Moby Dick - Marotta, apologia del provincialismo o precisa volontà di ridimensionamento?

Editorialista del mensile "Calcio 2000" fondato da Marino Bartoletti e collaboratore di Carlo Nesti (Nesti Channel). Conduttore e autore del programma "Parliamo di calcio", in onda su Rtg Puglia. Vincitore del premio "Miglior giornalista di Puglia".
08.09.2010 01:20 di  Alvise Cagnazzo   vedi letture
Moby Dick - Marotta, apologia del provincialismo o precisa volontà di ridimensionamento?
© foto di Matteo Gribaudi/Image Sport

Così narcisista che semmai dovesse paragonarsi ad un mito dell’antica Grecia mai direbbe Narciso, bensì Giove Pluvio, il direttore generale Marotta non pare aver ancora metabolizzato la sconfitta di Bari. Partorita a corredo dell’ennesima sconcia prestazione, imbottita di mero podismo spinto, e da qualche inquietante amnesia, non soltanto difensiva, tanto da concedere un profilo meno doloso alla disarmonica interpretazione di uno schema, lo stereotipato 4-4-2, assai elementare nella sua appli-cazione, eppure non ancora fagocitato da una Juventus tutt’altro che famelica nell’apprendimento. Un quadro tattico, quello del 4-4-2, strumentalizzato da Del Neri al fine di riassettare l’organico sa-crificando, a causa di una intransigente miopia tattica, assai frequente negli allenatori integralisti, il talento indefinito, ed indefinibile, del brasiliano Diego. Al netto di un mercato scadente, impostato sul teorema, provinciale, del risparmio. Fatta eccezione per gli arrivi del terzino francese Traorè, per il cui riscatto occorrerà intavolare una laboriosa trattativa con Arsene Wenger, abile venditore come matrice alsaziana impone, ed Aquilani, la monumentale campagna acquisti bianconera è parsa gal-leggiare su di un manto di assoluta mediocrità.
Nonostante il quantitativo economico stanziato, e dilapidato, per ingaggiare due tornanti normolinei nel rendimento, come Martinez e Pepe, declinazione perfettibile di una punta malmessa trasformata in esterno per manifesta disperazione, oltre che per incapacità realizzativa, la decisione di investire l’intero ricavato proveniente dalla cessione di Diego al Wolfsburg, in una doppia partita che ha visto la Wolkswagen surclassare la Fiat, sul confusionario Quagliarella non pare rispecchiare i canoni di una squadra che andrebbe costruita per vincere, e non per stupire o tentare l’alterna sorte. Senza doversi necessariamente aggrappare al talento, grezzo, di qualche comprimario prelevato in provin-cia, spremendo oltremodo il talento in esaurimento di capitan Del Piero. Uno che, all’età di trentasei anni, non può e non deve pretendere quella titolarità a prescindere negata, negli anni, da Capello e persino da Lippi. Le continue giustificazioni formulate dalla nuova nomenclatura dirigenziale, come se non bastasse, sembrerebbero denunciare una totale sfiducia nei confronti di una formazione già macchiatasi di un esordio stagionale ai limiti della decenza.
Quando, in un campionato altrettanto competitivo, quello tedesco, il Bayern Monaco seppe rilancia-re le proprie ambizioni nel giro di una sola estate, riscattando immediatamente una annata deludente sotto ogni profilo. Allontanando lo scetticismo derivante dalla “retrocessione” in Uefa, una vera e propria onta per la società bavarese, capace di reagire con un immediato investimento sul mercato. Mediante l’acquisto di giocatori di qualità, come Ribery ed il Toni goleador oramai appassito a Ge-nova, anche grazie ad una capillare e febbrile attività di rafforzamento dell’intero organico. Tornan-do immediatamente a vincere, ed a partecipare, nel giro di un triennio, alla finale di Coppa dei Campioni. A conferma di come i mancati introiti economici, derivanti da una stagione negativa, non possano, e non debbano, incidere o rappresentare una giustificazione in caso di ulteriori fallimenti. Difficile, alla luce di tale concreto esempio, tollerare le prese di posizione di Beppe Marotta, pronto a difendere le scelte sbagliate sino ad ora compiute, nonostante l’impietoso, ed oggettivo, riscontro del campo. Sicché, faticare oltremodo al cospetto di un Bari dinamico ed aggressivo ma non ancora irresistibile, senza riuscire a metabolizzare, dopo quasi tre mesi di allenamenti, i sincronismi, basici, dell’elementare 4-4-2, significa conclamare, indirettamente, l’incapacità di un allenatore nel comu-nica la formula tattica migliore. O quantomeno battezzare come fallimentare il lavoro svolto in estate nell’individuazione degli elementi ritenuti, a sproposito, adatti a recitare il proprio ruolo.
Spendere quindici milioni per una punta assai stitica a livello realizzativo, il vituperato Quagliarella, panchinaro di lusso nel Napoli sudamericano di Mazzarri, mai utilizzato nel ruolo di seconda punta, considerando la propensione morfologica ad interpretare il ruolo di esterno in un tridente offensivo, come accaduto con la maglia dell’Udinese, del Napoli e persino della nazionale, palesa una incapa-cità di fondo nel riuscire a scegliere, ed a reperire, un attaccante idoneo ad ereditare i galloni della titolarità. Senza dover, per forza, violentarne le caratteristiche. Quando, a conti fatti, con la mede-sima somma, Marotta avrebbe potuto acquistare il bomber Maxi Lopez dal Catania, portando in Piemonte un centravanti vero, in grado di scollinare l’ostacolo, apparentemente insormontabile,, dei quindici centri. Il centravanti argentino, con trascorsi nel Barcellona di Ronaldinho, avrebbe persino potuto esaudire la richiesta del doppio centravanti formulata da Del Neri, facendo valere la propria prestanza fisica all’interno delle aree di rigore avversarie, più affollate di un bordello degli anni trenta. Un errore, quello di modificare la genia tattica degli elementi in “rosa”, che ha influenzato anche le scelte degli esterni di centrocampo. Sui quattro a disposizione, non è infatti contemplato un mancino puro. Con il solo Pepe, umanamente predisposto al martirio, capace di occupare indistin-tamente entrambi i ruoli, seppur con i medesimi scarsi risultati. E fosse solo la pazienza l’ingrediente mancante in questa strana minestra bianconera…


CHI E' ALVISE CAGNAZZO - Giornalista, autore e conduttore televisivo. Vincitore del premio "Miglior giornalista di Puglia" sezione carta stampata - sport, istituito dall'Ordine dei giornalisti. Diventando il primo giornalista non pugliese, oltre che il più giovane, a riceverlo. Collabora con Carlo Nesti, www.carlonesti.it , per il quale è editorialista della rubrica "Punti di vista", sorta dalle ceneri della "Scheda del lunedì".
E' conduttore, oltre ad esserne autore, del popolare programma televisivo "Parliamo di calcio", in onda su Rtg Puglia in prima serata. Collabora con il giornale "Puglia".
E' firma di Calcio2000, mensile nazionale ed internazionale, diffuso in trentadue paesi stranieri, fondato da Marino Bartoletti.