Il gusto agrodolce di uno scudetto in ritardo, il fallimento di chi insegue e guarda solo in casa d’altri. Juve, Allegri o no?

Nasce a Bari il 23.02.1988 e di lì in poi vaga. Laurea in giurisprudenza, titolo di avvocato e dottorato di ricerca: tutto nel cassetto, per scrivere di calcio. Su TuttoMercatoWeb.com
23.04.2019 01:00 di Ivan Cardia Twitter:    vedi letture
Il gusto agrodolce di uno scudetto in ritardo, il fallimento di chi insegue e guarda solo in casa d’altri. Juve, Allegri o no?
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Con la Spal la Juve non ha perso di proposito, ma ci è andata abbastanza vicina. Allegri è stato criticato da mezza Italia perché ha fatto quello che avrebbero fatto un po’ tutti, ma ormai due giorni da questo scudetto storico la sconfitta di Ferrara ha un altro sapore. Con i se e con i ma nessuno è mai andato lontano, ma cosa sarebbe successo se i bianconeri avessero vinto il titolo prima di giocare contro l’Ajax? Di sicuro l’avrebbero festeggiato con l’animo di chi ha ancora un pezzo di strada da fare, e non con quello di chi s’è visto sfuggire l’obiettivo tanto agognato della Champions.

Non possiamo saperlo, non può saperlo Allegri, non può saperlo nessuno. Resta uno scudetto, l’ottavo consecutivo, che è storico ma anche arrivato in ritardo. Tra qualche sfoglieremo gli almanacchi del calcio e ci renderemo conto di cosa ha fatto davvero questa Juve. Oggi viene naturale celebrarla, con un “ma in Europa” che è inevitabile, non è ingeneroso ma è dovuto. È la base da cui ripartire ed è anche quello a cui penseranno di più, dichiarazioni pubbliche a parte, in casa Juve. Ne siamo certi: vincere non è l’unica cosa che conta e certe volte non basta. Quel che conta davvero è vincere ancora, vincere dove proprio non si riesce, su quel terreno europeo che è l’unico campo su cui la Juve può fare qualcosa di diverso. Ed è a questo che lavoreranno nella società scuola per tutte le altre in Italia.

Anche per chi insegue e inciampa, sprofonda a -20. Quando potremo parlare di fallimento per il Napoli? Sono questioni che qui interessano poco, ma è da due o tre stagioni ormai che la squadra di De Laurentiis si propone come potenziale anti-Juve, senza mai riuscirvi. Quest’anno ha fatto peggio di sempre: fuori dalla Champions ai gironi, dall’Europa League ai quarti di finale, in campionato a distanza siderale da marzo. Secondo più per demeriti altrui che per meriti propri: con Inter o Milan al massimo, altroché. È un problema della Juve? Può diventarlo, perché non è colpa dei bianconeri se la Serie A sia diventata ormai un campionato ridicolo, ma è un dato di fatto che lo sia. Meno pensieri a Orsato, Mazzoleni, Fabbri. L’erba del vicino sarà pure più verde, ma quella del giardino sta marcendo e di questo passo la Juve vincerà lo scudetto per altri dieci anni. Tante grazie.

Chi in panchina? È la grande domanda da qui al termine della stagione, ora che Champions e Serie A sono andate. Con Massimiliano Allegri: lo ha detto il tecnico, lo ha ribadito Agnelli esponendosi in modo molto chiaro nell’immediato post Ajax. Possiamo dubitarne finché vogliamo, ma è un dato di fatto che le strade, per chi cerca di capire chi sarà l’allenatore della Juve l’anno prossimo, siano due: o annuncia con certezza che non sarà Allegri, o accetta che la società si sia esposta in tal senso. E poi se a giugno cambierà qualcosa saremo lì a dire che ad aprile Agnelli e Allegri ci hanno detto una bugia a fin di bene. Con Allegri, se sarà con Allegri, ma anche con decisioni chiare. Per la prima volta da cinque anni a questa parte, la Juve è uscita dalla Champions perché lo ha meritato. Ci sono almeno un paio di veri e propri casi, anche piuttosto evidenti, per ragioni tecniche e non solo, da risolvere. Se sarà con Allegri, tabula rasa e fiducia totale nel tecnico. O gli fai fare il Ferguson, e affidi al rinnovamento della rosa il compito di dare una nuova scossa, o lo mandi a casa. Altrimenti, nella famosa chiacchierata che sarà bene anticipare, la scossa deve arrivare comunque, in un modo o nell’altro. Un ciclo, che l’allenatore cambi o meno, è comunque finito.