L'arbitra Ferrieri Caputi: "Il direttore di gara deve essere un punto di riferimento, non solo un giudice”

Maria Sole Ferrieri Caputi, arbitro internazionale della CAN, ha rilasciato alcune dichiarazioni al podcast ufficiale dell'AIA Regole di vita sulla professione del direttore di gara nel calcio moderno:
"La figura dell'arbitro porta con sé delle particolarità: serve una leadership non legata al risultato sportivo, ma a far sì che tutti rispettino le regole. Per questo un arbitro deve lavorare per essere riconosciuto come un punto di riferimento per la soluzione di un problema. Poi, all'interno della squadra arbitrale, l'arbitro deve essere sempre positivo e motivante verso i collaboratori, con l'obiettivo di mettere in pratica la miglior prestazione possibile".
Quali sono le strategie comunicative che si adottano nel corso delle partite? Soprattutto quelle ad alta tensione.
"Cerco sempre di essere concisa e sintetica, dando spiegazioni al capitano e, se necessario, al tecnico. Non accetto molto il dialogo con altre figure nei momenti di alta tensione. Altre volte è giusto spiegarsi o mandare un messaggio".
Quanto è importante il linguaggio del corpo nella gestione di una sfida?
"Tantissimo. È un aspetto sul quale lavoriamo molto anche nei raduni e sul quale ci aiutano psicologi del settore. Non è un aspetto facile".
Quanto ci si deve adattare personalmente sul piano comunicativo al contesto di una partita?
"La differenza maggiore per quanto riguarda il contesto l'ho percepita nel passaggio dal calcio dilettantistico a quello professionale. Si passa da calciatori che il giorno dopo affrontano le sfide di un altro lavoro a chi invece sa che ciò che sta facendo è il suo obiettivo primario e cerca di viverlo al meglio".
Come si gestiscono le critiche nel corso di una gara?
"L'importante è non scomporsi troppo. Le contestazioni da fuori non ci influenzano, anche se il clima di uno stadio si sente. Quello che mi interessa è ciò che posso controllare. Non si può accontentare tutti né ottenere che tutti ti diano ragione. Quello che si può fare è far capire che in tutta onestà e trasparenza ho preso una decisione. E che, se ho sbagliato, posso appoggiarmi allo strumento tecnologico".
Quali tecniche utilizza per continuare a migliorare?
"Più si fa esperienza, più si lavora, si parla e ci si confronta, più si cresce. Conta molto, ad esempio, il tono di voce con il quale si trasmette il messaggio".
Quanto è importante la collaborazione con gli altri elementi della squadra arbitrale?
"Il campo è grande ed è impossibile che si possa gestire da soli. Dal momento dell'assegnazione cerchiamo subito di lavorare sulle problematicità del match. Il giorno della gara ci ritroviamo e facciamo una riunione con un match analyst che ci presenta le difficoltà tattiche della sfida. Un ulteriore tassello che fa parte della comunicazione è quello legato alla gestione del rapporto con il VAR".
Un direttore deve essere autorevole in campo: c'è al tempo stesso spazio per l'empatia?
"Al momento della decisione non puoi essere empatico. Anche al 90'. In tutto quello che, invece, riguarda la gestione delle emozioni che tali decisioni possono scatenare nei giocatori, oppure negli episodi di razzismo o di malori dentro e fuori dal campo, si cerca di lavorare sull'aspetto umano al 100%".
Quali consigli si sente di dare ai giovani arbitri?
"Una delle difficoltà maggiori all'inizio di un percorso è che cerchi di dimostrare di essere qualcosa di più di ciò che sei. Questa è una cosa che col tempo devi imparare a lasciare andare".