L'ex Juve Dino Baggio: "Per me Trapattoni è stato come un padre. Buffon imbattibile già a 18 anni. Zidane l'avversario più difficile da affrontare"

L'ex Juve Dino Baggio: "Per me Trapattoni è stato come un padre. Buffon imbattibile già a 18 anni. Zidane l'avversario più difficile da affrontare"
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di Redazione TuttoJuve

L'ex bianconero Dino Baggio è stato ospite a Radio TV Serie A durante "Storie di Serie A".  Grazie per l'attenzione e la diffusione. Ecco il suo lungo intervento:

Gli inizi al Toro

“Io sono veneto, nato in un paesino vicino Padova - Tombolo - uno dei più poveri del Paese. Mi sono trasferito a Torino a 13 anni e dopo quasi 10 anni nel Toro, sono stato mandato in prestito all’ Inter, poi due anni alla Juve e sette al Parma un posto che considero casa. Dopo sono stato quattro anni alla Lazio, uno in Inghilterra al Blackburn e infine ho chiuso la carriera tra Ancona e Triestina”.

Gli anni a Parma: gli allenatori

“Nella mia carriera ho avuto dei grandi allenatori, ognuno con metodi e idee tattiche diverse. Sono riuscito a prendere il buono da ogni allenatore che ho avuto: con Scala abbiamo vinto la Coppa Uefa, Ancellotti invece è stato diciamo il “figlio” di Arrigo Sacchi, lui stravedeva per me e con lui ho fatto sempre bene, poi c’è stato anche Malesani con cui abbiamo vinto la Coppa Uefa e la Supercoppa Italiana. Sono tutti professionisti di altissimo livello e con cui abbiamo vinto tanto. Erano tecnici con un carattere forte con l’unico obiettivo in testa di vincere, mi hanno insegnato molto sia dentro che fuori dal campo come l’avere sempre rispetto delle persone, una cosa che oggi non si vede molto.”

Le responsabilità in campo

“Alla base di tutto c’è l’umiltà: da dove esci, quando cresci e quando arrivi. Una volta arrivati in alto difficilmente si riesce a restare con i piedi per terra ma ci sono giocatori che riescono a mantenere quel tipo di umiltà ricordando sempre da dove sono partiti e quali sacrifici hanno fatto per arrivare a certi livelli, ecco questo tipo di giocatori possono fare grandi cose. Una qualità in campo che sicuramente avevo erano gli inserimenti arrivando da dietro, un movimento che difficilmente è marcabile. Io avevo i tempi giusti nell’inserirmi: quando i terzini crossavano io riuscivo a entrare in area con il giusto tempismo e incornare il pallone”.

La visione di gioco: il decision making

“In campo ci sono giocatori che hanno la capacità di leggere il gioco e di vedere le giocate prima degli altri: giocatori del genere sono determinanti. Io ero capace di leggere prima la giocata e intuire dove sarebbe andato il pallone e dove dovevo posizionarmi per far goal. Questa qualità devi averla dentro e gli allenatori ti insegnano quando fare gli inserimenti nel momento e nel tempo giusto, Sacchi era uno di questi”.

Il modello in campo

“Mi piacevano tanto Antonioni e Tardelli, dei giocatori completi, non degli specialisti. Marco sapeva fare tutti i ruoli e io prendevo esempio da lui che tra l’altro ho avuto anche come allenatore della Under 21”.

Carlo Ancelotti

“Era già un allenatore in campo, ha avuto un grande maestro come Sacchi, ma avendo lui fatto il calciatore riusciva ad entrare nella testa dei giocatori e sapeva già cosa avresti fatto. Tutti i calciatori che sono stati allenati da Carlo sono stati bene, molti addirittura - pur non giocando - volevano rimanere in squadra perché lui voleva bene a tutti e ci faceva sentire importanti. Una volta per lui ho giocato pure con la febbre e anche bene (ride n.d.r.)”.

La Nazionale del ‘94

“Dopo la prima sconfitta con l’Eire non è stato facile perché dovevamo vincere le altre due per forza e non era facile giocare in un clima come quello dove nello spogliatoio c’erano 18° e fuori 45°. Mi ricordo che dopo l’esordio abbiamo fatto una riunione di squadra dove ognuno ha esposto i propri problemi al mister e così il gruppo si è ricompattato. Con la Norvegia infatti dopo un inizio difficile siamo riusciti a vincere, ed io ho anche segnato un goal”.

Il momento più importante della carriera

“I ricordi più belli sono sicuramente legati alla vittoria delle coppe con il Parma ma la finale del mondiale per un giocatore è qualcosa di incredibile, al di là del risultato. La prima volta che ho indossato la maglia azzurra era nel ’92 con Sacchi che mi ha messo a fare il terzino destro. Giocavamo a Foggia contro Malta, vincemmo due a zero. Io ero abituato fin da piccolo a cambiare ruolo: nelle giovanili ho ricoperto tutti i ruoli tranne il portiere, con Scala giocai addirittura da attaccante e segnai pure due goal contro il Bilbao”.

Il Trap

“Per me è come se fosse stato un padre, stravedeva per i giovani: alla fine di ogni allenamento mandava i giocatori più anziani a fare i massaggi mentre lui rimaneva un’ora con i giovani a fare tecnica”.

Il portiere più difficile a cui segnare

“Fortunatamente ce lo avevamo in casa: era Buffon. Mi ricordo che con Malesani alla fine degli allenamenti restavamo al campo ad allenare i tiri in porta e quando Gigi decideva che tu non dovevi fare goal non riuscivi a segnare in nessuna maniera, e aveva 18 anni. Capii da subito che sarebbe diventato un grandissimo: ha esordito in casa contro il Milan e fece tre o quattro parate strepitose a solamente17 anni e mezzo”.

L’avversario più difficile

“Ho affrontato diversi campioni ma Zidane era imprevedibile su tutto: forte sia fisicamente che tecnicamente. Con lui o temporeggiavi e aspettavi che la scaricasse o ti saltava sempre, giocarci contro era sempre complicato”.

I compagni a Parma e i leader nello spogliatoio

“Faccio fatica a dirne uno solo. Eravamo un gruppo, una famiglia, dal ’93 al 2001 ho sempre avuto dei compagni eccezionali, è per la forza del gruppo che abbiamo vinto. Andavamo spesso a cena o al cinema insieme e in campo ci aiutavamo l’un l’altro. Avevamo sempre una parola di conforto dopo un errore, mai una critica. C’erano dei grandi uomini spogliatoio come Minotti, Apolloni, Cannavaro, loro erano dei veri e propri senatori. Io ero un senatore silenzioso, mi facevo sentire più sul terreno di gioco che nello spogliatoio, un po’ come Franco Baresi, uno che fuori era silenzioso ma in campo bastava uno sguardo e avevi capito tutto, sono quei tipi di leader che oltre ad essere buoni comunicatori sanno anche come aiutare la squadra durante la partita”.

La squadra più forte da affrontare

“Il Brasile, è innegabile. In Italia il Milan degli invincibili: era forte in tutti i reparti, vedere il fuorigioco a metà campo era impressionante”.

La tua qualità migliore

“Sicuramente gli inserimenti: ero un centrocampista bravo nel buttarmi dentro e andare a fare goal più o meno come oggi fa McTominay. Ero uno di quei giocatori che riusciva a trovare lo spazio aspettare che la palla giusta arrivasse in area. Ogni campionato facevo 12 o 13 goal da centrocampista che sono tanti, ma soprattutto erano goal importanti per il risultato finale”.

Il Mondiale del ’98

“Esordisco con Cesare Maldini nell’under 21 a 18 anni, era come un padre per me. Nel ’98 abbiamo fatto un bel mondiale, purtroppo abbiamo incrociato l’unica squadra che secondo me poteva fermarci, credo che se non l’avessimo beccata saremmo andati in finale noi. Loro erano fortissimi ma se quel tiro di Baggio (Roberto n.d.r.) non fosse uscito di un niente saremmo passati noi perché c’era il golden goal”.

Il post carriera

“Oggi guardo molto la Formula 1, un’ altra mia grande passione oltre al calcio. Quest’anno la McLaren è veramente forte, c’è poco da fare, spero che la Ferrari sia lì lì per arrivare prima o poi”.