Totò Schillaci: "Quando il Trap mi disse che avevamo ammazzato Falcone. La Juve non voleva che divorziassi. Andai via per l'acquisto di Vialli"

Salvatore Schillaci ha parlato a La Repubblica presentando il suo libro, in vendita da domani, "Il gol è tutto". L'ex attaccante della Juventus ha svelato alcuni particolari della sua carriera, anche in bianconero: "La gente pensa che esista solo il campo. Invece per resistere nel calcio bisogna accettare altre cose. Io le ho accettate. Se vuoi essere un personaggio, devi stare al gioco. La sincerità è un bene a cui si rinuncia. Perciò esiste il calciatorese, quella lingua in cui si parla e non si dice niente. Alla mia prima partita, nello spogliatoio del Messina, c’era un barattolino di perline rosse. Pastiglie di Micoren. Ognuno ne prendeva due, servivano a spezzare il fiato. Le presi anch’io, fidandomi dei medici. La mia vita è stata difficile. Sono nato di sette mesi, i nonni mi scaldavano con bottiglie d’acqua calda. Abitavamo in via della Sfera 19. Un segno. La sfera era il pallone e il 19 la maglia ai Mondiali. Al Cep avevo cattive compagnie, ma il calcio mi distraeva, e per distrazione mi sono salvato. Non andavo volentieri a scuola, ma i pericoli so vederli. Gli anni ’90 a Palermo sono stati terribili. Ho aperto tardi gli occhi. Pensavo a giocare, per me la mafia era una realtà locale. Il pizzo, il totonero, le bische. Finché una sera, in ritiro, Trapattoni si avvicina e mi fa: avete ucciso anche Falcone. Gli risposi: mister, ero con Baggio, chieda a lui cosa ho fatto. Non scherzava, l’aria era pesante. Ma andai a ripeterglielo quando lasciai la Juve: non l’ho ucciso io, né quei siciliani che non meritano pregiudizi. Non vengo da una famiglia benestante. Mio padre ci portava al mare a Mondello, al posto del salvagente avevo una camera d’aria per stare a galla. Ho fatto il panettiere, il gommista, l’ambulante, ho consegnato il vino, vendevo frutta. Volevo dei soldi in tasca, il calcio è stato la mia camera d’aria. Giocavo per ore col Super Tele, il pallone leggero. Nemmeno Pelé ci fa tre palleggi col Super Tele.
Per un calciatore il sesso è facile. Cercavo attenzioni. A Torino sono stato discriminato. Offese, sfottò, le scritte sotto casa. Andai in crisi. Convertivo la rabbia in sesso. Ho tradito molto. Ma il tradimento è come una bibita gasata. Toglie la sete subito, poi hai di nuovo la gola secca. La Juve non voleva che ci separassimo. Portavo in campo i tormenti. Gossip, malignità. Tutti a telefonarmi quando Lentini ebbe l’incidente mentre andava da lei. Negli stadi insultavano. Non bastava terrone e mafioso, non bastava il coro “ruba le gomme”. No: pure cornuto. In società non ne parlavano, ma le persone intelligenti accennano, fanno capire. Comprarono Vialli. Dovetti andar via. Ora sono cambiati i tempi, dopo Gianni Agnelli vedo che è cambiata pure la Juve. Sui capelli lunghi, sulla puntualità, sugli amori. Non ero l’unico a non saper parlare. La maggior parte dei calciatori è ignorante. Guardate come sbagliamo gli investimenti. Una donna semplice come mia madre è stata sempre più brava di me a capire quali fossero le persone di cui non fidarsi. Ho una scuola calcio a Palermo, spendo il mio nome per gli altri. Se avessi fatto l’allenatore, avrei ripreso la solita vita. Alberghi, aeroporti, stadi. Questo è. Ma preferisco vivere. Ora se vado a Parigi, la torre Eiffel la vedo”.