Trezeguet: "La Juve aveva questa idea di dover vincere e che il resto non contasse. Del Piero? Siamo riusciti a fare un percorso unico. Su Capello, Lippi e la Serie B..."

Trezeguet: "La Juve aveva questa idea di dover vincere e che il resto non contasse. Del Piero? Siamo riusciti a fare un percorso unico. Su Capello, Lippi e la Serie B..."TuttoJuve.com
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di Alessandro Zottolo

Durante il Festival dello Sport che si svolge nel Teatro Sociale di Trento, l'ex calciatore David Trezeguet ha ripercorso i suoi momenti sia alla Juventus che in Nazionale. Ecco, di seguito, le sue dichiarazioni raccolte da Tuttomercatoweb:

MONDIALE ED EUROPEO - Lo dico molto spesso, sono arrivato a fare il percorso quasi contrario di un professionista, visto che ho vinto quando avevo 20-21 anni"

JUVENTUS - Le prime settimane non sono state semplici. C'era questa idea di me che avevo segnato in finale. Nel primo spogliatoio ho trovato tra i 28 ed i 30 giocatori, per poi scoprire che 25 erano nazionali. Era difficile trovare un posto diciamo. Del Piero, Kovacevic, Inzaghi, Fonseca, tanti altri. Ancelotti fu molto chiaro con me, così come la società. Moggi, Giraudo e Bettega mi dissero: ti abbiamo comprato solo perché ci serve che segni, il resto non ci interessa. C'era un solo campo d'allenamento, mancava l'erba, c'era un preparatore fisico molto importante, Giampiero Veltrone, dal quale ho capito molto su cosa rappresentasse la Juventus. Per me è stata tutta una scoperta: capii che nella Juve conta solo vincere. Inzaghi? Arrivò Lippi, che aveva un dubbio su di me, voleva Vieri. Alla fine questo scambio non si è fatto, la Juventus non mi voleva lasciare e non hanno trovato l'accordo con Vieri. Ho iniziato il percorso con Lippi, che all'inizio fu tanto difficile. Ma arrivo a dirvi ora che Lippi è stato per me l'allenatore forse più importante. Mi disse che se avessi segnato più di 30 gol, dovevo fargli un regalo. Se invece ne avessi segnati di meno, me lo avrebbe fatto lui. Ne feci 35... ho pagato tanto per fare un bel regalo a Lippi".

DEL PIERO - lo e lui siamo riusciti a fare un percorso unico, ci capivamo a occhi chiusi. Siamo riusciti a scavalcare attaccanti incredibili come Boniperti e Platini. Credo di aver fatto un percorso importante a livello personale alla Juventus. Lo vedo quando giro il mondo e il popolo juventino mostra un affetto grande verso di me".

FINALE MANCHESTER - "La Juve aveva questa idea di dover vincere e che il resto non contasse. Moralmente arrivammo meglio del Milan a quella finale, non fu una partita bella, ma quello che contava era vincere e non ci siamo riusciti. Quello è stato il mio rammarico più grande della carriera. Vedendo i grandi giocatori che arrivarono gli anni successivi pensavo di tornarci, in finale, invece non ci riuscimmo più. Fatemi dire una cosa. Dal 2000 al 2006 c'è stata una Juve, dal 2006 al 2010 sono rimasto, ma era un'altra cosa. Sentivo internamente che la squadra non aveva la capacità di arrivare a quel trofeo lì, la Champions".



CAPELLO - "Un uomo diverso, andò molto bene con lui. Si parlava meno, era più intenso e 'aggressivo' nei suoi discorsi. Lui è stato un allenatore vincente. Ho un rapporto molto stretto con lui. Mi chiamò nel 2004, quando potevo andare al Barcellona: non pensavo che Capello potesse arrivare alla Juve. Mi disse: 'Dove vai?". Se vi ricordate bene io giocai perché Ibrahimovic era squalificato. Ho avuto la fortuna di incontrare Galliani al Mondiale per Club e mi dissero apertamente che era contento che non avrebbe giocato Ibrahimovic. Alla fine feci gol io chiudendo il campionato. Moggi era molto contento perché mi disse che aveva vinto una scommessa fatta con Galliani".

SERIE B - "Nel 2004 sentivo il bisogno di avere fiducia dalla società. Allora nel 2006 sentii invece il bisogno di ridare indietro alla società qualcosa che mi aveva dato. Una società che si era comportata benissimo, dicendo che avrebbe capito che voleva andare via. Sportivamente è stato un passo indietro magari, addirittura. Quando ci siamo lasciati contro la Reggina nel campionato precedente parlavamo di voler vincere la Champions. In Serie B invece era diverso. In trasferta sembrava quasi che fosse una festa. "Sicuramente sportivamente possiamo dire che fu un passo indietro, ma vi dico che vidi i tifosi bianconeri ancora più vogliosi di essere vicini alla squadra. Ogni partita era una festa, con lo stadio pieno. L'arrivo di Deschamps fu importante. Ogni domenica vincevamo e poi volevamo vincerne subito un'altra. Un percorso lungo, ma l'obiettivo era solo quello di vincere. In più fu un campionato difficile, perché c'erano Genoa, Napoli e tante altre. Siamo riusciti a rimettere le cose a posto. Non sentivo il bisogno di lasciare la Juve, mi sentivo benissimo a Torino, con questa società così importante. Sentivo di essere nella squadra più importante al mondo. Dopo il cambio di società post-2006 avevo sentito di nuovo fiducia dalla nuova dirigenza: mi chiesero 15 gol e 15 ne feci"

MONDIALE 2006 - "In quel momento ho voluto prendere la responsabilità soprattutto nei confronti dei compagni più giovani. Con Domenech non ho mai avuto un rapporto molto stretto, ma quando ero chiamato in causa ho sempre dato la mia disponibilità. Ed agli attaccanti a volte basta poco per fare la storia. Mi successe nel 2000, ma non nel 2006. Ma il rammarico più grande per me è sentire di non aver potuto di dare il mio contributo alla mia Nazionale. Con Domenech non ho mai trovato feeling, non sono riuscito a fare il quarto Mondiale. Egoisticamente oggi mi chiedo: perché non sono rimasto per fare la quarta Coppa del Mondo?"

CAMORANESI - L'ho visto ieri, proprio in Argentina. Lui è un gran personaggio. Era in camera con me al primo ritiro dopo il suo arrivo. Arriva in ritiro, ma non mi parla. E se mi parlava, lo faceva in italiano. Pensavo: chi è questo? Poi tutto d'un tratto evidentemente ha preso confidenza con me. Lui è uno di quelli con cui non mi sento quasi mai, ma che so che c'è in ogni momento del bisogno. Sabato scorso l'ho chiamato finché ero a Buenos Aires e lui mi ha invitato ad una grigliata. Alla fine della cena portano la torta e solo lì mi dice: 'Dai prendi una fetta, è il mio compleanno'. E io: 'Ma tu sei rimasto strano anche adesso!' (ride, n.d.r.). Una volta dissi a Figo: Camoranesi è più forte di te. Lo penso davvero, sapeva fare tutto. Mediaticamente non appariva, non amava i giornali, ma è stato fra i più forti con cui ho giocato".

ADDIO JUVE - "Quando vai via da una società importante come la Juventus è lì che trovi difficoltà a livello di obiettivi, di voglia di giocatori e dirigenti. Quando vai alla Juve sei contento, quando vai via capisci cosa hai lasciato. Il calcio in Arabia Saudita è diverso, una festa. Ma lì ricevo una chiamata da Almeyda e dal suo presidente, Passarella. Mi chiedono se voglio dare il mio contributo alla mia squadra in Serie B come feci alla Juventus. Pensai soltanto a livello sportivo che avevo bisogno di ritrovarmi in un calcio vero. E delicato: la Serie B non è la Serie A. Non ci ho pensato moltissimo. Ancora oggi la gente quando mi vede mi ringrazia".