Jacomuzzi: "Conte vuole giocatori pronti e non da formare, lo ha dimostrato anche alla Juve e all'inter"

Jacomuzzi: "Conte vuole giocatori pronti e non da formare, lo ha dimostrato anche alla Juve e all'inter"TuttoJuve.com
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di Redazione TuttoJuve

A "1 Football Club", programma radiofonico condotto da Luca Cerchione in onda su 1 Station Radio, è intervenuto Carlo Jacomuzzi, presidente dell’Aioc ed ex direttore sportivo di Napoli ed Atalanta. Di seguito, un estratto dell'intervista.  

Presidente, uno dei problemi del calcio italiano è che manchino gli italiani? 

“È proprio così. Ne ho parlato anche con il presidente dell’Aiac, Luigi, proprio ieri. Abbiamo fatto una giornata insieme e anche lui è molto preoccupato. Vorrebbe introdurre una sorta di clausola o limite, perché ormai è tutto straniero: i direttori sportivi, gli osservatori, i giocatori. Coverciano forma ogni anno circa 40 direttori sportivi e una ottantina di osservatori, ma poi vediamo che nei club, a ricoprire quei ruoli, sono quasi tutti stranieri. Non abbiamo più nulla di nostro. La dimostrazione è che siamo qui, con la paura di non andare ai Mondiali per la seconda o terza volta. O si pone un limite, o non si può andare avanti così. Bisogna chiedere garanzie alle società, trovare una linea comune. Anche perché, ormai, molte società sono in mano a proprietà straniere. Il nostro calcio non ci appartiene più, e questo fa male.

Eppure, nei settori giovanili lavoriamo bene: gli allenatori e i collaboratori sono preparati, e a livello giovanile siamo sempre competitivi, arriviamo fino alle fasi finali. Quindi alla base lavoriamo ancora bene. È nella parte alta del sistema che non funziona più nulla. Guardo le partite e vedo due, tre italiani per squadra. Anche in panchina sono per lo più stranieri. Allora qualcosa non va. Forse la legge del 10% ha creato un alibi per spendere meno, ma non è accettabile. La Federazione deve porre un rimedio: così non si può andare avanti.” 

C’è un evidente corto circuito tra il calcio giovanile e quello dei grandi. Nei settori giovanili siamo fortissimi, ma poi ci perdiamo. Perché poi, tra i grandi, non riusciamo più a far esplodere i nostri talenti? 

“Basta guardare, ad esempio, Samuele Inacio, figlio di Pià, con due gol e due assist nelle prime due gare del Mondiale Under17. Di talenti ne abbiamo tantissimi, ma c’è un'anomalia di sistema. E non solo tecnico, ma anche culturale. Il problema è che nel calcio dei grandi ci sono troppe influenze straniere. Le società sono gestite da proprietà che, per loro cultura, trovano normale prendere stranieri, anche nei ruoli dirigenziali. I direttori sportivi e generali vengono da fuori, non conoscono l’Italia e si affidano a reti estere. I procuratori, poi, ci sguazzano: all’estero guadagnano di più, quindi è tutto un giro che si autoalimenta. Ma il calcio è anche un lavoro di fatica, di costruzione, e se continuiamo così, rischiamo grosso. Lo dico chiaramente: se non andiamo ai prossimi Mondiali, per noi è la fine. Chiudiamo tutto.

A quel punto potremmo dire addio al pallone italiano, davvero.” 

Secondo lei, il problema è nella creazione dei talenti o nella loro valorizzazione? 

“Potrebbe essere una soluzione, quella di ridurre il numero di stranieri, ma andremmo contro le regole europee. L’Europa non può porre limiti alla libera circolazione dei lavoratori, quindi tecnicamente non possiamo impedire ai club di tesserare stranieri. Detto questo, se si volesse davvero intervenire, i modi si troverebbero. Si possono fissare limiti d’età, tetti ai guadagni, criteri di trasferimento: mille soluzioni ci sarebbero, ma serve la volontà politica e federale per farlo. Oggi guardi le partite e fai fatica persino a leggere i nomi dei giocatori: sono tutti stranieri. E non è bello, perché i tifosi non si riconoscono più nelle squadre. Una volta i bambini sognavano di essere Rivera, Boninsegna… ora non hanno più punti di riferimento. Anche le figurine di una volta creavano un legame, un’identità. Oggi non c’è più niente di tutto questo: solo interessi economici. È un disastro per i giovani, che non si identificano più. Eppure, chi lavora nei settori giovanili sta facendo i salti mortali. Ma serve un sistema che li supporti, non che li lasci soli.” 

E proprio parlando di futuro, le chiedo: perché il Napoli sembra aver abbandonato la via della futuribilità in nome dell’instant team?  

“Perché Conte è sempre stato così. Vuole giocatori pronti, non da formare. L’ha dimostrato alla Juventus, poi all’Inter, e ora a Napoli. Lui non ragiona sul lungo periodo: vuole vincere subito. E a Napoli, lo capisco, è difficile impostare un progetto triennale. Devi vincere subito, perché la piazza lo pretende. Certo, un minimo di progettualità serve sempre, ma è chiaro che con Conte la priorità è il risultato immediato.

Il problema è che la Primavera del Napoli è praticamente sparita. L’ho seguita in un paio di partite, grazie a una rete che le trasmette, e non c’è un vero investimento nel settore giovanile. Questo mi dispiace tantissimo, perché era la base da cui ricostruire. Una volta c’erano Ferrara, Bruscolotti, i ragazzi che uscivano dai campetti di Posillipo o Fuorigrotta. Io ci andavo a vederli, per imparare e per capire come si lavorava. Quello era il vero Napoli.” 

Rimanendo in casa Napoli: quando vedremo Antonio Vergara giocare con continuità? 

“Quando si faranno male tutti… (ride, ndr). Lo dico con amarezza, non per scherzo. Il ragazzo ha qualità, l’ho visto giocare: ha numeri, tecnica e intelligenza calcistica. Ma davanti a sé ha giocatori stranieri di livello e di ingaggio altissimo, e questo condiziona tutto. Anche i media e i tifosi, involontariamente, alimentano queste pressioni. L’esordio di un giovane può diventare un’arma a doppio taglio, perché se sbaglia una partita viene subito messo in croce.

Però, conoscendo Conte, ogni tanto gli viene il “piede fisso” di far debuttare qualcuno. Chissà, magari ci toglieremo anche questa soddisfazione.”