Paolo Rossi, omaggio ad un “Eroe Normale”

10.12.2020 22:50 di  Redazione TuttoJuve  Twitter:    vedi letture
Fonte: Di Sergio Stanco
Paolo Rossi, omaggio ad un “Eroe Normale”
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© foto di Daniele Mascolo/PhotoViews

Ho uno splendido ricordo legato a Paolo Rossi e in generale a tutti i ragazzi dell’82. Ma a lui in particolare. Lui, di fatto, è il motivo per il quale prima ho sognato di fare il calciatore e, oggi, faccio questo “mestiere”. Ero veramente un bambino in quella torrida estate, ma ho ricordi vividi, come se tutto quello che sto raccontando fosse successo ieri. Le televisioni in piazza, la gente che portava giù le sedie di casa, la gioia irrefrenabile e condivisa, i caroselli, i bagni di folla e nelle fontane. Io, piccolino, che la notte di Italia-Germania l’ho passata sulle spalle del nostro vicino: tutti in Duomo, a Milano, io che ho distrutto mestolo e pentola a furia di sbatterli per festeggiare. Questo per me è Paolo Rossi, gioia fanciullesca, ricordi indelebili, forse la mia prima sensazione di felicità adulta. Ma il ricordo più bello legato a Pablito non è relativo alla sera della finale, ma piuttosto (come per molti, perché alla fine il Mondiale l’abbiamo vinto lì) alla sfida con il Brasile. Io credo che tutti quelli che hanno vissuto quel momento, si ricordino esattamente dove fossero e ogni singolo attimo di quella giornata. Erano le mie prime esperienze calcistiche e non le vivevo proprio serenamente. Per le partite importanti il mio cuore impazziva, tanto che mia mamma mi vietava di vederle, perché temeva mi venisse un infarto. Quella partita, in effetti, non l’ho vista. Ma per scelta. Ero talmente travolto dall’emozione e attanagliato dalla paura, che l’ho solo ascoltata. Io in camera a tremare, la TV in sala a raccontare l’epopea di un uomo “normale” che diventava eroe.

E ogni volta che il telecronista urlava, facevo una capatina per vedere cosa fosse successo. Ai gol di Pablito, piangevo di gioia. Sul 3-2, invece, ogni tono sopra le righe era una tortura. Pregavo che non succedesse nient’atro, che l’arbitro fischiasse in fretta la fine, che nessuno ci rubasse quel sogno. Al triplice fischio, avrei voluto abbracciarti pure io. Proprio come oggi: faccio avanti-indietro tra cucina e sala, stravolto dalla commozione. La TV accesa. Non riesco a riguardare quelle immagini senza sentire una fitta al cuore. E mi viene ancora da abbracciarti. Oggi più di allora. E’ come se con Pablito se ne andasse una parte della mia infanzia, un pezzo di quella irrefrenabile gioia vissuta. Ma so che non può essere, che è solo il lancinante dolore, perché in realtà nessuno ci potrà mai togliere le emozioni che ci hai regalato. Servirà del tempo, ma risentiremo quei brividi ogni volta che ripenseremo a te e a quella magica estate spagnola. E questo ti renderà immortale.