IL SANTO DELLA DOMENICA - La grande differenza tra perdere una partita e perdere la dignità

15.01.2023 00:01 di  Alessandro Santarelli   vedi letture
IL SANTO DELLA DOMENICA -  La grande differenza tra perdere una partita e perdere la dignità
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Perdere una partita si può, perdere la faccia e la dignità no. Mai. Da Napoli esce una squadra con le ossa rotte, non solo sul campo ma anche fuori. Il crollo subito dopo il 3-1 lascia pesanti strascichi e apre tanti, troppi interrogativi. Gli errori, quando perdi come avvenuto venerdi sera, non sono mai unilaterali, ma abbracciano molte componenti. In primis naturalmente le scelte, ma soprattutto la gestione dell’allenatore nel corso della gara. Passi, e non dovrebbe, l’aver schierato Chiesa con compiti soltanto difensivi nel primo tempo, passi, e non dovrebbe, aver regalato Kostic costringendolo a snaturarsi, passi, e non dovrebbe, il continuare a difendersi attraendo l’avversario nella propria metà campo, ma quanto visto dopo il gol de 3-1 non è accettabile. L’allenatore, un allenatore, deve essere in grado anche di gestire la squadra nel momento difficile, deve aiutare i suoi giocatori a non “sbracare” deve far capire che in campo si difende e si onora una maglia che è diversa dalle altre, e che certe figure non possono appartenere alla Juventus. E qui chiamiamo in causa chi ha giocato. Gli errori individuali purtoppo fanno parte della gara, Bremer ne ha commessi tanti, ma sarebbe ingiusto accusare ed attaccare soltanto lui. Uscire da Napoli con appena 9 falli fatti, tirando quasi sempre indietro la gamba, accettando passivamente il palleggio dell’avversario, non è da calciatori degni di vestire la maglia della Juventus.

Uno scenario che avevamo in parte già visto a Lisbona con il Benfica, ribaltato soltanto in parte dalla freschezza dei giovani. Stavolta, e non si poteva chieder loro di cambiare il volto della gara, gli inserimenti dei vari Iling Miretti e Soule non hanno portato a niente, ma il guaio era già stato fatto. Le otto vittorie consecutive, eccezion fatta per il secondo tempo con l’Inter e l’intera gara con la Lazio, avevano avuto un modus operandi molto simile. Concedere il minimo, e provare a segnare un gol sfruttando la maggior qualità dei singoli. Questo non vuol dire che siano state frutto del caso o della fortuna, ma semplicemente che è stata fatta una scelta rischiosa e discutibile, ma che in determinati contesti ha portato alla striscia di vittorie. Il problema è che quando si alza l’asticella,  in Europa, Benfica docet o in Italia, Napoli, lo schema salta, e tutti i difetti vengono al pettine.

Inutile girarci attorno: in questi ultimi anni la società ha costruito poco, ha guardato più all’immediato che in prospettiva, e sbagliando alcuni movimenti, il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi. Venerdi il Napoli aveva 11 titolari e 9 uomini in panchina in grado di entrare e dire la loro, cosa che la Juventus ad oggi, tra infortuni scelte tecniche e  acquisti sbagliati, non ha.

Come se ne esce? Il momento è delicatissimo, e nasconderlo sarebbe folle. Certo, quando i risultati bene o male arrivano, l’orizzonte si rasserena, quando non hai il conforto del campo, tutto diventa più difficile. Da qui a giugno l’obbiettivo sarà quello di stringere i denti, a cercare di ottenere il massimo senza fare troppo i sofisticati. Finita la stagione però si dovrà tirare una linea di demarcazione importante. Dovrà nascere un progetto serio che magari non porterà subito alla vittorie, ma che sia in grado di ridare luce e futuro alla Juventus.