Tottenham specchio della crescita Juve: quante cose sono cambiate dal 2011. Matuidi e la sua importanza. VAR e tocco intenzionale: risparmiateci

Nasce a Bari il 23.02.1988 e di lì in poi vaga. Laurea in giurisprudenza, titolo di avvocato e dottorato di ricerca: tutto nel cassetto, per scrivere di calcio. Su TuttoMercatoWeb.com
13.02.2018 00:00 di  Ivan Cardia  Twitter:    vedi letture
Tottenham specchio della crescita Juve: quante cose sono cambiate dal 2011. Matuidi e la sua importanza. VAR e tocco intenzionale: risparmiateci
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Cercavo un precedente fra le due squadre, ma questa sera andrà in scena il primo incontro nelle coppe europee fra Juventus e Tottenham. Le statistiche, però qualche curiosità la forniscono sempre. Per esempio, l’ultima gara degli Spurs in Champions League contro un’italiana risale alla stagione 2010/2011. Avversario, il Milan, incontrato agli ottavi di finale. Per la cronaca, vinsero gli inglesi. Per chi segue la Juve, invece, il dato può essere un altro. E qualche volta torna utile guardarsi indietro, per vedere quanta strada è stata fatta.

In quella stagione, la Juve non partecipava alla Champions. Anzi, non partecipava ad alcuna competizione UEFA. Relegata al ruolo di comparsa del calcio, italiano e continentale, avrebbe chiuso al settimo posto, per il secondo anno consecutivo. Il momento più basso della storia recente bianconera. Poi, la stagione successiva, 2011/2012, quella del primo, sorprendente, scudetto di Conte. Qualcosa è cambiato: il secondo anno di Marotta e Paratici, quello degli acquisti finalmente azzeccati. Antonio Conte, appunto, in panchina, uno a cui dalle parti di Vinovo devono ancora tanto. Da lì in poi, tutto in salita, un continuo crescendo. Mentre il resto del calcio italiano rimaneva dieci passi indietro.

Mi piace immaginare che la Juve si confronti ogni stagione non con quella dell’anno precedente, ma con la squadra di quella stagione. In fin dei conti, non sarebbe neanche tanto sbagliato: il nostro calcio, senza girarci attorno, è rimasto a dieci anni fa, si è fermato al triplete dell’Inter. La Juve era da rottamare ed è stata rottamata: a Conte è succeduto Allegri, i campioni sono cambiati, la Vecchia Signora è tornata a brillare. Se immaginiamo la Juve adesso, vediamo la squadra delle due finali di Champions in tre anni e dei sei scudetti consecutivi. Non era scontato che si arrivasse così lontano. Anzi, era quasi impensabile. Ci siamo, invece. La Juve è lì, ancora una volta, a giocarsi le proprie carte in una competizione che pare preclusa agli altri club italiani. Che sembra maledetta per gli stessi colori bianconeri. 

Come ci arriva, la Juve, a questa sfida col Tottenham? Con sensazioni contrastanti. Molto bene, se guardiamo al ruolino di marcia recente: zero gol subiti nel 2018, filotto positivo in campionato. Crescita costante di alcuni elementi, Douglas Costa e Federico Bernardeschi su tutti. Meno bene, se pensiamo all’infermeria: Paulo Dybala è ancora da recuperare, e forse è bene che si prenda il suo tempo. Blaise Matuidi, a sorpresa, è l’assenza che pesa di più. Sul centrocampista francese, in parte, devo fare ammenda. Che fosse forte non era in discussione. Non credevo che potesse cambiare così tanto la faccia di una squadra. È un peso che forse deriva più da ragioni tattiche che di valore del singolo, ma è un peso che c’è, non si può negare. E quindi aspettiamo con ansia che il francese torni. 

Nel frattempo, il Tottenham. Su cui si possono spendere un po’ di banalità: vietato sottovalutarlo e chiacchiere varie. Il pericolo numero uno è individuato: Harry Kane, l’unico fuoriclasse di un’ottima squadra. Sarà pensando a lui che Allegri ha parlato della prima esigenza di questa gara d’andata: non prendere gol. Mi aspetto, però, un film diverso da quello abbastanza noioso visto col Barcellona. Per confermarsi grande, per confermare che di strada, da quel 2011, se n’è fatta, la Juventus deve vincere e imporsi sin da subito. In casa, per mettere in chiaro che la squadra di Pochettino (a proposito, grandissimo allenatore) verrà pure dalla luccicante Premier League, ma è ancora inferiore ai campioni d’Italia.

Campionato, a proposito. Non ne parliamo? Il clamore per le decisioni del VAR non si è spento. Della nuova tecnologia, ho già scritto quello che penso: utile sarà utile, ma la stiamo applicando davvero male. Per ora, è protagonista indiscusso. Quasi più del pallone. Telecamere pronte a soffermarsi ancora di più sul minimo episodio. Dovrebbe essere usato per rimediare a gravi errori, viene chiamato in causa per scoprire se il terzino ha fatto una puzzetta vicino al centravanti. Così non ci siamo, le discussioni non si placano, la benedetta fallibilità umana ci regala di che parlare. Può essere ancora utile, ma va limato, controllato. L’inseguimento dell’oggettività, in un contesto di decisioni umani e quindi soggettive, non porterà a nulla, se applicato anche alla più ininfluente delle situazioni. Contro la Fiorentina, oggettivamente, siamo arrivati ai limiti dell’assurdo. Per chiarirsi: fossi stato in Guida, avrei confermato il rigore. Perché sul tocco di Alex Sandro siamo arrivati a martedì e ancora non ci siamo messi d’accordo. Avrei dato rigore, per amore di questo sport. Non se l’è, quasi proverbialmente, sentita. Quattro minuti per valutare se un tocco di palla è intenzionale oppure no. Il risultato? Uomini di ambo le parti disperati venerdì sera sul divano: faticavamo a spiegare la regola del fuorigioco al gentil sesso, figuriamoci il secondo comma. Almeno questo, risparmiatecelo.