Tre partite alla fine: la Juve ha quel che serve per vincerle tutte o perderle tutte. Perché il ritorno di Allegri è stato un flop ma parlare di fallimento ha poco senso

Come il gatto di Schrödinger, sta la Juventus. Mancano tre partite alla fine, ha tutto quel che serve per vincerle, ma anche per perderle. In due casi su tre, conta davvero poco se non per l'orgoglio di chiudere in bellezza una stagione difficile. E magari salutare nel migliore dei modi il suo capitano, già che c'è. Prima delle due gare di campionato, la Coppa Italia. Su di essa, breve premessa: a giudizio di chi scrive, battere l'Inter all'Olimpico non basterebbe a salvare l'annata dei bianconeri. Certo, perdere sarebbe ancora peggio. Ma i trofei si pesano e non si contano: con un pizzico di onestà, alzare la Coppa Italia - senza squalificarla a coppetta - importa davvero soltanto a chi non può vincere altro. Di solito, non è questo il caso della Juventus.
A prescindere dalla finale, il ritorno di Allegri resta deludente, ora che siamo vicini a poterne tracciare un primo bilancio. Le attenuanti non mancano, dalla frettolosa cessione di Ronaldo in giù. E si resta dell'idea che, almeno, mezzo passo in avanti rispetto alla scorsa stagione sia stato fatto: trofei o meno, di questi tempi un anno fa la Juve era un gruppo di giocatori che sembrava remare ognuno per fatti suoi. Oggi è quasi una squadra, almeno nelle intenzioni. Tornando alle premesse: ha abbastanza qualità da poter vincere con chiunque e sufficienti limiti da poter perdere con chiunque, ma quantomeno s'intravede una direzione in cui andare. Fermo restando che, per parlare di sufficienza, serve ben altro e non può certo bastare l'accoppiata quarto posto più Coppa Italia, se sarà.
Qual è il confine tra delusione, flop e fallimento? Molto sottile, e in fin dei conti cambia poco. È questione di terminologia: al di là di qualche opinione che pure lecitamente circola, non c'è alcun problema a parlare di fallimento, se si vuole: non lo vieta nessuno. Il punto è che serve a nulla, ha poco senso: fallimento è una parola definitiva, che prelude a qualcosa di diverso. Dato che questo non accadrà comunque - e del resto sarebbe schizofrenico cambiare il terzo allenatore in tre anni - interrogarsi lascia il tempo che trova. Piuttosto, a ciascuno il suo: ad Allegri il compito di trovare un'anima a una squadra che troppo spesso gioca il peggior calcio della Serie A. E, bene chiarirlo, non se ne fa una questione estetica. Alla società, mettergli a disposizione una rosa più compiuta e più rispondente alle sue esigenze. Di centrocampo si discute tanto e da tempo, ma è un discorso generale: senza far drammi, a prescindere dal manico oggi sono evidenti i limiti di una squadra che un gioco più entusiasmante probabilmente non lo riuscirebbe a esprimere neanche se volesse.