. Quando subiva violenze non smaniava: prendeva atto e puntualmente restituiva. Fu senza dubbio un classico antesignano della fluidificazione difensiva.
Chi lo ha visto giocare non lo dimenticherà mai più; chi lo ha conosciuto, non potrà fare a meno di ricordarne le doti di serietà, di grande umanità. Un vero gentiluomo, un autentico campione. La Juventus oggi abbruna le sue bandiere: con “Viri” Rosetta è scomparso uno dei più famosi suoi giocatori di tutti i tempi.