Moby Dick - Conte e la sua Juventus come il pugile Braddock. Milan, da che pulpito le prediche?

Editorialista del mensile "Calcio 2000" fondato da Marino Bartoletti, collaboratore di Carlo Nesti (Nesti Channel) e de "Il Riformista". Vincitore del premio "Miglior giornalista di Puglia". Autore delle autobiografie di Paolo Montero e Antonio Conte
29.02.2012 00:35 di  Alvise Cagnazzo   vedi letture
Moby Dick -  Conte e la sua Juventus come il pugile Braddock. Milan, da che pulpito le prediche?

Questa Juventus avrà pur notevoli difetti e mutevoli imprecisioni ma, nell’arcipelago delle squadre costruite, incensate e crollate nel giro di un rapido amen, quella guidata da Antonio Conte pare esser la prima vera corazzata post calciopoli. Capace di andare in svantaggio, di subire la furia avversaria senza mai cadere in ginocchio, procrastinando a data da destinarsi l’imbattibilità in campionato ed in Coppa Italia. E’ una squadra, la Juventus, in grado di immedesimarsi nel carisma del proprio tecnico, incapace di mollare la preda ambita, il sogno scudetto, anche in una delle giornate più complicate sino ad oggi vissute in campionato. Aggrappata alle corde con il pugile di origine irlandese James Braddock capace di vincere, con un passato da disoccupato e ad una età più consona ai film in poltrone, il titolo dei pesi massimi al cospetto di Max Baer. Era capace di caracollare aggrappandosi all’avversario, di resistere a sequele di pugni per altri devastanti, di asciugarsi il sopracciglio inondato di sangue e di raccogliere il paradenti sporco caduto sul tappeto, il boxeur disposto a campare con il sussidio statale pur di non smarrire la passione per il pugilato.

Ma a differenza di tutti gli altri dirimpettai capitolati nella corsa alla "cintura", dai colossi Griffhits e Loughram passando per Art Lasky, la capacità di Braddock, nato a Manatthan ma di chiare origini celtiche, era quella di incassare i colpi senza mai capitolare. Perché talvolta, al fine di ispessire le proprie motivazioni, in una lunga maratona è proprio la capacità di non perdere il ritmo nel passo a consentire una resa, una prestazione, superiore rispetto a quella degli avversari. Uscire indenni dal catino di S.Siro, per di più dopo esser passati in svantaggio a causa dell’ennesima macroscopica topica di Bonucci, evidentemente con la testa altrove, recuperando una partita apparentemente compromessa, non può che accontentare una Juventus apparsa distratta, svogliata a tratti. Ma pur sempre virtualmente prima in graduatoria considerando il recupero, ancora da disputare, della sfida contro il Bologna sospesa per neve. Oltre che per il vantaggio degli scontri diretti, ovvero la famigerata classifica avulsa, con il Milan. Mostratosi superiore per oltre un tempo, ma pur sempre incapace, castronerie di Bonucci a parte, di perforare la linea Maginot eretta dalla Juventus.

A sorprendere semmai è la consueta dose di polemiche ispirate al "nonsense", legate agli strascichi ed agli insulti del post partita, destinati a non esaurirsi prima del valzer di mezza estate con il Trofeo Berlusconi. Le frasi pronunciate da Galliani, protagonista del controverso caso del Vélodrome, quando fece ritirare la squadra, a corredo di una squalifica dalle Coppe internazionali commissionata ai rossoneri, per via di un temporaneo guasto ai riflettori nel corso della sfida con l’Olympique Marsiglia, nei riguardi Conte appaiono quantomeno fuori luogo. Considerando peraltro la non stretta dipendenza fra le esternazioni del tecnico bianconero dopo i torti subiti contro il Siena ed il Parma e la sciagurata prestazione arbitrale del sabato sera, peraltro ripartita su ambedue le compagini. Un approccio assai diverso, quello di Conte, quantomeno in linea di principio, dall'obbligo al ritiro della squadra rossonera sul campo dei francesi nell'ormai lontano 1991, con l’amministratore delegato intento a portar via i giocatori dal terreno di gioco fra lo stupore generale. Non convincono, inoltre, le frasi di Allegri. Giustamente adirato per la rete non concessa a Muntari ma sin troppo vago in merito alla rete, anch’essa annullata ingiustamente, a Matri nel secondo tempo.

Così come lo scatto d’ira di Ambrosini, divenuto famoso per lo striscione antisportivo nel giorno della vittoria della Coppa dei Campioni del Milan, con dedica poco elegante all’intero emisfero nerazzurro, fresco vincitore dello scudetto. Così, appare assai grottesco come le colpe per una direzione di gara scandalosa, a danno di entrambe le squadre, debbano ricadere solo ed esclusivamente sulle spalle, comunque assai larghe, del motivatore leccese. Tecnico capace di strappare, in una delle serate meno felici della propria truppa, un pareggio in trasferta, nel ventre scoperto del “Meazza”, con un uomo in meno a causa dell’espulsione di Vidal. Di certo, qualunque sia il l’epilogo, mai come in questo caso, ad esser importante come a più volte sostenuto da Conte non è l’arrivo. Ma la corsa…

 

 

CHI E' ALVISE CAGNAZZO - Alvise Cagnazzo (1987) è nato a Bergamo e vive a Bari. Giornalista, scrittore, autore e conduttore televisivo, è il più giovane vincitore del premio “Miglior giornalista di Puglia” sezione carta stampata -sport, istituito dall’Odg. È autore dei libri “Tutti zitti, parlano loro”, (2007), “Semplicemente Rafa” (2010) e, “Montero, l’ultimo Guerriero (2010) e, sempre per Bradipolibri, "Antonio Conte, l'ultimo gladiatore" (2011). Collabora con Carlo Nesti. Ha condotto, per centosessantaquattro puntate, il programma televisivo “Parliamo di calcio”, in onda su Rtg Puglia in prima serata. È firma di Calcio2000, mensile nazionale e internazionale fondato da Marino Bartoletti, diffuso in trentadue paesi. Collabora con il giornale “Puglia”, fondato da Mario Gismondi, ex direttore del “Corriere dello Sport”. Collabora con “Il Riformista”. Editorialista per “Tuttojuve.com con la rubrica Moby Dick”. Ha partecipato come opinionista tv a “Quelli che il calcio” su Rai 2 e “La giostra dei Gol” su Rai International.