Ieri ? Moggi è domani

Luciano Moggi è un opinionista. Da domenica, con “Ieri, Moggi e domani” sui vostri migliori canali, ricomincia a farlo sul serio. Si, le rubriche sui giornali. Ma se vai in tv è tutto un altro sentire. Da domenica ricomincia a romper le frasi già fatte a quel calcio italiano che avendo fatto la pace dopo aver fatto la guerra a lui sa che le guerre le vince solo lui. E che solo quando sarà vinta l’ultima falsa pace ci sarà pace vera. Luciano Moggi ha delle opinioni. Non dovrebbe, naturalmente. Ci sono due categorie di lettori suoi. Quelli che lo psicanalizzano manco fosse la madre, e peggio di Cossiga ai tempi del piccone. Quelli che si chiedono cosa ci sia dietro e cosa gliene venga. Quelli che lo leggono per farlo stare zitto. E poi quelli che lo leggono e se ne stanno zitti.
L’opinionista Moggi invece si diverte. In un mondo contraddittorio si muove contraddicendo. In un mondo dove ha guadagnato e fatto guadagnare è pericolosamente senza tornaconto. In un mondo per eccellenza opinabile epperò pesante non prende troppo sul serio dall’alto d’essere l’unico chiacchierone ad aver fatto sul serio. La gente lo segue, il resto lo insegue. Troppo popolare. Troppo leggero. I sapienti ne sparlano, i dotti lo incalzano, i seriosi da quando Moggi opina non possono più permettersi le ferie da se stessi. Lo si vorrebbe non solo fuori dai giochi. Persino fuori dal gioco. Moggi è un numero primo che non soffre solitudine. Fa monologhi nella terra della caciara. Parla da solo nella dittatura della democrazia del pallone. Gli opinionisti opinano. Si contano. Vorrebbero che fosse l’uomo in meno. Non gli fanno nemmeno gli auguri per paura che le parole che usano loro vadan davvero in bocca al lupo. Vorrebbero che se proprio deve essere presente almeno segua un copione. Rispondesse alle domande. Vogliono sempre che Moggi risponda di qualcosa. Ma lui prende posto, il suo. E da solo perché conosce tutti quanti e tutti i posti. E comincia a ricordare. Le domande sono inutili quando sei Moggi. Quando sei Moggi hai comunque qualcosa da confessare. Non basterebbe una domanda sola. Ma quelli son tanti. E in tanti pensano Moggi debba parlare. Peggio. Che un Moggi debba sapere. E allora lui ricorda.
Ricorda che ha voluto sempre far calcio. Più l’hanno insultato e più gliene é venuta voglia. Non ha dimenticato gli inizi, gli anni ’70, i nuovi talenti, il vecchio stile. Allodi, Boniperti, la prima Juve, i primi applausi. Lacrime e risate. Tutti i maestri e i nemici per i quali si è esibito. Ricorda chi ha permesso al Toro i migliori piazzamenti dopo lo scudetto. Secondo posto l’anno del sorteggio integrale, un paradosso etico, la squadra di Moggi quasi vince lo scudetto nientemeno nell’anno più pulito. Poi terzo e due finali, Coppa Uefa e Coppa Italia, la volta che vi è ritornato. Ricorda chi ha portato in quel Toro Leo Junior, chi ha strappato Shackner a tutte le grandi quando era un crack di mercato, chi Scifo, chi ha valorizzato e bene venduto Lentini. Non ha ancora dimenticato chi ha permesso ai napoletani di tenersi Maradona altri tre anni, quando Diego voleva andare a Marsiglia, chi ha permesso Coppa Uefa, scudetto, chi ha fatto anche meglio di vincere cioè continuare, chi ha preso rifacendo la squadra Crippa e Alemao l'ultimo giorno quando erano già della Roma, chi ha scovato e investito su Gianfranco Zola. Ricorda anche più indietro nel tempo chi ha portato alla Juve Rossi, Gentile, o alla Roma Roberto Pruzzo. E poi la Juve. Dodici anni, un affare. Vero, grande. I sette scudetti, la Cl, quanti amici, quante paia di scarpe. Tutti i giocatori, tutte le volte che aveva la voce bassa e aveva da parlare. I palloni. Persino Berlusconi dovette scomodarsi per quel fenomeno di Moggi. I presidenti che lo aspettavano fuori i ristoranti, sotto casa, dentro una telefonata. Non l’amavano, era peggio. Lo sentivano potente. Ricorda che volevano conoscerlo, ricorda che volevano da lui una cosa sola. Ricorda tutto. Non è vero che vincere ti fa dimenticare. E chi è che non ha vinto con Luciano Moggi. Soltanto alcuni. E non sanno quello che si sono persi.
Soprattutto Moggi ricorda qual era il calcio di Moggi. L'ha visto. Ed è per questo che non deve sapere più niente, e che se quella domenica a Bari gli han portato via l'anima, da quella domenica in poi in tutti i dibattiti e in tutti gli scontri, in tutti i posti e in tutti i modi quelli che hanno buona memoria un pezzo d'anima l'hanno data al suo posto. Oggi che così ha più vite può parlare da ieri a domani. Oggi che così di anime ne ha più di una l’uomo in meno è ancora l’unico con qualcosa in più.