Gli eroi in bianconero: Luciano FAVERO

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
11.10.2013 09:45 di Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Luciano FAVERO
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Fra i calciatori che sono migliorati al punto di convincere anche gli scettici (impresa non da poco) c’è Luciano Favero. Ritenuto ingiustamente un grezzo elemento di pura forza, si è rivelato un difensore completo, a suo modo eclettico, visto che ha saputo ricoprire disinvoltamente anche il ruolo di libero dopo l’infortunio di Scirea nella finalissima intercontinentale di Tokyo. In realtà Favero, nato nell’ottobre del 1957 a Santa Maria di Sala, provincia di Venezia, ha saputo trasferire nel calcio la ferrea volontà delle sue origini contadine (sei fratelli) unita ad una capacità di apprendimento che lo segnala fra i difensori più significativi della cosiddetta generazione di mezzo.

Favero, dopo i primi calci nella squadretta di un paese vicino, Calvi Noale, sempre nell’hinterland veneziano, passa per Varese dove un certo Piemimonte lo conduce per il provino. I tecnici varesini lo dirottano alla Milanese, società vassalla che alleva giovani in nome e per conto della più rinomata consorella lombarda.

Succede, infatti, che Favero disputa un intero campionato nella Milanese, giocando al sabato sul campo di Piazzale Corvetto, allenatore Rumignani, un aspirante stratega che l’anno dopo (siamo nel 1977/78) lo porta con sé a Messina. Laggiù Favero, che non ha ancora venti anni, disputa 37 partite nel campionato di serie C.

È un terzino che bada al sodo, non proprio raffinato nel gesto ma estremamente efficace. Comincia così un grande pellegrinaggio in varie piazze del Sud (Messina, Siracusa, Salerno, Avellino) dove Favero matura tecnicamente affermando di pari passo la propria personalità agonistica.

A Salerno trova Facchin, ex ala sinistra del Torino nella seconda metà degli anni sessanta, ai tempi della prima gestione Fabbri, che lo trasforma da terzino di fascia in stopper centrale. Sarà un’esperienza importante, dato che in seguito Favero giocherà disinvoltamente sia stopper, sia terzino.

Di mezzo c’è una stagione quasi intera al Rimini, dal novembre 1980 al 1981, dove il ragazzo veneto attira l’attenzione dei tecnici più qualificati. «Sono diventato stopper per necessità di squadra, dopo aver iniziato proprio da terzino. Le mie qualità migliori erano l’anticipo ed il colpo di testa; mi sono sempre trovato bene sia nella marcatura stretta ad uomo, sia nella zona. Ad Avellino ho giocato anche parecchie volte come libero».

Ad ottobre di quell’anno Giacomini lo raccomanda al Torino, al pari di Briaschi che sta a Vicenza, ma la società granata non ha mezzi e Favero viene ceduto all’Avellino. Nasce la coppia centrale Favero - Di Somma: fare goal al “Partenio” diventa molto difficile. Finché arriva la Juventus, nell’estate del 1984, che cerca un giocatore serio per sostituire Gentile. E lo trova in Luciano Favero, che nel frattempo si è sposato ed ha messo su famiglia.

«Ero a conoscenza delle trattative della Juventus per prelevarmi dall’Avellino e mandarmi alla Lazio, quale contropartita di alcuni giocatori; partii per le vacanze con la consapevolezza di vestire la maglia biancoazzurra laziale. Fu proprio in vacanza che ricevetti dalla società la notizia del mutamento di programma; la cosa mi lasciò letteralmente incredulo e la mia felicità esplose nel più vivo entusiasmo. Poi è sopraggiunta una fase all’insegna della paura di commettere errori; essere accanto a personaggi di fama mondiale, mi ha fatto scaturire un senso di inferiorità e di imbarazzo che ha creato delle difficoltà al mio rendimento iniziale.
Soprattutto, ero deluso dalla consapevolezza di vedere i tifosi juventini titubanti ad un mio impiego nella squadra bianconera; molto mi giudicavano non da Juventus. È stato un periodo molto duro, poi, in una partita casalinga contro il Napoli, sono riuscito ad annullare Maradona e la gente ha cominciato a scoprire anche Luciano Favero, quale protagonista delle vittorie della Juventus».

All’inizio della stagione 1985/86, in tema di esperimenti, Trapattoni confida un giorno ai cronisti amici che intende provare Favero libero. Chi ha un pizzico di confidenza col “Trap” non può fare a meno di fargli notare che la Juventus, in alternativa a Scirea, ha già un libero di ruolo: Manfredonia.

Ma Trapattoni replica che non vuole ritoccare un centrocampo che ha in Manfredonia e Bonini due pedine irrinunciabili. Quindi preferisce un difensore puro: «Scelgo Favero, perché secondo me ha tutti i numeri per poterlo fare».

Le vicende stagionali confermeranno puntualmente le previsioni e le scelte del tecnico. Trapattoni ha visto giusto, ma Favero ha saputo ripagare la fiducia in modo stupefacente.

Lascia la Juventus nel 1989 ed in bianconero totalizza 201 presenze con due goal, vince uno scu-detto, una Coppa Campioni, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa Europea.

 

DI VLADIMIRO CAMINITI, DA “HURRÀ JUVENTUS” DEL DICEMBRE 1986:

 

Ricordo la mia prima intervista a Favero al campo “Combi”, proprio all’indomani del disastroso match perduto 4-0 a “San Siro” con l’Inter. E mi aspettavo, dopo avergli dedicato una davvero severa pagella, di trovarlo corrucciato, deciso a chiudersi nel mutismo dell’avvilimento. Trovai invece davanti a me il signor Favero, l’intervista avvenne regolarmente e Favero si raccontò senza paroloni in modo perfetto.

Disse, riassumo, che ambientarsi nella Juventus dopo essere stato in una squadra come l’Avellino non era facile, mentre era facile, cioè garantito, che lui avrebbe saputo farsi valere, se i critici avessero avuto pazienza. Spiego come era soltanto un problema psicologico ma che la fiducia di Trapattoni lo rincuorava e che presto ci saremmo ricreduti. Quanti, a dire il vero, credevano nelle qualità e nelle risorse di Favero all’altezza di quelle domeniche? Pochi. Ma si deve subito aggiungere che le perplessità non riguardavano punto la Juventus, dove il giocatore veniva considerato in virtù di qualità che all’occhio di Boniperti o Trapattoni non potevano sfuggire.

E Favero ebbe, infatti, un girone di ritorno positivo sotto ogni aspetto e si cominciò ad allineare al resto della squadra. Un giocatore adatto alla difesa ma in grado di discese snelle e convergenti. Un difensore tattico mai statico e sempre ricco di slancio. Un campione dell’impegno morale anche la domenica, imperlato di serenità, forse per il concetto antico che ha della sua famiglia (la moglie è siciliana e ne parla con orgoglio) un campione come ne vorremmo molti, ed invece ahimè ne abbiamo pochi cosi compenetrati nella professione da farne qualcosa di limpido, di vero, prima che qualcosa di tecnico.

Prima lo spirito insomma, poi la tecnica. Ed è in sostanza come se chi scrive recuperasse d’incanto, in mezzo ai frastuoni del consumismo uno dei personaggi mitici della Juventus, quei personaggi che a questa società lo hanno avvicinato, cosi da prediligerla egli su tutte culturalmente e storicamente per una scelta professionale.

Non aveva forse la prima Juventus della leggenda, quella creata da Edoardo Agnelli, giocatori come Favero? Forse Caligaris era molto dissimile sui piano degli slanci del cuore? Era il denaro la parte fondamentale per “Berto” dal fazzoletto alla fronte e la sforbiciata perenne? Voi pensate che Favero sia particolarmente attaccato alla parte economica? Lo svincolo può interessarlo in qualche modo? Ambisce forse ad ulteriori guadagni?

Io penso che Luciano Favero sia il massimo oggi, con pochi altri esemplari, di professionalità. La Juventus ha fatto un affarone acquistandolo. La sua partecipazione allo spartito è sempre più vivida e corposa. E riuscito or non è molto anche a insaccare un goal di bellissima esecuzione dopo una sgroppata di possesso.

Favero ha conosciuto il profondo Sud prima di salire lo stivale alla conquista della mitica Juventus. Secondo me le molte esperienze professionali lo hanno preparato al grande salto. Iniziava in C nel Messina, prima di passare ancora in A alla Salernitana dal pubblico specialmente caloroso. E poi il Siracusa. Chi non è mai stato a Siracusa, non sa cosa può essere questa città millenaria, pupilla degli dei, città di mura bianche che d’improvviso diventano azzurreo.

Luciano aveva già scelto la donna della sua vita, aveva poco più di venti anni, andava verso un futuro che non poteva prevedere. Nel 1981 il Siracusa lo cedeva in ottobre al Rimini in B. Vi giocava soltanto sette partite, ma con il suo impegno più fervido ed alla fine di quel mese lo reclutava l’emergente Avellino, alla cui corte sgobbava un giovane dalla guancia pallida e fine di nome Marino.  Era fatta. Nell’Avellino, Favero avrebbe giocato 108 partite in tutto, la Juventus lo notava e ne faceva, con l’occhio infallibile di Boniperti, l’erede di Claudio Gentile, intanto emigrato a caccia di nuovi guadagni. La stabilità di rendimento, indice di classe, la duttilità di piede, indice di classe, la serenità comportamentale, fanno di Favero uno dei capisaldi difensivi dell’undici che a Tokyo ha conquistato la gloria mondiale.

Vi sono giocatori che escono dal copione e rappresentano una ulteriore dimostrazione di quel che il calcio sa dare ai suoi figli. Il nostro “Venezian”, scaldatosi al sole del Sud, negli occhi di una ragazza isolana, doveva trovare la ragione più profonda del suo destino. La vita semplice, puntigliosa e costruttiva di Luciano Favero. Che in campo ne fa uno stopper o un difensore di fascia (anche un libero) di totale sicurezza. E come dice “Trap”, dal piede buono.