Sparare sulla Croce Rossa. I guai della Juve hanno radici molto più profonde di Allegri, che sta sbagliando quasi tutto. Quanto durerà il rifugio Champions?

02.11.2021 00:00 di Ivan Cardia Twitter:    vedi letture
Sparare sulla Croce Rossa. I guai della Juve hanno radici molto più profonde di Allegri, che sta sbagliando quasi tutto. Quanto durerà il rifugio Champions?
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Giornata dopo giornata, diventa sempre meno interessante, e quindi sempre più complicato, analizzare cosa non funzioni nella Juventus. Un po’ come sparare sulla Croce Rossa. L’avvio di campionato ha toccato il fondo rappresentato dall’annata 2015/2016, con la grossa differenza che in quel caso il distacco dalla prima in classifica era molto inferiore, praticamente la metà dei punti. Lo spettacolo offerto a Verona è stato tragicomico, e il fatto che nel finale i bianconeri si siano svegliati dal torpore aggrava soltanto il quadro generale, perché certifica che si parla di una squadra non così scarsa come i suoi risultati direbbero. Per quanto, a essere onesti, la qualità media dalla rosa a disposizione di Massimiliano Allegri presenti dei limiti a questo punto piuttosto evidenti.

I guai della Juventus hanno radici molto più profonde delle scelte e dell’approccio dell’allenatore toscano, che pure ha le sue inevitabili responsabilità in un contesto così disastroso. Il peccato originale, a questo punto è diventato così ovvio da non necessitare di ulteriori sottolineature, è stato commesso nel silurare Marotta. Prima ancora che come professionista in sé - e comunque si parla di un fuoriclasse - per la figura che rappresentava a livello societario e che da lì in poi è rimasta sostanzialmente vuota fino alla chiamata di Arrivabene, che ha bisogno di tempo per fare propri determinati meccanismi del calcio, in Ferrari ha fatto meglio di quanto gli sia stato riconosciuto ma non ha comunque vinto, in ogni caso non ha la bacchetta magica tra le mani.

La Juve si è bruciata le ali, come Icaro. Pochi giorni fa, Andrea Agnelli ha parlato di tante cose. Lasciamo da parte la questione Superlega, un pantano da cui nessuno dei coinvolti sa bene come se ne uscirà. A Torino, appena prima di archiviare gli anni di Marotta, si è deciso di fare il passo più lungo della gamba. Da tutti i punti di vista: economico, di immagine, societario. L’espansione sognata dal presidente ha avuto i piedi d’argilla, per di più travolti dal fiume in piena della pandemia. La Juve ha speso troppo e soprattutto ha speso male, con la convinzione di essere diventata too big to fail, troppo grande per fallire. Eppure la storia recente è piena di casi in cui questa definizione non ha propriamente portato benissimo.

A latere di un discorso generico, c’è quello tecnico. Su chi ha seduto in panchina nelle ultime stagioni e su chi c’è ora. Sarri è stato mandato via come il peggiore degli allenatori d’Italia. Aveva uno scudetto in tasca, roba che sembrava scontata e si rivela incredibile visto quel che sta succedendo a nemmeno due anni di distanza. Intendiamoci: chiamare Sarri è stata una mossa azzardata, la crisi di rigetto era dietro l’angolo e si è verificata. Ma se si guarda all’allenatore per trovare i problemi della Juve si cerca una soluzione molto parziale. Questa squadra ha invece grossi limiti, soprattutto a centrocampo: il solo Locatelli avrebbe qualche possibilità di giocare titolare in una delle prime cinque in classifica, e questo vorrà pur dire qualcosa. Ma anche tra difesa (mancano alternative sulle fasce, Bonucci e Chiellini non sono eterni, Romero e Demiral sono stati svenduti) e attacco (davvero si pensava di non dover sostituire un giocatore da 30 gol a stagione?). Poi, Allegri ci mette il carico: l’impressione è che in questi due anni sia rimasto fermo mentre il calcio andava avanti. Conta il risultato più di tutto, su questo assunto chi scrive è pure d’accordo, ma al risultato devi capire come arrivarci, e si passa dalle prestazioni. Anche a livello comunicativo, la strategia “andrà tutto bene” lascia il tempo che trova: nello spogliatoio farà di sicuro fuoco e fiamme, ma a questa Juve non basterà mettere la testa sotto e caricare, anche perché non sarebbe in grado di reggere il ritmo di una battaglia continua. Tra le tante, è una delle cose che le manca di più.

Per fortuna dei bianconeri, c’è la Champions League. La Vecchia Signora ci si tuffa, di fronte c’è lo Zenit, nel mirino il passaggio del turno. È come se, in Italia e in Europa, Dybala&Co indossassero due vestiti diversi. Parte della spiegazione sta nel fatto che, detti dei limiti di cui sopra, nella sua formazione tipo la Juve resta una squadra estremamente competitiva. Il rifugio europeo, però, ha una data di scadenza: è davvero credibile che una squadra che fa così male in campionato possa continuare a vincere a lungo in Champions?