Il pallone racconta: I SEI MINUTI DI RIVERA (prima parte)

Misteri, scandali, polemiche, gioie e dolori. Tutti gli ingredienti che fanno del calcio il "gioco più bello del mondo
30.03.2010 09:40 di  Stefano Bedeschi   vedi letture
Il pallone racconta: I SEI MINUTI DI RIVERA (prima parte)

Città del Messico, maggio 1970; la nazionale Italiana è alloggiata a Chapultepec, zona di Las Lomas, per preparare i Mondiali. La nostra nazionale è ritenuta una delle favorite per la vittoria finale, vantando l’invidiabile ruolino di 21 partite utili sulle ultime 22 disputate e, soprattutto, il titolo di campione d’Europa conquistato nel 1968.
Chi presiede il Settore Tecnico è Walter Mandelli, uno dei piemontesi arrivati in Federazione nel biennio di presidenza del giovane Umberto Agnelli. Ma solo da qualche mese ha ufficialmente assunto il comando delle operazioni: è lui che tiene le conferenze stampa ed è lui ad essere convinto che le vittorie si ottengono, non solo sul campo, ma anche con la gestione dei rapporti con i giornalisti, con la squadra, con i dirigenti internazionali e con gli arbitri.
L’allenatore è Ferruccio Valcareggi, un triestino di grande saggezza e competenza trapiantato a Firenze, di fibra forte e carattere mite; ha giocato il calcio a livello accettabile e, da allenatore, ha fatto esperienza fra Atalanta e Fiorentina preferendo poi il meno brillante, ma più sicuro, stipendio della Federazione. Valcareggi vive in simbiosi calcistica con il nuovo presidente federale, il fiorentino Artemio Franchi, il quale gli consiglia di dare carta bianca a Mandelli, in modo che, in caso di tempesta, sarà questo parafulmini a bruciare, salvando i due fiorentini.
E la tempesta arriva: in una conferenza stampa, Gianni Rivera, fa esplodere la sua rabbia:
«Da quello che ho capito, mi vogliono far fuori, il perché non lo conosco. Questioni tattiche ??? Sapete che non le capisco».
Lo sfogo è torrenziale, non c’è tempo neanche per far domande.
«Finora il titolare ero io, quando sono stato convocato, ho sempre giocato e non mi pare di avere sbagliato le ultime partite. Comunque, se vogliono togliermi di mezzo sono liberi di farlo, ma dovrebbero avere il coraggio di dirmelo in faccia. Sono convinto che, se ci fosse solo Valcareggi alla guida della Nazionale, certe cose non accadrebbero».
Perché Rivera esplode a cinque giorni dall’esordio dell’Italia contro la Svezia a Toluca ??? Basta un’ipotesi di esclusione per spiegare una così clamorosa ed aggressiva reazione ??? Se è Sandro Mazzola ad indossare la sua maglia, la risposta è affermativa. I due sono da quattro anni protagonisti e vittime di un’autentica guerra di “religione”, che li rende ancora più rivali di quanto dovrebbero. Interisti contro milanisti, offensivisti contro difensivisti, “mazzoliani” contro “riveriani”. Due leader, due correnti critiche, due clan schierati muro contro muro.

Dopo la disfatta contro la Corea del Nord erano tutti “abatini”; poi, a poco a poco, l’insolente etichetta è rimasta al solo Rivera. Curiosamente, la coppia dei migliori calciatori italiani è una miccia perennemente accesa sotto la panchina del tecnico azzurro. Nonostante la tregua per la conquista dell’Europeo nel 1968, divampano furiose battaglie: come, per esempio, quella della maglia numero sette, che tanto Mazzola quanto Rivera sdegnosamente rifiutano. La crisi di coesistenza si aggrava alla vigilia del Mondiale messicano, quando Mazzola considera finita la sua missione di centravanti ed annuncia la nuova vocazione di rifinitore centrocampista: guarda caso, proprio il ruolo di Rivera.
Valcareggi fa finta di non capire e qualche mese prima del Mondiale lascia intendere che il centravanti per il Messico verrà scelto fra Mazzola ed Anastasi. I piani di Valcareggi saltano, non solo per la riluttanza di Mazzola ad indossare la maglia numero nove, ma anche per l’improvviso forfait di Anastasi, vittima, a ventiquattro ore dalla partenza, di una torsione del funicolo testicolare che richiede un intervento chirurgico d’urgenza ed un mese di riposo. Viene convocato, per telefono, alle cinque di mattina, Roberto Boninsegna. Insieme a “Bonimba”, venne convocato anche Pierino Prati, così i giocatori si trovarono in ventitre, contro i ventidue consentiti dal regolamento. Uno avrebbe dovuto essere scartato e la scelta cadde su Giovanni Lodetti; soprannominato “Basletta”, Lodetti era il fido alfiere cento polmoni di Rivera, nel centrocampo milanista. Giovanni dovette rientrare in Italia a malincuore, ma i suoi guai non sarebbero finiti con quell’esclusione; infatti, il Milan decise di venderlo alla Sampdoria.
«Non pensavo nemmeno lontanamente alla possibilità di cambiare squadra, ma erano altri tempi, non c'erano procuratori, allora la società era padrona del tuo cartellino. Il colpo fu durissimo; mai mi sarei aspettata una cosa del genere, dopo tanti anni in rossonero. In più, passare improvvisamente dalla lotta per lo scudetto a quella per non retrocedere fu uno shock».