Gli eroi in bianconero: Francesco MORINI

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
12.08.2023 10:22 di  Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Francesco MORINI
TuttoJuve.com

Veste la maglia bianconera nell’estate del 1969, arrivato, dalla Sampdoria, in compagnia di Bob Vieri. Due personaggi completamente differenti: lui pisano (nato a Metato, frazione di San Giuliano Terme) concreto, attento, preciso, attaccato alla professione; il pratese geniale, quanto incostante, promessa mai mantenuta nel nostro calcio. L’allenatore della Juventus è Luis Carniglia, un esigente sognatore, il quale avrebbe voluto che tutti i propri giocatori, anche uno stopper, saltassero gli avversari con un tunnel. Morini non aveva per niente queste caratteristiche e si trovò a disagio.
Era una piovra che, con mille tentacoli, toglieva il pallone dai piedi del diretto rivale, uno stopper perfetto, dalla marcatura ferrea.
«Sapevo di avere dei limiti, ma sono sempre stato sorretto da un buon fisico e da un’ottima condizione atletica; seppure fossi alto, ero molto veloce e scattante, sicché potevo marcare, indifferentemente, avversari piccoli o ben messi. Anche se non cattivo, sono sempre stato molto spigoloso, rognoso e appiccicoso, pronto in ogni momento a far valere il mio anticipo, Di certo, non mi cimentavo in lanci millimetrici, preferivo appoggiare la palla a un compagno vicino a me».
Soprannominato Morgan, come il pirata, perché, come scriveva un giornalista a quel tempo, da pirata era il suo modo di depredare l’avversario del pallone roteandogli addosso i bulloni, di arrangiarsi con i gomiti. Fisico poderoso e asciutto (181 centimetri per settantatré chili), undici volte nazionale, Morini era uno di quei rari atleti mai domi, di grandissima utilità, capaci di giocare anche con una caviglia a pezzi, con un muscolo dolente. Arrivò a marcare un extra terreste come Cruijff, malgrado avesse un tallone fuori uso. Bastava un’iniezione antidolorifica per farlo scendere in campo: «In bianconero ho passato degli anni meravigliosi. Abbiamo centrato risultati eccezionali, sia in Italia che in Europa, ho avuto per compagni di squadra, dei veri campioni. È importante giocare con dei campioni, perché ti trascinano ed io mi sono fatto trascinare. Ricordi ne ho tanti, rimpianti un solo: Belgrado, eravamo nel 1973, finale di Coppa dei Campioni, persa contro un Ajax grande, ma non poi così grande. Insomma, avremmo potuto anche giocarcela, invece andò come tutti sanno».
Francesco lascia la Juventus alla fine del campionato 1978-79. Si trasferisce in Canada, nel Toronto Blizzard a studiare lingue, per poi presentarsi, successivamente, al corso di manager di Coverciano. Terminato il corso, Cecco, ritorna alla Juventus come dirigente: «Un tipo di lavoro che mi ha sempre affascinato e appassionato». Mette a disposizione la sua esperienza maturata sul campo, che unisce la professionalità all’amore per colori per i quali ha dato molto ma dai quali, dice, ha ricevuto moltissimo: «Ho sempre cercato di imparare dai più bravi, sia da calciatore che da dirigente ed ho sempre continuato a farlo. Sono stato onorato di far parte della famiglia bianconera, mi sono sempre identificato in questo ambiente, conoscendone i segreti; non mi sarei mai visto a lavorare altrove».
Non ha mai segnato una rete ufficiale: «A dire il vero, una volta un goal l’ho fatto, in un torneo italo-inglese, disputato in un’estate di tantissimi anni fa. In ogni caso, la mancata segnatura di reti non mi ha mai contagiato più di tanto, perché ciò che mi esaltava era fare in modo che non andasse in goal l’uomo che dovevo marcare. Questo equivaleva, per me, a una rete, perché se in squadra devono essere particolarmente attivi i bomber, altrettanto devono esserlo i difensori a imbrigliare il gioco delle punte avversarie». Come dargli torto?

GIANNI GIACONE, DA “HURRÀ JUVENTUS” DEL MAGGIO 1980
Lo stopper più granitico e guerreggiante dei tempi moderni, dunque, prende e se ne va. Francesco Morini, gloria vivente di tanto calcio italiota degli anni Sessanta e Settanta, decide che è giunto il suo momento, ma prima vuole, fortissimamente vuole, concedersi una divagazione sportiva che è emblematica del tempo presente, inimmaginabile per il pioniere. Morini va a chiudere la sua carriera di ineguagliabile lottatore in America, Canada per l’esattezza, ed è decisione niente affatto sorprendente, semmai perfettamente allineata con la personalità di questo difensore tra i più illustri della Juventus trionfante di questi anni. Duro è il mestiere di stopper, dove il talento non basta e spesso il coraggio e la cattiveria sono valori ben più essenziali. Durissimo, poi, fare lo stopper nella Juve. 1969, anno di grazia e di parecchie disavventure. Francesco Morini arriva venticinquenne dalla Sampdoria con la fama di marcatore ruvido ancorché insormontabile. Deve rilevare le incombenze dell’araldo difensivo della Juve heribertiana, dell’ultimo centromediano antico del nostro calcio, di Giancarlo Bercellino da Gattinara, eroe con Tino Castano del tredicesimo scudetto. È un’eredità grave, un fardello dei più ingombranti.
Gli inizi non sono facili, né potrebbero esserlo. La Juve che dovrebbe voltare pagina e tornare a essere trionfante, in realtà inciampa spesso in ostacoli all’apparenza agevoli e le colpe si ripartiscono tra tutti, stopper compreso, stopper prima di altri. Il derby di andata in una luminosa e calda giornata di ottobre si vinceva a una manciata di secondi dalla fine grazie ad una rete di Zigoni detto Zigo e va a finire che si perde per una dabbenaggine di Morini nostro, che fa saltare indisturbato Bui sotto porta, e gli consente la più comoda delle realizzazioni. Lo sguardo solare di Francesco si rabbuia, ci sono giornate tristi di solitudine per quest’atleta in cerca di comprensione tecnica. Carniglia, l’allenatore che nulla ha da insegnare a Vieri e Haller fuoriclasse d’altri tempi, non riconosce l’indispensabile lavoro di rottura del biondo stopper toscano e si lascia andare ad affermazioni poco felici che rattristano il ragazzo. Ci vuole tempo, non molto, ma ci vuole. Carniglia non può avere futuro in questa Juve che vuole proiettarsi sugli anni Settanta. Morini fa parte della Juve Settanta. Il dilemma tecnico tra il vecchio hidalgo e il giovane stopper non si pone neppure.
La leggenda bianconera di Francesco Morini, certo, passa attraverso tappe e momenti speciali. Per esempio, momento importante e altamente significativo il suo duello con Gigi Riva, che inizia nel novembre del 1969 all’Amsicora di Cagliari e prosegue per anni, sempre all’insegna della massima correttezza pur nel massimo dispiego di energie e sforzi. Tenacemente assertore del gioco all’inglese, dotato di un anticipo che non concede scampo all’attaccante in cerca di leziosità, Morini costruisce il suo stile in pochi tratti essenziali e lo spiega al volgo con prestazioni monumentali. I duelli rusticani con Giorgione Chinaglia esemplificano al massimo grado questa concezione di gioco, di tempesta e assalto, di pionierismo nel senso di impegno cristallino, di dedizione alla causa bianconera. A qualcuno può non piacere questo modo brusco di cercare il tackle, questa volontà tremendamente applicata alla marcatura. Nessuno, però, può discuterne l’efficacia.
Cesto Vycpálek, chiamato a proseguire il lavoro del povero Picchi su un telaio di giovani campioni in cerca di grandi traguardi, eredita già lo stopper di tutte le leggende. Nella Juve 1971 che sta per vincere tutto, Morini è già colonna insostituibile. I centravanti del campionato imparano a conoscere e a temere la disfida lanciata dallo stopper toscano oramai saldamente trapiantato a Torino. Lo scudetto della sofferenza, il quattordicesimo, arriva con il determinante contributo dello stopper giunto a piena maturazione tecnica e umana. Morini onora la maglia con un rendimento medio altissimo e giganteggia con fior di campioni, soffrendo praticamente in una sola circostanza, un Juventus-Napoli che anche per questo finisce pari, 2-2. Morini nell’occasione è chiamato a controllare un centravanti che ne sa una più del diavolo e che, secondo alcuni, sta per appendere le scarpe al fatidico chiodo. Non sarà così, per fortuna della Juve che anche grazie a costui costruirà il suo mito. Fin troppo chiaro che stiamo parlando di Altafini. Trenta presenze nel magico campionato 1971-72, trenta erano pure state le presenze nel 1970-71. Due stagioni senza manco un’assenza che è una rappresentano già un fatto significativo.
Ma il bello deve ancora venire. Lo scudetto numero quindici, quello del 1972-73 propone un Morini ancora migliorato sul piano della sicurezza, oramai dotato di un bagaglio di esperienza che solo un veterano può permettersi di vantare. E Francesco a tutto si può avvicinare, meno che a un veterano. 1973-74 e 1974-75 coinvolgono anche il biondo difensore bianconero, ne toccano assetti umani non inediti ma comunque suggestivi in prospettiva futura. Morini accusa qualche infortunio, il dispendio di energie e gli elevati rischi che comporta il suo modo di giocare, sempre estremamente battagliero, intaccano, talvolta, la sua dura scorza. Accade che talvolta la critica non sia benevole nei suoi confronti. Sono accadimenti, episodi, che lasciano il tempo che trovano. La volontà contribuisce ad assorbire infortuni e critiche a tempo di record. Il tallone che lo fa soffrire è spesso ignorato a scusante di certe prestazioni non propriamente inappuntabili, e sono le poche volte che il personaggio, che poi personaggio non è almeno nel senso comune del termine, esce allo scoperto e affronta le critiche con la medesima risolutezza e linearità con cui duella con i centravanti.
Le fortune bianconere non coincidono che raramente con analoghe soddisfazioni azzurre, e questa è la principale ragione di rammarico di Morini. La Nazionale messicana, che giustamente Valcareggi, per meriti effettivi oltre che per normale riconoscenza, mantiene a lungo intatta o quasi, non concede spazio allo stopper bianconero, all’oramai leggendario Morgan delle mille battaglie. Né si può dire dei più fortunati l’impatto di Francesco con la maglia azzurra, alle porte del Mondiale di Germania. A trent’anni, coinvolto negli esiti infausti di una spedizione nata male e finita peggio. Morini paga colpe che non ha mai avuto e finisce nel dimenticatoio, proprio mentre la sua vicenda bianconera raggiunge vertici assoluti, tanto in campo nazionale che a livello di coppe. È un neo assolutamente ingiustificato, sul quale Francesco ha lungamente filosofeggiato, senza acredine e inutili polemiche.
Anche questo contribuisce a rendere grande e assoluto il personaggio. Il Morini più grande, quello cui tutti i supporter bianconeri sono maggiormente legati, è però senza dubbio l’ultimo, il più vicino a noi. La maturità del campione è spesso segnata da una lenta quanto inesorabile parabola discendente sul piano del rendimento: nulla di tutto questo nel caso di Morini che conosce nella Juve trapattoniana i momenti forse più esaltanti di una carriera sfolgorante. Le battaglie di Coppa Uefa esaltano l’ardore e l’attaccamento alla causa bianconera dello stopper più roccioso dei tempi moderni, ne affinano l’acume tattico, ne rendono sempre più efficace il contrasto. Anche gli esteti devono alfine ammettere uno stile Morini, e di stile autentico si tratta, affinato dalla partecipazione a tutti i massimi eventi della recente storia bianconera.
Entrato di diritto, nella stagione passata, tra i grandi della Juve quanto a fedeltà di presenza, Francesco Morini lascia in modo glorioso, in perfetta sintonia con il suo carattere. In America ritroverà una fetta del suo passato, e rivivrà con sfumature diverse gli attimi esaltanti della sua ineguagliabile carriera. E sarà tramonto ancor più glorioso. Il momento di appendere le scarpe al chiodo rappresenta per molti giocatori un vero e proprio trauma; vediamo esempi quasi quotidiani di uomini dal passato eccellente che, non sapendo rassegnarsi, accettano ruoli quasi patetici in squadre, per così dire, periferiche. Nel caso di oggi c’è, al contrario, chi impegna le sue attività sempre nel calcio ma in altra direzione restando in servizio attivo ad alto livello. Non poteva essere altrimenti: Francesco Morini stopper tutto di un pezzo, terrore di tanti attaccanti di casa nostra e del resto del mondo, non soddisfatto delle sue esperienze ha deciso di studiare il calcio straniero e in particolare quello d’America. Poiché, in casa, vi era oramai un degno e promettente sostituto, se n’è andato a vedere da vicino le società calcistiche del nuovo mondo.
Sir Morgan, come lo soprannominano i tifosi, giunto quasi al momento di ritirarsi in pensione, ha voluto rimanere se stesso: infatti, il segreto della sua carriera è sempre stato condensato in queste due parole: saper osservare. «Vi sono due modi di essere buoni giocatori – ha detto Morgan in un’intervista – avere innato il senso del gioco e della posizione oppure imparare guardando per far tesoro delle prestazioni altrui». Nella sua lunga carriera, non ha mai sgarrato da questo intendimento. Per lui non vi sono mai state polemiche se doveva starsene in panchina, sia quando militava nella Sampdoria, sia quando vestiva in bianconero: «Anche stando ai bordi del campo c’è tutto da apprendere; certo, dipende da chi vedi all’opera ma, stai tranquillo, se hai occhio critico, impari come comportarli anche se fai la riserva».
Il ruolo che ha ricoperto nella sua carriera non è stato dei più facili, eppure in virtù della sua umiltà è riuscito a intimidire e ridicolizzare tanti avversari di grido. Tralasciando l’attività nelle squadre minori, la sua carriera si è svolta in sei anni alla Sampdoria e undici alla Juventus, vivendo due aspetti diversi di gioco, due modi distinti di lottare: il primo quasi totalmente intento alla ricerca della salvezza, il secondo diretto invece alla conquista di tanti primati. Il segreto di una carriera sempre, in crescendo è costituito esclusivamente dalla professionalità di Morini e dal suo comportamento lineare che non ha mai sgarrato dalle precise regole che si era imposto. Comportarsi secondo i dettami della disciplina sportiva non gli è mai costato sacrificio: ubbidire all’allenatore è sempre stato per lui facile, mantenersi in forma altrettanto, nessuno può imputargli crisi o impennate di carattere.
Il nostro biondo Vichingo, ha un cruccio: «In mezzo a molti successi, a tanti trofei, sento la mancanza di una Coppa dei Campioni. Ogni volta che la Juventus ha giocato in quella competizione è sempre arrivata a due passi, a un soffio da quel traguardo e ogni volta se l’è vista sfuggire». È vero, fare previsioni specie in quel campo, è assai arduo: quella è una strada intessuta di tanti piccoli frammenti di mosaico che fanno storia a sé e poi vi partecipa la crema del calcio mondiale per cui il successo ti arriva con la stessa difficoltà di un terno al lotto o di una vincita al totocalcio.
Si è parlato troppe volte di un Morini terribile come se fosse un pirata dell’area di porta: «Non mi sono sempre fermato in quel punto, sovente mi sono spinto in avanti, perché così mi ha imposto di fare il gioco praticato dalla Juventus. Ho fatto anche lo stopper avanzato e, credetemi, il mestiere in quel punto del campo è quanto mi ardito». Le più grosse soddisfazioni di Morgan sono quelle di aver fatto passare notti insonni agli avversari e di aver mandato a monte innumerevoli piani tattici di allenatori avversari che pensavano di poterlo distogliere facilmente dai suoi compiti: «Cruijff mi ricorderà certamente, Bersellini e tanti altri mi sogneranno, però dovranno dare atto della mia lealtà sportiva, perché falli cattivi con il preciso intento di far male, non ne ho mai compiuti. Non fanno parte del mio bagaglio mentale e neppure del mio stile». Con queste parole, egli intende chiudere la bocca a taluni denigratori che, per poter segnare reti, avrebbero voluto incontrare un Morini suonatore di violini o clavicembali. Nella vita di ogni giorno, Cecco, è tutt’altro che un duro: legato sì alle tradizioni e ai ricordi ma è anche previdente e sa mettere le mani avanti con oculata preveggenza: «La vita di un calciatore è veloce, possa con la rapidità di un lampo per cui bisogna aver gli occhi ovunque: sul passato, sul presente e sul futuro».
In vista del futuro si è inserito nella concessionaria Otma e volgendo le spalle indietro ha chiamato Jacopo il figlio: «Ricorderò sempre i primi passi che ho mosso sul campetto dell’Oratorio di San Jacopo a San Giuliano in quel di Pisa». Questa è una sorta di legame tra il passato e il più bel presente dello stopper juventino. Ora, è partito per l’America a studiare l’ambiente calcistico di laggiù: «È che non sono tuoi sazio di esperienze, mi sono cercato un’altra panchina perché so quanto sia utile vedere cose nuove per continuare a imparare».
Ecco cosa gravita oggi attorno alla realtà Morini, quell’uomo tutto di un pezzo che non ha mai speso una parola in più del dovuto e che, forse, ha fatto un solo sogno di troppo: la Coppa dei Campioni. Che cosa si poteva chiedergli e cosa poteva darci di più? Nulla! Ha vestito la maglia bianconera e quella azzurra della Nazionale con eguale ardore e impegno, ha collezionato successi in Italia e all’estero in piena umiltà e in nome di un’inimitabile professionalità.