Torino, Cairo: "All'inizio accolto come un santo, ora contestato. Zero offerte per il club"

Il mercato da poco concluso, l’inizio di stagione con Marco Baroni, le ambizioni del Torino. Urbano Cairo, presidente del granata, interviene a Maracanà sulle frequenze di TMW Radio e de Il 61.
Che inizio di campionato è stato per il Torino?
"Siamo partiti male, la prima partita è stata orribile. Poi però, nelle gare successive, soprattutto a Roma, ho avuto buone sensazioni. Vanno confermate, ma ho visto una squadra ben messa in campo e mi sono ripreso dal brutto lunedì che ha aperto il campionato. Ho visto cose migliori, sono fiducioso".
Lei viene contestato da tempo, il Toro può riconquistare la gente con il bel gioco?
"Io sono stato accolto inizialmente come se fossi un salvatore della patria, santo subito. Per qualche anno è andata così, poi siamo retrocessi e sono stato contestato. Poi siamo tornati in A, siamo arrivati in Europa... Nell'ultimo anno e mezzo è arrivata la contestazione, ma restano più gli anni in cui mi hanno apprezzato. Il calcio è fatto di questo, va accettato: ho fatto comunque una campagna acquisti importante, spendendo cifre non piccole. Quello che conta è fare le cose bene, per il bene del Toro e per cercare di ottenere risultati migliori dell'anno precedente. Poi il Toro può ritrovare un bel rapporto con i tifosi, posso farlo io per primo: tanti sono dalla mia parte, lo vedo quando cammino per strada. Però la cosa che conta è cercare di fare un Torino migliore, che dia uno spettacolo convincente, ottenendo buoni risultati. È una bella medicina, ora domenica abbiamo un appuntamento importante con l'Atalanta: dobbiamo continuare, rimanendo con i piedi per terra e lavorando con determinazione come sta facendo Baroni".
Come ha scelto Baroni?
"L'abbiamo seguito negli anni precedenti, a Lecce e Verona, e poi ovviamente alla Lazio. Ha fatto un ottimo campionato: vedendo le cose che ha fatto e come ha lavorato con i giovani, oltre al gioco che offre, molto propositivo, ci è piaciuto. Quando si è liberato dalla Lazio, improvvisamente e anche in maniera inattesa a fine maggio, l'abbiamo contattato per avere un incontro, per vedere se anche di persona si confermassero le buone sensazioni nate dal vederlo lavorare nelle società in cui ha lavorato. Le buone impressioni sono state confermate dagli incontri personali avuti con lui, e a quel punto abbiamo deciso di puntare su Baroni. È stato un lavoro fatto con attenzione negli anni precedenti: uno segue più tecnici, immaginando un futuro... Noi abbiamo tenuto Juric per tre anni, ma lui pensava di andare via e in effetti non abbiamo rinnovato, poi abbiamo preso Vanoli e ora Baroni, che seguivamo anche da prima".
Ha chiesto un consiglio a Lotito?
"No, non ho fatto chiamate. Queste telefonate tra presidenti a volte sono utili e altre meno. Baroni stava lasciando la Lazio, avrei potuto trovarlo non disposto bene. Chi lo sa".
C'è un allenatore a cui è molto legato?
"Beh, ovviamente a Giampiero Ventura, abbiamo fatto anni molto positivi, dalla Serie B al settimo posto in Serie A, poi facemmo anche bene in Europa con gli ottavi di finale di Europa League. Siamo stati la prima squadra a espugnare il San Mames di Bilbao: abbiamo fatto cinque anni molto belli, e con lui si è sviluppato un rapporto personale molto buono. Sono il suo testimone di nozze. Poi ho tuttora un grande rapporto con Gianni De Biasi, che è stato il mio primissimo allenatore. Avevo un gran rapporto con Sinisa Mihajlovic. Ho un ottimo rapporto con Mazzari, ma anche con Juric. Se vogliamo, da Ventura in poi, io ho tenuto gli allenatori per un numero di anni importante. Cinque anni Ventura, tre anni Juric, due anni Mazzarri: ho dato supporto e tempo ai miei allenatori. Prima ero più ballerino, poi ho capito che era importante sceglierlo bene e sostenerlo".
È il momento di tornare in Europa?
"La cosa importante è lavorare per ottenere dei risultati, però secondo me nel calcio è meglio evitare di fare dichiarazioni roboanti o voli pindarici. Noi, avendo fatto investimenti importanti, vogliamo fare meglio dell'anno scorso e di quelli precedenti. Poi, scaramanticamente, oggi non stiamo a dire qualcosa di più. Vediamo come va, e a quel punto potremo essere più espliciti e scoprire le carte".
Lei è amico di Antonio Conte, parlate del Torino?
"No, lo conosco molto bene, lui è molto amico di Gianluca Petrachi che è stato mio direttore sportivo per dieci anni. Non ho una frequentazione abituale o altro, non lo sento da un po' . Nel suo anno sabbatico, vivendo a Torino, è venuto spesso a vedere il Toro e a volte, scherzando, mi chiedeva i biglietti dicendo che portava fortuna".
Il Torino può cercare di stare davanti a squadre come Atalanta o Bologna?
"Io non mi metto a fare un discorso relativo a singole società, non penso sia elegante. Dobbiamo essere consci delle cose che possiamo fare e della storia che ha il Torino, anche se la storia è cambiata e il calcio non ha più gli equilibri economici dei tempi del Grande Torino o del Toro degli anni '60. Non citiamo una squadra o l'altra, dobbiamo fare la corsa su noi stessi e cercare di migliorare quello che facciamo".
È vero che sono arrivate offerte per la società? E ha voglia di vendere o di tenere?
"Io non ho ricevuto offerte al momento. Qualche tempo fa ho detto che, se arriva qualcuno con risorse importanti e voglia di fare bene, posso anche cedere il Torino. Non faccio fatica a ripeterlo, ma per ora non ho ricevuto offerte da parte di soggetti di questo tipo. Se arriveranno, si valuterà. Non voglio rimanere a vita al Torino a tutti i costi, nel caso dirò che ho fatto il mio".
Come si può togliere dalla palude il calcio italiano?
"Se pensiamo ai cinque grandi campionati europei, oggi abbiamo una distanza molto importante dalla Premier League inglese, che ha un fatturato triplo rispetto a noi soprattutto grazie ai diritti Tv. Anche la Bundesliga ha risorse superiori alle nostre e questo è un tema: il primo obiettivo è cercare di crescere sui diritti tv internazionali. Poi ci sono gli stadi: siamo in ritardo e dobbiamo accelerare, fare di più e fare meglio. Il terzo tema è legato ai giovani, ai vivai e ai centri federali per coltivare i talenti. Ovviamente a tal fine dobbiamo avere anche delle regole affinché i giovani giochino, ma dobbiamo impegnarci tutti. Noi abbiamo lanciato sei giovani in prima squadra nella scorsa stagione, ma questo deve essere uno sforzo condiviso da tutto il movimento, anche per la Nazionale".