Gli eroi in bianconero: Lucidio SENTIMENTI

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
01.07.2023 10:20 di  Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Lucidio SENTIMENTI
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Detto Cochi, nasce nell’estate del 1920 a Bomporto, in provincia di Modena, in una famiglia che eguagliava i fasti calcistici di un’altra mitica dinastia, quella dei Cevenini. Tutto cominciò, si dice, con una lettera: «Ho quasi quindici anni, faccio il garzone calzolaio a quindici lire la settimana, vorrei giocare. Va bene qualsiasi ruolo. Anche portiere». Lucidio è tifoso della Juventus e grande ammiratore di Combi; vanta qualità atletiche per riuscire bene in qualsiasi ruolo, un bel tiro, anche se la statura non è eccezionale, ma, a quei tempi, nessuno ci faceva troppo caso. Così si trova nel Modena, in Serie B, a solo sedici anni, senza un ruolo ben definito, a volte portiere altre attaccante. Sbalordisce tutti: in due stagioni segna ventidue goal, risultando uno dei migliori cannonieri della squadra.
La Juventus è alla ricerca di un portiere affidabile; nell’ultimo campionato, quello del 1941, si sono alternati in cinque, un vero record: Goffi e Peruchetti, Ceresoli e Micheloni e, per una sola domenica, un certo Bulgheri, mai più visto né sentito. Cochi aveva già disputato circa cinquanta partite in Serie A quando debuttò nella Juventus, a Venezia: i terzini sono Foni e Varglien II, gioca anche suo fratello, Vittorio, ovvero Sentimenti III, arrivato alla Juventus un anno prima. Dopo aver subito cinque goal in un derby, è messo da parte ma qualche domenica dopo è ripresentato in mezzo ai pali che non lascia più per altre quattro stagioni.
Conquista anche la maglia azzurra e, nel maggio 1947, contro l’Ungheria è l’unico giocatore “straniero” in una formazione composta da dieci giocatori del Grande Torino. Gianni Brera lo descrive freddissimo determinista, dotato di un’astuzia luciferina.
Il suo gesto atletico più famoso è rimasto l’uscita, a piedi uniti, un intervento che sembra disperato e invece è calcolato al millesimo e, secondo alcuni, al limite del lecito. Molto abile anche sulle palle alte: stupisce vederlo arrivare lassù, con tanta sicurezza, a bloccare o spingere lontano il pallone con pugni decisi, nonostante la bassa statura. Tra i pali è agile e dotato di presa ferrea, non ha bisogno di volare, ha un grande senso della posizione e un notevole colpo d’occhio. Qualche volta se ne fida troppo e prende goal balordi su tiri da lontano.
Cochi Sentimenti difende la rete juventina durante quei campionati resi proibitivi dal dominio del Grande Torino. Nel 1949, a ventinove anni, è ceduto alla Lazio, dove ritrova una seconda giovinezza. Riconquista anche il posto in Nazionale e ha l’onore di disputare la sua ultima partita nel 1953, contro la Grande Ungheria. Si mette perfino a parare rigori, cosa che prima non gli riusciva mai, come se una legge non scritta lo volesse punire per la sicurezza che aveva nel tirarli. Diventa uno specialista, quasi al pari del mitico Bepi Moro e, nel febbraio 1954 proprio su un rigore ottiene una piccola rivincita nei confronti della Juventus: a Torino, infatti, para un tiro di Boniperti dal dischetto, facendo finire la partita 0-0. La Juventus perde proprio per un punto quel campionato, a favore dell’Inter.
Gioca fino a trentanove anni, chiudendo la carriera con il Vicenza, senza vincere mai niente: nonostante avesse già appeso gli scarpini al chiodo, torna in campo per difendere la rete del Torino che, in piena zona retrocessione, si trova di colpo senza portieri.
Un giorno gli chiesero quale fosse stato il goal che gli avesse provocato più dolore: disse che molti anni prima, quando era ancora al Modena in Serie A, gli era capitato di tirare un rigore contro suo fratello più grande, Arnaldo Sentimenti II, portiere del Napoli, realizzandolo. Ecco, quello era stato il goal che gli aveva fatto più dispiacere.
«Ecco un bel ricordo. 1946, a Torino: Juventus-Bologna. Ha vinto la Juventus per 1-0. A un certo momento Gritti, del Bologna, in posizione di ala sinistra, mi fa un tiro violentissimo, io sono piazzato sul palo giusto ma Parola interviene e mi fa la carambola con la coscia, poveraccio lui ha fatto il possibile per salvarmi. Così io mi trovo improvvisamente sul palo sbagliato, un po’ fuori porta, con la palla che mi va dentro nel sette più lontano, alle spalle. Balzo indietro stringendo i denti e chiudendo gli occhi, mi distendo quanto sono lungo, do la manata e, quando credo di esser fregato, incontro qualcosa. Dico: sarà un giocatore. Cado a terra, sento un urlo, apro gli occhi e vedo il pallone che è andato in corner: io l’avevo portato via dal sette, l’urlo l’avevano fatto per questo. Hanno fatto anche una bella fotografia, che conservo. Eh sì; mi sentivo forte, mi sentivo come un leone, ero padrone dei miei pali e della mia area, avevo un rinvio lungo e preciso e non avevo paura di uscire. Mi buttavo giù con i piedi, mai di faccia o di braccia, perché con i piedi si arriva prima e difatti precedevo un sacco di attaccanti proprio per questo. E non ho mai avuto incidenti anche per questo».
Il portiere che tirava i rigori: era il primo, forse, e tutti si meravigliavano. In seguito avrebbe avuto ottimi imitatori, ma nessuno è riuscito a giocare in modo non saltuario e in una vera partita di campionato, con la maglia di attaccante.

VLADIMIRO CAMINITI
Nei giorni dopo la guerra, che sono di atavica fame, portieri di ogni formato si esibiscono in Italia. Nella Juventus si alternano, ancora per poco, Micheloni e il vecchio Perucchetti, mezzo clown e mezzo artista, che ha trentaquattro anni, ma già si affaccia il giovane Lucidio Sentimenti, quarto di una famiglia modenese di Bomporto dedita a sane bevute e a interminabili partite di calcio, destinato a giocare in porta, perché il meno appariscente fisicamente dei fratelli, e anzi, a dire il vero, di figura un tantino tozza. Il fatto è che a Cochi, questo è il soprannome con cui lo indicano e strapazzano specialmente i fratelli Arnaldo e Vittorio (Primo è ancora piccolino), va di contraggenio a fare il portiere e, quando può, viene fuori e molla le sue sacramentali legnate di destro con le quali segna al fratello maggiore Arnaldo goal irresistibili.
Rimane che il ruolo di portiere a poco a poco entra nello spirito del giovanotto, che ha uno sviluppo orizzontale pari alle manone e sfoggia nel colpo di reni la sua qualità migliore. Il nano, in campo, diventa un gigante, anche in questo caso, come dire che nelle parate alte Sentimenti IV è formidabile come nelle parate a terra, e va a giocare un campionato entusiasmante nel Modena, quando la Juventus lo ingaggia, lasciandolo ancora un anno nella città emiliana, perché completi il servizio militare.
Sono i giorni ruggenti del Torino, quando Sentimenti IV si trasferisce definitivamente nella Juventus. Il derby è il derby, le parate di Cochi impediscono in più di una circostanza al Grande Toro punteggi straripanti. Nasce il mito di questo portiere tarchiato e flessuoso, brevilineo dal portentoso colpo d’occhio, quasi imbattibile nell’area piccola, che domina con pugni che sono autentiche mazzate, specialista nelle uscite contro l’attaccante solo, che risolve con una tecnica personale (le gambe avanti e il busto all’indietro) micidiale all’impatto per giocatori come Fabbri, e cui solo gli estrosi Lorenzi e Gabetto trovano, ma non sempre, contromisure.
Si parlerà solo negli anni Ottanta di portieri con la somma di qualità che Sentimenti IV mostra già negli anni Quaranta, il primo portiere calciatore d’Italia e d’Europa; perfetto rigorista, egli indossa la divisa addirittura con grazia, ma forse una natura troppo sempliciotta lo porta a vivere con eccessiva emotività le partite in Nazionale. Il giorno dell’esordio, nebbia e vento gelido al vecchio Prater, becca cinque goal, e Carosio urla al microfono che Sentimenti IV non ci vede. Una fandonia, ma l’Italia è terra di pregiudizi. L’Avvocato, che di calcio se ne intende, intervistato nel 1988, dirà che Sentimenti IV è stato il portiere più grande che egli abbia visto giocare nella sua Juventus. Potentissima macchina atletica, Cochi si allenava come gli ostacolisti, per esercitare i suoi magici lombi, e Bacigalupo aveva nel portafogli, restituite dalla lurida fiammata che distrusse il Grande Torino, la sua fotografia. Nella tradizione del ruolo, in Italia almeno nessun portiere è mai stato altresì calciatore come Cochi Sentimenti, dalle rimesse in gioco che erano un vero lancio per il centrattacco e diedero l’avvio a tanti goal di Boniperti ventenne. I suoi fondamentali tecnici (presa, piazzamento, colpo di reni, uscita alta) sono forse tuttora irripetibili.