Moby Dick - Antonio Conte, il moderno capitano Achab. Con un unico obiettivo...

Editorialista del mensile "Calcio 2000" fondato da Marino Bartoletti, collaboratore di Carlo Nesti (Nesti Channel) e de "Il Riformista". Vincitore del premio "Miglior giornalista di Puglia". Autore delle autobiografie di Paolo Montero e Antonio Conte
12.10.2011 00:00 di  Alvise Cagnazzo   vedi letture
Moby Dick - Antonio Conte, il moderno capitano Achab. Con un unico obiettivo...
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© foto di Alberto Lingria/PhotoViews

Senza voler generare forzature letterarie, il Capitan Achab descritto nel capolavoro “Moby Dick”, pur a corredo di un discreto carico di pregi e relativi difetti, appare sempre più somigliante ad Antonio Conte. Con quella faccia un po’ imbronciata da capitano di vascello, da dispensatore di grida sulla prua della baleniera Pequod, l’allenatore bianconero incarna in pieno la figura spesso sottovalutata del reale protagonista di uno dei romanzi più interessanti della generosa letteratura americana. Scomodare il genio di Herman Melville per descrivere i personalismi di Antonio Conte potrà persino apparire come un gesto di supponenza. Eppure l'allenatore bianconero pare possedere i tratti, le spigolosità e la durezza tratteggiate nella figura del capitano Achab. Eroe tragico, per certi versi solitario. Perchè vinto dal proprio desiderio, rapito dal proprio sogno. O più semplicemente diverso dalla genia dei protagonisti letterari comuni, perchè dipinto dietro la maschera sofferente di un combattente chiamato a compiere il proprio destino, ovvero sconfiggere la balena bianca responsabile della propria sofferenza.

Quella balena bianca, per Antonio Conte, assume i tratti di un pezzo di stoffa tricolore. Di un vessillo indispensabile, di un bisogno ossessivo intorno al quale costruire il proprio ritorno a Torino. Ovvero, la conquista di quello scudetto smarrito in pieghe da contorni sempre più lugubri dell’uragano “calciopoli”, quello delle retrocessioni sommarie e degli scudetti “a tavolino”. Quello delle prescrizioni attese ed abbracciate e delle numerose telefonate pubblicate con inspiegabile, quanto assai logico, ritardo. Per il tecnico bianconero, guarda caso uomo di mare proprio come quel capitano con la barba crespa e lo sguardo folle dipinto letterariamente da Melville ed impresso nelle menti di ogni lettore, la vittoria è dunque una ossessione. Piacevole, per carità, ma pur sempre un assillo per chi a quarantadue anni e con due promozioni dalla cadetteria alla massima serie sul groppone, ha il difficile compito di superare la concorrenza della corazzata Milan e del Napoli, avvolto da un entusiasmo assai difficile da scalfire.



Sordo ai richiami dei propri marinai, ovvero dei propri giocatori, muto per via delle grida dispensate ad ogni singolo allenamento ed in ogni partita, ad Antonio Conte pare mancare soltanto un berretto ed un po’ di salsedine su di un paio di zigomi arrossati dal vento per somigliare all’eroe controverso che ha animato lo spirito battagliero di intere generazioni. Amato dallo spogliatoio perché coinvolgente, rispettato dai senatori, ovvero dai vari Buffon, Chiellini e Del Piero, perché depositario delle loro medesime cicatrici, l’allenatore rispecchia ed incarna lo spirito di una juventinità imbastardita da gestioni tecniche alquanto discutibili, figlie della ortodossia di Del Neri, dell’immaturità di Ferrara e della spietata “aurea mediocritas” di Claudio Ranieri, uno che pare essersi ricordato di vincere soltanto sulla panchina dell’Inter dopo aver incassato, nel giro una settimana ben cinque reti distribuite su due sconfitte contro il Napoli ed il Lugano.

Con il ritorno del “capitano” sulla panchina bianconera ad esser migliorato è lo spirito, oltre che il gioco. Finalmente non più impostato sulla base di sterili lanci dalle retrovie, o sulla gestione di un talento ridimensionato dal tempo e dalla mancanza di senso tattico, ovvero Diego, sotto la gestione di Ciro Ferrara. Nella Juventus di Antonio Conte, allenatore molto simile per mentalità all’olandese Van Gaal, la confusione pare non aver dimora. Squadra aggressiva e votata al pressing, posizionata in maniera tale da sfruttare non la lunghezza del campo, bensì l’ampiezza. Con un unico obiettivo, quello di vincere. Di battere l’avversario. Proprio come il “capitano” Achab…

CHI E' ALVISE CAGNAZZO - Alvise Cagnazzo (1987) è nato a Bergamo e vive a Bari. Giornalista, scrittore, autore e conduttore televisivo, è il più giovane vincitore del premio “Miglior giornalista di Puglia” sezione carta stampata -sport, istituito dall’Odg. È autore dei libri “Tutti zitti, parlano loro”, (2007), “Semplicemente Rafa” (2010) e, “Montero, l’ultimo Guerriero (2010) e, sempre per Bradipolibri, "Antonio Conte, l'ultimo gladiatore" (2011). Collabora con Carlo Nesti. Ha condotto, per centosessantaquattro puntate, il programma televisivo “Parliamo di calcio”, in onda su Rtg Puglia in prima serata. È firma di Calcio2000, mensile nazionale e internazionale fondato da Marino Bartoletti, diffuso in trentadue paesi. Collabora con il giornale “Puglia”, fondato da Mario Gismondi, ex direttore del “Corriere dello Sport”. Collabora con “Il Riformista”. Editorialista per “Tuttojuve.com con la rubrica Moby Dick”. Ha partecipato come opinionista tv a “Quelli che il calcio” su Rai 2 e “La giostra dei Gol” su Rai International.