"1985-2025. Mai più Heysel". 40 anni dopo, la toccante ed inedita testimonianza di Franco Ordine

Ci sono date che restano sospese nel tempo. Ferite che la storia non rimargina. Il 29 maggio 1985 è una di quelle giornate che il tempo non cancella, impressa nella memoria collettiva e nel cuore di chi l’ha vissuta. A quarant’anni dalla tragedia dell'Heysel, quella ferita continua a pulsare, presente, profonda, impossibile da ignorare. In una toccante puntata speciale del podcast di TUTTOmercatoWeb, "1985-2025. Mai più Heysel", curata da Pietro Mazzara, vengono ripercorsi quei passi tragici con un testimone d’eccezione: Franco Ordine, allora giovane inviato del Corriere dello Sport, presente a Bruxelles la sera in cui lo stadio Heysel divenne un luogo di morte.
Franco Ordine non è un semplice ospite, è un custode di quella memoria. Con i suoi 34 anni, all’epoca aveva già raccontato il trionfo mondiale dell’Italia di Bearzot in Spagna ’82, una narrazione di gloria scritta con tanti giocatori della Juventus. Quella Juventus che proprio il 29 maggio 1985 cercava la sua prima Coppa dei Campioni, in una finale contro il Liverpool destinata a trasformarsi in una carneficina.
Nel podcast, Ordine ricostruisce con lucidità e dolore quel viaggio cominciato a Torino, salendo su un volo charter accanto alla squadra bianconera, in un clima che sembrava sereno. Nessuno poteva immaginare che quella vigilia apparentemente tranquilla si sarebbe infranta contro il disastro annunciato di uno stadio fatiscente, scelto con leggerezza da una UEFA incapace di garantire sicurezza, e presidiato da una gendarmeria belga impreparata e ridotta all’osso.
Keith Cooper, funzionario UEFA, si presentò il giorno della finale con dei calcinacci raccolti dalle tribune, simbolo materiale di una struttura pericolosa. Era l’ultimo allarme inascoltato, prima che l’impatto devastante della furia hooligan e l’assurda organizzazione dell'evento, causassero la morte di 39 persone, molte delle quali famiglie, bambini, tifosi comuni. Vittime di un settore “neutro”, lo Z, divenuto trappola mortale.
Franco Ordine racconta tutto: la corsa verso la tribuna stampa, le scale in legno traballanti, la rete da pollaio che cede alla pressione, le urla, il panico, i corpi schiacciati contro un muro. E poi la decisione incredibile: giocare comunque. Il calcio che calpesta il lutto, che finge normalità, mentre fuori dallo stadio si allineano i corpi senza vita, coperti da lenzuoli.
Nel suo racconto si susseguono ricordi che fanno tremare la voce: il corridoio dello stadio, la figura elegante di Edoardo Agnelli che annuncia che la partita si giocherà, i giocatori che mangiano banane per colmare la fame mentre il mondo fuori è in ginocchio.
Una testimonianza che non è solo la cronaca di una tragedia: è un atto di giustizia, un dovere verso chi ha perso la vita. È un invito a ricordare per non dimenticare.
Tu eri nella squadra del Corriere dello Sport che si apprestava a raccontare una finale di Coppa di Campioni con il Liverpool campione in carica e la Juventus a caccia della sua prima vittoria nella competizione, in una partita che era già stata anticipata da qualche polemica per l'assegnazione della sede, ovvero l'Heysel di Bruxelles, per il suo stato fatiscente. Però torniamo proprio a quel a quel giorno, al 29 maggio del 1985. Franco Ordine ha 34 anni, ha già raccontato il mondiale dell''82 di Spagna. C'erano tanti giocatori di quella Juventus che componevano il blocco della nazionale allenata da Enzo Bearzot. Come arrivate a Bruxelles? Quando arrivate a Bruxelles? Come inizia la missione finale di Coppa dei Campioni per Franco Ordine al Corriere dello Sport?
"Allora c'era una gran bella abitudine e cioè c'era la possibilità di viaggiare insieme con la squadra, per cui io andai in auto da Milano a Torino, all'aeroporto di Caselle, e da lì, insieme con tutti gli altri componenti della squadra del Corriere dello Sport, il capo équipe era il vicedirettore dell'epoca, Giuseppe Pistilli, poi c'era Enzo D'Orsi con me, che era il capo dell'ufficio di corrispondenza di Torino e Fabio Monti che veniva con me da Milano. In aggiunta avevamo, già al seguito del Liverpool, Luca Argentieri, anche lui cronista della redazione di Milano, che seguiva gli inglesi già dalla semifinale e tutti insieme siamo andati a Torino. A Torino ci siamo imbarcati con la Juventus, sullo stesso charter, e siamo arrivati a Bruxelles. La vigilia devo dire che è stata quasi scanzonata, nel senso di quelle tranquille e serene. L'unico vero allarme era dettato e determinato dalla presenza dei famigerati - occorrerebbe dire oggi - hooligans nella città di Bruxelles, ma sembrava più un tema e un argomento che riguardasse il servizio d'ordine e il servizio di polizia, da parte della gendarmeria belga. Per cui anche la sera in cui siamo arrivati, siamo andati a cena, abbiamo fatto un giro per il centro, erano molto più rumorosi naturalmente gli inglesi rispetto agli juventini, che sarebbero probabilmente arrivati in giornata".
Franco, il giorno della finale, come spesso accade, c'è il pranzo ufficiale della UEFA con tutto il politburo della federazione. E a questo pranzo arriva nelle sale del municipio Keith Cooper. Chi è Keith Cooper? Era un funzionario dell'UEFA, addetto al sopralluogo finale allo stadio Heysel. E si presenta in riunione con dei calcinacci in mano. In un'intervista, lui va proprio con i frammenti di pietre raccolti sulle tribune dell'Heysel ed esprime i suoi dubbi sulla stabilità della struttura, sul fatto che avrebbe potuto reggere un impatto così importante. Anche perché, che cosa succede? I tifosi del Liverpool arrivano a Bruxelles e incominciano a bere di fin dal primo mattino. E si era sparsa la voce che la birra belga fosse meno pesante a livello di gradazione alcolica rispetto a quella che era abitudinariamente bevuta a Liverpool. Cosa assolutamente non vera, perché le birre belghe picchiano parecchio. Ecco, arriviamo a quel momento lì...
"Lì noi scopriamo obiettivamente quello è stato il camposanto della vecchia UEFA, che era francamente una organizzazione in mano al presidente dell'epoca Jacques Georges. L'unico un po' più giovane era il segretario generale, Gerhard Aigner. Vivevano in maniera molto artigianale la loro condizione e soprattutto l'organizzazione di quell'evento. Loro sceglievano la città e il Paese senza, ma secondo me non c'era mai stato prima di scegliere l'Heysel una delegazione dell'UEFA che avesse fatto un sopralluogo allo stadio. E quindi., da quel punto di vista, in quel momento fu il combinato disposto tra le due insufficienze - da una parte quella organizzativa dell'UEFA e dall'altra quella organizzativa del servizio pubblico da parte dello Stato belga - a determinare quella quella carneficina e soprattutto quel disastro che fu quella partita e quella organizzazione. La cosa che più mi spaventò, devo dire, appena entrato dentro lo stadio, fu il fatto che ci trovavamo dentro una tribuna stampa a cui si accedeva attraverso delle scale di legno, con tutta una impalcatura di legno. E la prima cosa che mi venne in mente è questa: ma qua se accendono un fiammifero succede una catastrofe. E invece accadde la catastrofe senza che nessuno accendesse un fiammifero".
Tra l'altro, pochi giorni prima della finale dell'Heysel a Bruxelles, ci fu la visita, il viaggio apostolico, di Papa Giovanni Paolo II. Evidentemente, la visita di un pontefice, forse all'epoca era considerata di maggior rilievo dal punto di vista dell'ordine pubblico e la gendarmeria, dopo le fatiche gestionali per la presenza di Papa Wojtyła all'Heysel, diede delle licenze premio a gran parte del corpo di polizia presente a Bruxelles. Tanto è vero che guardando anche immagini e leggendo report della polizia belga dell'epoca, era evidente il sottonumero.
"Scusami. Il peccato mortale di quella spedizione, oltre a queste due gravissime insufficienze di natura organizzativa, fu la decisione di lasciare affiancati i due pezzi di curva, della famigerata curva che adesso non c'è più perché è stata largamente distrutta e ricostruita. del famoso Settore Z, perché questi due settori erano praticamente divisi da una modestissima rete metallica che andava via con un soffio di vento".
Rete da pollaio l'hanno definita....
"Esattamente, che andava via. Quello fu l'errore madornale commesso dall'organizzazione, perché avrebbero dovuto distinguere nettamente da una parte i tifosi inglesi e dall'altra parte i tifosi italiani".
Tra l'altro nel il settore Z fu oggetto di vendita di biglietti affidata in particolar modo alle agenzie di viaggio che organizzavano i pacchetti. Ed era un settore che originariamente doveva essere destinato ai tifosi belgi, quindi a quelli neutrali. i quali però, naturalmente, cedettero i tagliandi agli italiani con. sovrapprezzo. Cose che abbiamo visto, diciamo, che sono rimaste invariate nell'arco de dei secoli. Il problema qual è? Il problema è che, come dicevi giustamente tu, una volta stabilite e assegnate le due curve, il mezzo patatrac era fatto, perché la vendita di quei biglietti finiti in mano non ad ultras della Juventus, ma a tifosi normali, famiglie - e purtroppo l'elenco dei 39 morti e l'età anagrafiche di molti di essi lo stanno a testimoniare - porta a una situazione già di tensione nel momento in cui - e siamo intorno alle 18 - si aprono i cancelli. Tra l'altro l'accesso all'Heysel dei vari cancelli era strutturato non come oggi nei moderni stadi, ma i cancelli erano nella parte superiore, si andava per di sotto, e c'erano delle porticine molto strette, ho visto dalle immagini, quindi anche già quello creò dei problemi, oltre al fatto dei biglietti falsi che proliferavano nel corso della giornata attorno allo stadio.
"Lì da da quel punto di vista, noi siamo entrati dentro lo stadio tra i primi, soprattutto perché quando sei in quelle circostanze, soprattutto all'epoca, in cui non c'erano ancora i computer, il Wi-Fi e la possibilità di trasmettere via computer, noi trasmettevamo al telefono, dettavamo i pezzi all'epoca, stiamo parlando del 1985. Bene, la nostra maggiore preoccupazione era quella di arrivare in tribuna stampa, di prendere possesso del nostro posto assegnato dall'ufficio stampa dell'UEFA e soprattutto cominciare a provare il funzionamento dei telefoni, perché quello era il mezzo di comunicazione fondamentale e diventerà - poi te lo racconto quando mi chiederai -, un passaggio drammatico durante lo svolgimento della tragedia".
Sono le ore 18:30. C'è un sole bellissimo dal punto di vista cromatico che illumina la tribuna centrale e le due curve.
"La parte la parte di sotto della tribuna centrale, ma soprattutto la curva Z".
Esatto. Che di lì a poco diventerà teatro della più immane carneficina a livello di calcio europeo sotto l'egida della UEFA. Incominciano ad arrivare anche le autorità, perché arriva il sindaco di Bruxelles, arrivano ministri della Repubblica Italiana, arrivano arrivano tutti quanti...
"Ma non arriverà non arriverà - questo è un dettaglio che non so se sia trascritto da qualche parte nei libri di memoria - anzi tornerà indietro, l'aereo personale dell'avvocato Agnelli. Poi dopo ti dirò con chi era l'avvocato Agnelli".
Credo di aver visto che fosse con Evelina Christillin.
"Sì, ma era soprattutto in compagnia di Piero Ostellino, all'epoca direttore del Corriere della Sera e grande tifoso juventino, uno di quelli che si è molto speso durante Calciopoli per difendere il buon nome della Juve".
Siamo ancora nel momento in cui arrivano anche le squadre allo stadio: la Juventus va sotto la sua curva, il Liverpool va sotto la sua, cori, incitamenti e quant'altro. Le squadre tornano negli spogliatoi, non ci sono segnali che si potesse scatenare qualcosa. Calcio d'inizio, ore 20:15, sono le 18:45, lo stadio è già pieno in ogni ordine di posto e forse anche di più. Secondo la testimonianza di Terry Wilson, che è uno dei condannati per omicidio colposo dei tifosi del Liverpool, la furia scatenante della curva del Liverpooll, che farà sì che avvenga l'invasione nel settore Z, sarebbe stato uno screzio tra tifosi dei Reds che avevano scavalcato la famosa rete di recinzione, e dei tifosi della Juventus. Secondo Wilson parte qualche schiaffo, l'alcol probabilmente e il caldo, fanno da apripista: inizia questo movimento tellurico verso la curva Z."La cosa che impressiona a quel punto e che ci fa capire subito della gravità assoluta dell'evento è l'ondeggiare di questa rete di protezione, che comincia a ondeggiare sulla spinta di questa massa di tifosi hooligans del Liverpool, che cominciano a ondeggiare per abbattere la rete e andare in qualche modo a regolare i conti con la rappresentanza juventina. Qui accade il secondo evento tragico. Perché cosa succede? Succede che l'effetto panico di quella scena, procura una sorta di fuga isterica di papà, nonni, zii, nipoti, figli, bambini piccoli, verso la parte più bassa della Curva Z, che aveva come protezione un massiccetto di cemento armato alto più o meno intorno al metro, e quindi tutta questa parte del pubblico della Curva Z comincia a spingere verso questo punto basso della curva, cominciando a provocare un effetto gigantesco di schiacciamento. E quindi ci sono.... adesso mi tornano nella memoria, ce le ho negli occhi, stampate negli occhi, come un secondo occhiale, le immagini di queste persone indifese che, schiacciate contro il muro da questa massa enorme che spinge da dietro, cominciano ad alzare la mano per richiamare l'attenzione di eventuali addetti, che però un po' sono preoccupati più dall'eventuale bagarre che potrebbe accendersi, e un po' obiettivamente impossibilitati a dare una mano, perché non li puoi aiutare a sganciarsi, perché dovresti ricacciare indietro tutta la folla. Quella è una un'altra parte molto tragica della vicenda, dietro la quale si srotola tutta la la mia angoscia e il mio tormento, perché a quel punto noi cominciamo ad abbandonare i posti in tribuna stampa per avvicinarsi sempre più alla Curva Z per capire quello quello che sta succedendo".
Sarebbe impensabile oggi che noi dalla tribuna stampa ci si possa muovere liberamente per andare a testimoniare effettivamente questo fatto. Ecco, lì sono circa le 19:31. Lo sfondamento viene registrato dagli atti ufficiali alle 19:20, quindi sono 11 minuti di mattanza assoluta. Corpi su corpi, persone che perdono scarpe, occhiali, oggetti personali, pur di mettersi in salvo. L'altro fattore molto grave nella gestione è che i cancelli nella parte superiore della curva - e chi è scappato verso l'alto si è messo in salvo - , sono stati chiusi con i lucchetti, tanto è vero che i soccorritori saranno costretti a romperli con le cesoie. Come ti sei mosso in quel momento lì?
"In quella circostanza noi ci muoviamo in questa maniera. La prima cosa che faccio è quella, insieme con un collega di un altro giornale, Nicola Forcignanò del Corriere della Sera, di scendere le scale della tribuna e di andare all'esterno. Stiamo andando all'esterno, perché vogliamo andare in direzione dello spogliatoio della Juventus, dove faremo un incontro importante, per capire che cosa sta sta succedendo dietro le quinte di quell'avvenimento, per capire se la partita si giocherà oppure no.. E allora, mentre scendiamo, abbiamo davanti agli occhi, io e lui, la prima scena agghiacciante, perché proprio davanti all'ingresso della tribuna stampa, questo piccolo pezzo di tribuna in legno del quale ti ho già parlato, vediamo allineati per terra, coperti da lenzuoli, le prime vittime delle Heysel. Quella scena che mi rimarrà impressa per tutta la vita, non mi impedisce di aggirare quella scena impressionante - perché nel frattempo c'erano i vari addetti e soprattutto gli esponenti della gendarmeria di Bruxelles - e di avviarmi, senza che nessuno mi chieda dove stai andando, hai titolo per andare, perché in quel momento regnava esattamente il caos. E vado dalla parte destra dello stadio dove c'era l'ingresso per lo spogliatoio della Juventus, che era un po' spostato, era nella parte estrema della tribuna laterale, che collimava con la curva della Juventus. Lì davanti a quell'ingresso nel quale noi possiamo tranquillamente entrare, abbiamo di fronte a noi un corridoio stretto e lungo e in fondo a questo corridoio c'è un signore molto alto, vestito elegantemente con un doppio petto, tra l'altro di flanella, che per essere al 29 di maggio è molto pesante, che ci viene incontro: ed è Edoardo Agnelli, figlio dell'avvocato e in quella circostanza accompagnatore, tra l'altro insieme con Pietro Giuliano, direttore sportivo della Juventus e Giampiero Boniperti, presidente della Juventus".
C'era anche Francesco Morini nella delegazione.
"Era il team manager. E allora, naturalmente, la prima cosa che noi gli chiediamo e gli diciamo: 'Ma scusi Agnelli, ma si giocherà la partita?'. E lui ci dice sì, la partita si giocherà perché sia il responsabile dell'ordine pubblico, sia l'UEFA hanno stabilito che per evitare ulteriori e peggiori incidenti quella partita si deve giocare. Solo che non si potrà giocare alle 8:15, ma si dovrà giocare più tardi. Tanto è vero che noi abbiamo mandato in città a Bruxelles il massaggiatore ad acquistare delle banane. Perché delle banane? Perché i i calciatori che hanno mangiato regolarmente all'ora di pranzo in questo momento cominciano ad avere fame. E allora l'unica cosa che possiamo dargli per spezzare la fame in quel momento sono le banane, per cui abbiamo mandato in città il massaggiatore ad acquistare delle banane".
ASCOLTA LA PUNTATA INTEGRALE DEL PODCAST "1985-2025. MAI PIU' HEYSEL", CURATA DA PIETRO MAZZARA, CON LA TOCCANTE TESTIMONIANZA DI FRANCO ORDINE