L'INTERVENTO - Il procuratore Leo Saija: “Modello Ajax non perseguile per mentalità calcistica retrograda in Italia”

23.04.2019 11:15 di Redazione TuttoJuve Twitter:    vedi letture
L'INTERVENTO - Il procuratore Leo Saija: “Modello Ajax non perseguile per mentalità calcistica retrograda in Italia”
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Il procuratore Leo Saija interviene sulle colonne di Tuttojuve.com sul tema dell'estetica applicata al calcio, soffermandosi su quel modello Ajax che in tanti in Italia invocano. Ecco le sue parole:

L’ottimo lavoro svolto dal settore giovanile dell’Ajax, l’abnegazione e la professionalità che la società olandese riserva allo sviluppo del proprio vivaio da oltre un trentennio, è risaputo a livello mondiale. C’è da dire che bisogna essere intellettualmente onesti nell’affermare che in Italia, seguire un “modello Ajax”,  sarebbe pressoché impossibile ed impensabile allo stato attuale delle cose. Non bisogna dimenticare che i lancieri hanno impiegato tre lustri per tornare ai fasti di un tempo e non è facile l’idea di portare avanti un progetto a medio-lungo termine ed avallare contemporaneamente l’idea di essere poco competitivi per anni soprattutto per società gloriose di prima fascia del calcio d’ élite Italiano. L’Ajax dal 1965 come filosofia e politica del club ha quella di valorizzare e monetizzare senza l’assillo di portare a casa risultati e quindi è molto più semplice lavorare in totale serenità e permettersi gli anni di stallo per crescere, investendo in competenza, strutture e, soprattutto avere molta pazienza, per fissare obiettivi realistici in termini di classifica, giocatori lanciati e sviluppo del settore giovanile. Sembra un discorso campato in aria ma non stiamo parlando di un altro sport ma semplicemente di un’ altra filosofia di vita ed obiettivi calcistici differenti.

Purtroppo in Italia il problema nasce proprio alla radice, vale a dire nelle squadre minori dilettanti. Quest’ultime dovrebbero essere solo ed esclusivamente dei serbatoi di ragazzi per le società professioniste, invece purtroppo le migliaia di scuole calcio, che giornalmente vengono su in qualsiasi angolo d’ Italia, diventano solamente ed esclusivamente dei veri e centri business. Alle società dilettanti, per fortuna non tutte esiste qualche rara eccezione, non interessa minimamente la crescita del bimbo per un progetto di lunga durata che possa essere di slancio per l’ Intero movimento calcio, ma l’ unico obiettivo è quello di intascare la retta mensile e fare cassa, per avere delle plusvalenze a bilancio di fine anno, e magari riversare il tutto per ammortizzare le spese sostenute per mantenere le prime squadre, in delle categorie che nel calcio d’ oggi non hanno senso di esistere. Le vere vittime di tutto questo sistema marcio sono i bambini che aspirano a giocare a calcio e vengono affidati a gente poco professionale, che si improvvisa responsabile di un settore giovanile, istruttore-tecnico, gente tuttofare che si prodiga solamente per arrotondare a fine mese qualche euro in più in virtù di un dopo lavoro. 

Nelle Scuole Calcio, ancor prima di impartire gli insegnamenti basilari della materia calcio ai bimbi, bisognerebbe creare un vero e proprio vivaio per gli istruttori, bisogna formarli a livello globale per dare le giuste direttive ai propri allievi. Oggi è molto superficiale e riduttivo pensare che basti essere in possesso di un patentino per essere capaci di allenare un gruppo, soprattutto quando si parla di bimbi, però purtroppo è l’ Intero sistema ad essere sbagliato con la  FIGC che, con continui modesti corsi di formazione, sforna centinaia e centinaia di tecnici annualmente e mette tesserini in mano al primo di turno autorizzandolo automaticamente a sentirsi, senza nessuna esperienza, un maestro di calcio. 

L' istruttore di Scuola Calcio deve sapere tirare fuori la pigrizia e l'energia di ogni singolo bambino. Può anche non insegnare a giocare bene ma deve soprattutto fargli "sentire" che gioca malissimo. Non ci devono essere pseudo scienziati poiché a pallone giocano tutti sin da piccoli.

Il fautore dello scouting per eccellenza dei giovani calciatori in Italia ed ex responsabile del settore giovanile dell’ Atalanta, il maestro Mino Favini, scomparso oggi, diceva sempre che le tre regole basilari che devono distinguere un calciatore, oltre al piede morbido e caviglia dura, sono” testa, petto, coscia” e soprattutto negare il senso della sconfitta crea squilibrio, ecco le regole basilari.  Non è un caso che nell'era delle Scuole Calcio i ragazzi crescano meno preparati di quando si cresceva in strada con il pallone tra i piedi.

Il problema di fondo è che tutti "insegnano" calcio e mai nessuno si è posto la domanda su chi deve insegnare calcio agli insegnanti, fin dai bimbi l' ossessione del risultato e della categoria é la passione di molti, ma soprattutto l' approssimazione di troppi. Ancora nessuno ha capito che giocare a calcio é un linguaggio e come tale nessuno impara a parlare e non è un caso se la prima parola detta da un bimbo, “mamma o papà”, é sempre stata spontanea e sicuramente la più bella che un genitore possa mai sentirsi dire. Il concetto base é che a scuola calcio non si deve andare per imparare ma per perfezionarsi, perché il gioco giornalmente nasce dentro ogni bimbo e nessuno glielo deve spiegare altrimenti smette di essere un gioco e come tale viene meno l' essere felici e spensierati, con le ginocchia sbucciate e i vestiti sporchi e strappati, come quando si giocava in strada e all'oratorio, senza nessuno che imponesse l' arte dell'insegnare, senza nessun titolo a riguardo, ma si faceva gruppo con dei "regolamenti interni" ... e diciamoci la verità era tutto dannatamente più bello ... ecco spiegato il motivo per il quale in Italia non vedremo mai un “Modello Ajax”.