Il declino del calcio italiano e l'intervista surreale di Gravina: le domande (e le risposte) mancanti...

Il declino del calcio italiano e l'intervista surreale di Gravina: le domande (e le risposte) mancanti...
Oggi alle 08:11Il punto
di Luigi Schiffo

“Se vado via io, riparte il calcio italiano?”. E’ la domanda che ha posto Gabriele Gravina, presidente della FIGC, al direttore del Corriere dello Sport, Ivan Zazzaroni, che lo stava intervistando qualche giorno fa. Se vuole sapere cosa pensa la gran parte dei tifosi della Juventus (gli altri li conosco meno e non mi avventuro), la risposta è molto semplice: “Lei se ne vada, proviamo a far guidare la Federazione da uomini di calcio, che pensino al campo, ai settori giovanili, alle strutture, ad una giustizia equa, e poi vediamo cosa succede. Peggio sarà difficile”.

Una domanda però la facciamo noi: dal 2018 ad oggi, in sette anni, per che cosa si è distinta la sua gestione dal punto di vista strutturale? Al di là dei suoi successi personali come la promozione a vice-presidente UEFA (naturalmente avere portato sul vassoio d’argento la testa di Agnelli e della Juventus a Ceferin non conta) e la rielezione plebiscitaria senza avversari (segnale non esattamente democratico), in cosa è cambiato il calcio italiano?



La Serie A è sempre a 20 squadre, mentre è chiaro come il sole ormai da anni che sono troppe; i controlli sui conti delle società da parte della Covisoc si sono rivelati quanto meno inefficaci (tanto che il governo ha varato un’Agenzia per sostituirla); le proprietà “fumose” dei club di Serie A sono in aumento (i famosi “fondi” con sede magari alle Cayman a cui è difficile dare un volto, anche se lei ritiene che questo non sia un problema perché comunque “almeno ci mettono i soldi”) e la questione è approdata in Parlamento con la proposta-Lotito per la trasparenza delle proprietà; così come il caso della giustizia sportiva accusata da un deputato, l’onorevole Mauro Berruto, di essere usata come “clava per colpire gli avversari”; il numero di calciatori stranieri in Serie A è costantemente in aumento (perché chiede a noi se ci rendiamo conto che ci sono solo 97 italiani su 20 squadre, mentre è lei che dovrebbe trovare soluzioni, quando vuole sa essere molto convincente…); il calcio italiano sta perdendo appeal televisivo, come dimostra il confronto con Premier League, Liga e Bundesliga in relazione agli incassi da diritti tv e alla capacità di attrarre campioni; gli stadi sono sempre di retroguardia, tanto che la Uefa ha detto che l’unico pronto per Euro 2032, pensi un po’, è l’Allianz Stadium di Torino (ed entro il prossimo anno bisogna presentare la lista definitiva dei cinque impianti per la manifestazione); la Nazionale continua a scendere di livello ( da campione del mondo 2006 a uscita ai gironi nel 2010 e 2014, fuori ai playoff di qualificazione nel 2018 e 2022, in un quadro in cui la vittoria di Euro 2020 sembra più un evento simile alle vittorie di Grecia e Danimarca in passato che non il coronamento della crescita di un movimento).

A proposito di azzurri, quando lei dice “rimbocchiamoci le maniche e lavoriamo tutti insieme” per la qualificazione della Nazionale, credo proprio che nel “tutti insieme” non possa contare la stragrande maggioranza dei tifosi bianconeri (non sono pochi) perché identificano nella FIGC da lei guidata e che la maglia azzurra rappresenta il vero avversario della Juventus: più delle rivali storiche, più degli errori gestionali e di mercato della società. Provi a dare una risposta, a lei stesso, non a noi: secondo lei perché questo avviene?

E’ vero, come dice lei, che “non esiste una norma che mi impone di fare un passo indietro” (affermazione un po’ “poltronistica”, non trova?), ma le riporterò quello che lei stesso disse al suo predecessore Tavecchio dopo l’eliminazione con la Svezia: “Mi dispiace, non ce l’ho con lui e non è nemmeno il principale responsabile, ma il calcio italiano ha bisogno di una svolta, dobbiamo assumerci tutti la responsabilità”. Sono passati sette anni da allora, vale sempre questo principio?