Il pallone racconta: I SEI MINUTI DI RIVERA (ultima parte)

Pelé, segna il primo goal della finalissima, saltando più alto di Burgnich, su un traversone perfetto di Rivelino. Il fotogramma di quello stacco e di quel colpo di testa è un’icona del calcio e dello sport intero; plasticità, potenza e forza. Arte pura; inutile il braccio testo di Burgnich, contro lo stacco portentoso di “O’ Rey”. L’Italia non si rassegna e pareggia con Boninsegna che sfrutta una colossale indecisione della difesa verdeoro. Primo tempo: 1 a 1. Milioni di persone in TV restano di sasso quando all’inizio del secondo tempo non vedono entrare Rivera.
L’Italia a poco a poco crolla; al 21’ segna da fuori area Gerson con un tiro imprendibile a fil di palo. Gli azzurri accusano il colpo, la stanchezza dei tempi supplementari giocati in semifinale comincia a farsi sentire, i tifosi iniziano ad invocare Rivera. Al 26’ segna ancora il Brasile, con Jairzinho; a meno di un miracolo, la Coppa è del Brasile. Passano uno, due minuti e finalmente Valcareggi da l’ordine ad uno dei giocatori della panchina di togliersi la tuta. I tifosi pensano che sia Rivera ed invece dalla panchina si alza Juliano, che va a prendere il posto di Bertini.
I minuti scorrono inutilmente e quando ne mancano solamente sei, ecco il gesto tanto atteso. Valcareggi richiama l’attenzione dell’arbitro Glockner e manda finalmente in campo Gianni Rivera. Nel cambio si sfiora la comica: Rivera non è pronto, s’è già slacciato le scarpe, perché la partita sta finendo, Mazzola si gira dall’altra parte e non guarda la panchina, ostentando la propria estraneità all’operazione. Vengono fatti cenni a Boninsegna, che esce facendo incavolatissimi gesti verso la panchina. E l’unico caso nella storia universale del calcio, in cui una squadra in pesante svantaggio, invece di aggiungere degli attaccanti per tentare il colpo di fortuna, ne toglie uno per rimpiazzarlo con un interno.
Valcareggi si giustifica:
«Ho rinviato di minuto in minuto l’inserimento di Rivera, perché avevo non solo Bertini con un leggero stiramento inguinale, ma anche Cera che stava male.
Se anticipavo il secondo cambio, rischiavamo di restare in dieci».
Il Brasile segna, con il terzino Carlos Alberto, il goal del definitivo 4 a 1. Rivera tocca quattro o cinque palloni e va sotto la doccia senza una goccia di sudore sulla fronte.
Quando viene posta a Valcareggi la domanda sul motivo per cui Rivera è stato fatto entrare a sei minuti dalla fine, il C.T. risponde:
«L’ho fatto, per dare anche a lui la soddisfazione di entrare nell’albo d’oro delle finalissime mondiali. In fondo, anche se l’Italia venne sconfitta, pensavo che gli sarebbe piaciuto poter dire un giorno “lo c’ero” ».
Ma nessuno lo ascolta, tutto il mondo sbigottisce e critica la gestione tecnica della squadra azzurra: da Pelé all’importante giornale sportivo francese “L’Equipe”, da Fulvio Bernardíni all’onorevole Carlo Felici, che presenta un’interrogazione alla Camera per sapere «se le decisioni dei tecnici azzurri siano state condizionate da contrasti insorti fra giocatori e dirigenti della Nazionale».
Siamo campioni d’Europa e vice-campioni del mondo, eppure siamo riusciti a far diventare ugualmente drammatico il Mondiale. Mentre gli azzurri volano verso casa, si prepara l’invasione e la sassaiola di Fiumicino. Anche il tifo ha la sua escalation: se un’eliminazione negli ottavi per mano dei nord coreani vale un lancio di pomodori, per bocciare dei vice-campioni mondiali battuti dal Brasile di Pelé ci vuole qualcosa di più serio.
Saranno a migliaia (c’è chi parla, addirittura, di ventimila) i tifosi infuriati che accoglieranno gli azzurri al rientro dal Messico. Quando avvistano Valcareggi in un pullman, scoppia il finimondo. Lancio di sassi, finestrini infranti, ululati di sirene sulla pista, l’autobus che sfreccia a tutto gas verso un hangar dove trova rifugio. Il capannone viene stretto d’assedio; all’interno, giocatori spaventati, la figlia di Mandelli che piange perché colpita alla testa, ferito l’operatore televisivo Franco Tonini. Poco o nulla si sa di tutto questo, mentre Walter Mandelli, che con un altro troncone della comitiva ha raggiunto, protetto a fatica dalle pressanti minacce della folla inferocita, l’edificio dell’aerostazione, tiene una conferenza con alcuni azzurri nella sala stampa di Fiumicino. Imperturbabilmente argomenta:
«Non si può negare che, conquistando il secondo posto, siamo andati oltre ogni previsione. E devo confessare che non ci diamo pace per l’occasione perduta».
Meno ancora si danno pace i tifosi, che la polizia dirada con gli sfollagente, dinanzi all’hangar per far passare un furgone cellulare: dentro, rannicchiato in fondo al cassone, c’è Ferruccio Valcareggi. Con quel poco trionfale trasferimento, il C.T. rientra a casa, a due giorni soltanto dalla sconfitta patita da uno dei più forti Brasile di sempre, nella finalissima del Mondiale 1970.