A chi conviene il muro contro muro sulla Superlega? Questa Juve fa sembrare normale una domenica inguardabile. Allegri solo se alla Ferguson
Negli ultimi giorni è nata una campagna mediatica senza precedenti per il mondo del calcio. Da un lato perché ha messo insieme i tifosi di Juventus e Real Madrid; dall’altro, perché indirizzata contro un politico (barra burocrate) del pallone che degli hashtag su Twitter prevedibilmente si sarebbe disinteressato e infatti così è stato. Il CeferinOut è stato un fenomeno mediatico da non sottovalutare, anzitutto nella misura in cui ha certificato che il bacino d’utenza delle grandi squadre è tale da farsi sentire eccome. Di questo, per carità, non si dubitava. D’altro canto, non ha prodotto alcun effetto concreto, pure perché alimentato dalla stessa rabbia che probabilmente ha spinto il presidente dell’UEFA a delle uscite non propriamente felici. Il riferimento, per la cronaca, non è al paragone Allegri/criminali, che non ha mai fatto (quanti guai con Google Transiate), quanto al fatto che, dopo aver vinto, ha puntato a infierire.
Il guaio principale resta l’incomunicabilità che ha portato a quel grandioso aborto comunicativo che è stato tutto il progetto Superlega. Progettato male e annunciato peggio, non aveva e non ha alcuna speranza di vita, così com’è. Dal fronte opposto della barricata, tra Ceferin che rispondeva come un marito tradito e Rummenigge che si dimentica quel che aveva detto solo pochi anni fa, non si è fatto molto meglio. Sul lungo periodo, il progetto ha avuto una colpa e un merito. La prima è l’aver affossato qualsiasi tipo di idea legata a un campionato internazionale d’élite, per il quale pure i tempi sarebbero maturi. Non così, non senza merito sportivo, non per diritto di esistenza. Il merito è aver aperto la discussione su quanto in casa UEFA e in generale nell’Europa pallonara non funzioni. C’è del marcio, pochi dubbi. Da una parte e dall’altra, e il muro contro muro, per rispondere alla domanda retorica del titolo, non conviene a nessuno perché a un certo punto le due fazioni in guerra dovranno iniziare a parlarsi sul serio e trovare un terreno comune da cui ripartire.
A livello sportivo, peraltro, non ho onestamente capito la passione dei tifosi italiani, degli juventini e ancor di più dei milanisti, nei confronti del progetto. Su Twitter l’insulto è facile, ma la domanda è sincera, forse pure ingenua. La Superleague, almeno com’è stata annunciata una settimana fa, è perfettamente comprensibile a livello di business: azzera il rischio d’impresa, praticamente il sogno di qualsiasi dirigente aziendale. Sul piano sportivo non ha alcun senso e peraltro come oggi la Vecchia Signora ne gioverebbe ben poco. Al momento, la Juve rischia la Champions, ma almeno ha qualcosa da dire nel finale di stagione. Con la Superlega si disinteresserebbe del campionato perché tanto sarebbe nell’élite continentale per diritto divino e allo stesso tempo vi galleggerebbe mediocre alle spalle delle grandi spagnoli e delle inglesi. Perché purtroppo è questa la situazione del calcio italiano di oggi. E dei bianconeri nello specifico. Il più grosso guaio di un campionato negativo, che promette di essere fallimentare e rischia di essere devastante, è far sembrare normale una domenica come quella di Firenze. La Juve è stata troppo brutta per essere vera, eppure in qualche modo ci si è abituati all’idea che questo possa accadere. Dieci mesi fa sarebbe stato semplicemente impensabile.
A favor di telecamera, la rassicurazione per la prossima stagione è una sola: con la Champions, Pirlo resta. Inizia a essere sempre meno credibile, e non tanto perché l’Europa che conta sia complicata (ma fattibile, quello del 9 maggio sarà uno spareggio col Milan), quanto perché gli elementi da cui ripartire iniziano a essere davvero pochi. In cosa è migliorata la squadra da inizio campionato? Danilo a parte, quasi in nulla. Detto che proprio la vicenda Superlega avrà delle conseguenze ancora tutte da scoprire, la posizione dell’allenatore bresciano è più critica che mai. Forse addirittura già decisa. Il nome ricorrente per la sostituzione è Massimiliano Allegri. Sarebbe giusto sotto più profili. Anzitutto, di tanto in tanto i cavalli di ritorno a Torino funzionano (qualcuno ha detto Lippi?). In secondo luogo, il panorama è abbastanza povero di offerte: con Simone Inzaghi destinato salvo sorprese a rinnovare con la Lazio, l’unica reale alternativa d’alto livello sarebbe il ct Mancini, se mai dovesse liberarsi dalla Nazionale (ma anche lui è vicino al prolungamento). Gli altri nomi convincono poco, a meno di non pescare all’estero (rischioso). Così, il grande ritorno non sarebbe una cattiva idea, e non soltanto per un pizzico di nostalgia (che comunque...). A una condizione però: dare ascolto a quel che Allegri disse prima di andare via. Alla sua richiesta di rinnovare, ripartire, rifondare. In questo senso, il ruolo alla Ferguson. Non perché debba rimanere 26 anni alla guida della stessa società: in Italia non è mai accaduto e mai accadrà. Ma perché Sir Alex ebbe tempo e modo di ricostruire, prima di fare la storia.
Postilla inutile ma doverosa sui messaggi social al figlio di Pirlo scritti da qualche sub-umano: che schifo.