Gli eroi in bianconero: Dino ZOFF

L’estate del 1972 è importante soprattutto per l’arrivo alla Juventus di un giocatore e di un uomo eccezionale: Dino Zoff; ha appena compiuto trenta anni, l’età nella quale altri calciatori sono “vecchi”, ma per lui, è il momento migliore della carriera. Napoli, che aveva adottato Dino, lo vede partire a malincuore. Attila Sallustro, gran centravanti degli anni d’oro ed allora direttore dello stadio “San Paolo” gli dice al momento del saluto:
«Ho visto tanti campioni in maglia azzurra, ma tu sei il migliore. Non solo fra i pali, ma sempre, dall’allenamento allo spogliatoio».
La gente bianconera lo ama subito: Dino in porta è una sicurezza ed una guida per la difesa, fuori dal campo è un ragazzone misurato che parla poco ed al momento giusto, in allenamento è una belva (è il suo segreto, le partitelle come e più della partita in fatto di impegno e di concentrazione). Forte tra i pali (più piazzamento che voli, ma anche questi quando occorre), sicuro nelle uscite, attento e rapido nei rilanci, sempre presente nel match, anche se la palla è lontana dalla sua zona. Tra maglie bianconere ed azzurre, Dino Zoff inizia a trent’anni la parte più bella e gloriosa della sua carriera. Gli è mancata, e come l’avrebbe meritata, solo la Coppa dei Campioni. Si ritira il 2 giugno 1983, in bellezza, ancora integro ma capace di dire “basta” da solo.
«Sono arrivato che c’erano Causio, Haller, Bettega. La velocità insieme alla fantasia, la classe mescolata al dinamismo. Dopo arrivò gente come Benetti e Boninsegna, che aumentò forza fisica ed esperienza del gruppo. Ma quella prima Juventus mi è rimasta nel cuore».
É utile ripassare subito, negli anni del suo ingresso alla Juventus, il suo bilancio finale in una scheda ricca di successi e di momenti storici:
Nato a Mariano del Friuli (Gorizia) il 28 febbraio 1942. Comincia a giocare nella Marianese, a 16 anni passa all’Udinese con la quale esordisce in serie A il 24 settembre 1961 (FiorentinaUdinese 5 a 2). Bilancio in campionato: 74 partite in serie B (Mantova e Udinese), 570 in serie A (Udinese 4, Mantova 92, Napoli 143 e Juventus 331).
Bilancio in Nazionale: esordio il 20 aprile 1968 a Napoli (Italia-Bulgaria 2 a 0), ultima partita il 29 maggio 1983 a Goteborg (Svezia-Italia 2 a 0). 112 presenze in Nazionale, secondo solamente a Paolo Maldini. Quattro campionati del mondo: Messico 1970, Germania 1974, Argentina 1978, Spagna 1982. Campione del mondo 1982. Campione d’Europa 1968.
Sei scudetti nella Juventus (1973, 1975, 1977, 1978, 1981, 1982). Una Coppa Italia, Juventus 1979. Una Coppa Uefa, Juventus 1977. Record di presenze in serie A, 570. Record di presenze consecutive in A, 330 (2 nel Napoli e 328 nella Juventus). Primati di imbattibilità: 903 minuti nella Juventus, 1143 in Nazionale. Mai espulso e mai squalificato.
Lasciamo al racconto del portiere stesso il “ritratto” di Dino Zoff fra i pali. Fra le tante cose da lui dette a mezza voce, questa è una spiegazione che rivela tante cose. Perché è stato così forte, nella Juventus ed in azzurro:
«Si dice che è il tiro sbagliato il più pericoloso, ed è vero. Ma è altrettanto vero che ci sono giocatori portati a far goal, ed allora anche se il loro tiro è “pulito” dritto, vanno a segno lo stesso. Prendiamo Gigi Riva: non faceva cose strane, non cercava astuzie o pallonetti, sparava con quel suo sinistro e faceva centro. Così da parte del portiere è logico si facciano delle valutazioni. Io ho sempre il massimo rispetto di tutti gli avversari, ma mi sembra giusto temere più uno che l’altro a seconda delle caratteristiche. Questo senza che si arrivi a dualismi, a guerre personali. Certo, si individua per così dire il “nemico” più pericoloso già alla vigilia, ben sapendo che magari il goal poi te lo fa un altro. Arriva un terzino, ti piazza una botta nel sette dal limite dell’area e sei fritto. Certamente la concentrazione del portiere aumenta quando la palla arriva fra i piedi del cannoniere avversario. Sai che è molto improbabile che lui cerchi il cross o il passaggio, sai che tenterà il goal direttamente nell’ottanta/novanta per cento delle situazioni.
Non tutto è puro ragionamento, comunque, nel lavoro di un portiere. Prendiamo la scelta fra la presa e la respinta a pugno come conclusione dell’uscita su una palla alta. Io per principio parto sempre con la convinzione di dover bloccare questo benedetto pallone, ma a volte la situazione che si presenta nel momento decisivo è tale da farmi cambiare idea. Questione di attimi, come nella vita».
Per Giovanni Trapattoni, il suo ultimo allenatore:
«Dino è uno dei calciatori più seri che abbia conosciuto, con una fiducia assoluta nell’equazione “lavoro uguale risultati”. È stato abituato da sempre a contare solo su se stesso, sulle sue capacità di sacrificio. Gli dicevo spesso di prendersi qualche pausa salutare. Non ne voleva sapere, è un magnifico esempio di passione sportiva vera, anche disinteressata. Difficile trovargli un difetto, anche a volerlo. Non certo nel gioco.. Al massimo lo si può “accusare” di non saper sfruttare sino in fondo il personaggio che si è costruito con anni di sacrifici. È un uomo con il suo mondo privato, come è giusto sia. La famiglia, la casa, hanno grande importanza per Dino. Su molti compagni, comunque, il suo ascendente era forte. Quando prima della gara, in settimana od addirittura la vigilia, si parlava del prossimo impegno, si analizzavano le qualità dell’avversario, i punti forti o gli eventuali lati che pensavamo deboli, Zoff partecipava ed entrava volentieri nei particolari tecnico-tattici. Come affrontare una punizione, come aspettare il corner, specie se nell’incontro precedente c’era stata qualche sfasatura. Un giocatore eccezionale, insomma. Due o tre con il suo carattere, oltre che con la sua bravura, e non ci sarebbero davvero problemi per qualsiasi squadra».
La Juventus gli offre la panchina, nell’estate del 1988; Dino accetta, e porta con sè, nell’avventura, l’amico Gaetano Scirea. Sembra la felicità, ma il destino è una bestia feroce che sta in agguato; si porta via Scirea in un dannato incidente stradale, in Polonia, e Zoff si sente all’improvviso un po’ più solo.
«Mi manca molto l’appoggio di un amico vero come Gaetano Scirea. Mi sento più povero. E mi fa arrabbiare il fatto che abbia ricevuto i giusti onori solo dopo la morte. Prima era stato dimenticato. Il fatto è che in questo mondo il buono, il corretto, l’uomo vero è banale».
E dopo un anno e mezzo di Juventus, capisce di aver già fatto il suo tempo; non c’è bisogno di troppe parole, per spiegare i cambi di ritmo a uno come lui. Del resto, alla Juventus l’aveva voluto Boniperti, mentre l’Avvocato si era invaghito del nuovo verbo zonaiolo del profeta
Maifredi. Zoff prende atto e non fa polemiche quando Maifredi viene annunciato ufficialmente a metà della stagione 1989-90.
«Il mio allontanamento dalla panchina della Juventus fu la conseguenza di un radicale cambiamento societario. Non fu una decisione improvvisa, conoscevamo tutti i nuovi indirizzi della dirigenza. E non mi sono mai sentito una vittima di quella situazione».
C’è una stagione da chiudere, Zoff chiama a raccolta la squadra che gli si stringe intorno e consegna alla bacheca juventina, prima di fare le valigie, una Coppa Italia ed una Coppa Uefa. Se ne va alla Lazio, tra i rimpianti dei tifosi bianconeri.
da “Hurrà Juventus” del luglio/agosto 1983:
Rispetto la decisione di Zoff solo perché l’ha presa lui. So quanto gli è costata, so che avrebbe voluto chiudere diversamente la carriera. In un campetto di provincia, in una squadra piccola, ma in Italia non si può. Mi sembra che la storia di un calciatore, del capitano dell’Italia vincente, sia amaramente esemplare e meriti qualche considerazione, al di là della stima e del “grazie” che vanno ad un vero sportivo.
Zoff ha preferito un taglio netto ad un lungo sfilacciamento, a pressioni sempre più pesanti. Perfino nella fredda Svezia qualche cretino ha fatto dello spirito con uno striscione che paragonava Zoff ad un fantasma: in Italia, paese notoriamente caldo, si è andati giù più pesanti. Zoff paga il fatto di avere 41 anni, di essere il portiere della Juve e della Nazionale e di non essere un personaggio.
In questi giorni, un portiere di 41 anni, Boranga, è stato determinante per la promozione in C1 del Foligno: segno che, a certi livelli, il “vecchio” funziona, diciamolo sottovoce. In un’Italia incline a beccarsi tutte le malattie infantili, compresi il finto giovanilismo ed il protagonismo d’accatto, Dino Zoff era un bersaglio ideale. Eraldo Pizzo in piscina, Raimondo D’Inzeo a cavallo, “Miro” Panizza in bici: quanti violini, quanto amore, quanto caramello per questi grandi vecchi. Nel nostro calcio, invece, basta aver pochi capelli e si è fregati anche da giovani (sto alludendo a Scanziani): figuriamoci se hai 41 anni, cos’aspetti a toglierti dalle palle ???
E così Zoff scende dalla giostra. Ci aveva già pensato, dopo il Mundial, ma perché rinunciare alla Coppa dei Campioni ??? Il tiro di Magath non era parabile, ecco un altro bel processo. Qui i processi si fanno specialmente a quelli che non li meritano, e l’irrisione è più gratuita e volgare nei confronti di chi lavora seriamente. Un goal, si può parare o beccare: i primi a saperlo sono i portieri. Ovviamente, per un razzismo calcistico assai diffuso, un attaccante può sbagliare goals facilissimi e tutto si dimentica, mentre Zoff da anni ha le orecchie che fischiano per Haan, da mesi per Cuttone.
«Io sono un operaio specializzato che cerca di timbrare tutti i giorni il cartellino», mi aveva detto qualche anno fa. Undici campionati giocati di fila, mai un raffreddore, un infortunio: di questa resistenza e continuità andava fiero, non dei record d’imbattibilità o degli scudetti, da dividere con altri. E in tutti questi dieci, venti anni ad alto livello, mai una polemica con un collega, una cattiveria, una frase ad effetto, ma un esempio di cavalleria sportiva, innata, non posticcia. Ha fatto notizia per essere finito sulla copertina di “Time”: sommo provincialismo.
Capisco che per un uomo come lui, nato in Friuli, che è profondo nord, non sia divertente girare l’Italia raccogliendo berci ed insulti, manco rubasse il pane agli orfani. Ma spero ci ripensi, è giusto andare fino in fondo alla strada dei propri desideri. E ricordi: meglio “vecchi” che stupidi, meglio operai che pataccari, meglio tacere alla sua maniera che parlare senza aver nulla da dire. Con affetto lo saluto in modo non definitivo, nella sua lingua. Ciao, ragazzino.
Gianni Mura
Si può azzardare questa classifica dei portieri italiani:
1. Zoff, 2. Moro, 3. Olivieri, 4. Ghezzi, 5. Albertosi, 6. Giuliano Sarti, 7. Sentimenti IV, 8. Combi.
Perché metto Zoff al primo posto, in questa passerella di campionissimi ??? Perché è quello che è durato più a lungo ed a livelli sempre altissimi. È un riconoscimento che si merita, perché se lo è guadagnato in tanti anni di fatica.
Piero Dardanello
Meritava un altro addio. Non questo: forzato, amaro, malinconico, rattristato da due sconfitte irrimediabili e conclusive. Meritava di andarsene sul campo, la coppa in mano, le bandiere al vento. Ma in fondo non conta il modo in cui ci si congeda. Nulla addolcisce lo strazio di dire basta. Basta ad una vita di avventure; basta al brivido di entrare in campo sotto un tuono di urla; basta al sorriso della gente che ti guarda ammirata ed intimidita; basta alla gioia di sentirsi forte e giovane; basta a quelle lunghe vigilie darmi; basta alla tensione che ti rende vivo; basta al tuo nome gridato forte; basta al piacere di una nuova impresa; basta agli scherzi con i compagni; basta alla fatica serena degli allenamenti; basta alle mille piccole e grandi cose che ti han riempito la vita e che oggi te la lasciano improvvisamente vuota.
Se ne va Zoff; un congedo di cui si parla da tempo: eppure nel momento in cui diventa reale ti accorgi di quanto se ne vada con lui. Non solo un lungo, felice pezzo di storia calcistica; non solo la memoria di tanti trionfi; non solo quell’immagine consegnata alla leggenda delle sue mani che stringono la Coppa del Mondo; non solo il campione più longevo, fedele, ferreo del campionato e della Nazionale. Zoff è stato di più. Più di un fuoriclasse da inserire nel ristretto
Olimpo dei campioni di ogni tempo e di ogni Paese. Più del portiere che meglio ha identificato la rocciosa sicurezza, la forza morale, la solitudine di questo ruolo folle e romantico. Zoff è stato un punto di riferimento esemplare nel campo e fuori di esso; un leader naturale, un trascinatore senza parole: come se il suo silenzio fosse più galvanizzante di mille discorsi, la sua inalterabile saldezza infondesse più fiducia di qualsiasi proclama. Un uomo così forte, sereno, giusto da poter attraversare questo mondo passionale, isterico, fazioso, pettegolo, turbolento del calcio senza lasciarsene coinvolgere mai.
Né polemiche, né sgarbi, né alcune delle mille piccole e grandi miserie di cui son fitti i giornali. Ben pochi hanno interpretato come lui la fondamentale essenza dello sport, la sua etica, la sua dignità, la sua bellezza.
Questo ha reso Zoff unico nella sua grandezza; resto senso di forza e d’integrità morale cui ci si aggrappa come ad un baluardo, un esempio, una prova di quali livelli educativi e sociali possa raggiungere lo sport.
Nel dire addio a questo John Wayne del calcio, a questo sceriffo senza macchia, a questo predicatore taciturno, sappiamo come si avvertirà (fra tanti strepiti) l’assenza del suo maestoso silenzio.
Giorgio Tosatti
È stato sicuramente più grande di Combi, non soltanto per continuità di rendimento e longevità, ma anche perché ha raggiunto risultati migliori. Lo metterei, in una ipotetica classifica, subito dopo Aldo Olivieri, Campione del Mondo con l’Italia nel 1938 e “Carletto” Ceresoli. Abbiamo avuto un grande genio nel ruolo ed è stato Moro, ma era genio ed anche sregolatezza, niente a che vedere con la costanza e la linearità do Zoff. Albertosi ??? Per carità, aveva un sacco di lacune.
Zoff ha chiuso con un acuto, a Goteborg ha tolto tre palle goals. Ha fatto bene a ritirarsi dopo quel capolavoro, perché in genere le carriere dei grandi si chiudono sempre con un rimpianto. Quella di Zoff è finita bene, anche lui avrà i suoi rimpianti, come li abbiamo tutti noi, ma ci lasci con il ricordo di un acuto degno di lui.
Gianni Brera
La Juve ha avuto i due più grandi portieri della storie del nostro calcio. Negli anni Trenta, c’era Combi, il più professionista fra i dilettanti di allora, uno che non ha mai giocato al calcio per guadagnare, essendo di estrazione borghese e negli anni Settanta, Zoff, il professionista più dilettante che io abbia mai conosciuto. Se la classe è anche una questione di longevità, allora è giusto dire che Zoff è stato più grande persino di Combi, dunque il miglior portiere italiano di sempre. Combi si è ritirato abbastanza presto ed è giusto ammettere che anche il calcio di allora era un’altra cosa, lo spirito perfezionamento e la grande serietà hanno condotto Zoff ad essere il migliore. Ma nei primi cinque, dietro Zoff e Combi, metterei senza un ordine preciso, Olivieri, Sentimenti IV e Ceresoli.
Giglio Panza
È finito su un francobollo, è passato per la copertina di “Newsweek” come capita ai divi, ai premi Nobel ed ai grandi del nostro pianeta, ha vinto a quaranta anni un titolo mondiale, ha battuto record di bravura e di durata, è uno degli italiani più popolari nel mondo con Pertini, Agnelli e Ferrari. E adesso Dino Zoff, friulano indistruttibile, gran commendatore del nostro sport, campione di due generazioni, ci saluta con uno dei suoi amabili mugugni:
«Cari amici, io ho chiuso, grazie di tutto».
Forse avrebbe preferito congedarsi con uno dei suoi abituali silenzi. Ma non era possibile. La notizia era nell’aria sin dallo scorso aprile. Nell’animo di Zoff essa venne concepita a Bucarest, nella triste giornata del virtuale addio azzurro all’Europa. Dino si lasciò scappare un sussurro. Ed all’indomani i giornali di mezzo mondo lo registrarono. In Brasile quel sottile preludio all’addio di Zoff fu presentato come la notizia del giorno, dopo una delle tante stragi di Beirut. Il Brasile, in effetti, resta l’ultimo sfondo sontuoso della leggenda del nostro portiere. Fu Zoff, con una incredibile parata, a negare il goal del pareggio, sul campo di Barcellona, a quegli stupendi funamboli che sembravano predestinati al trionfo mondiale ed invece se ne tornarono a casa scornati e distrutti. Quel fuggevole fotogramma della scorsa estate rimane la pietra miliare di una storia che è stato bello vivere e sarà altrettanto suggestivo raccontare.
Ci siamo accorti già da un pezzo (forse dal giorno in cui Zoff festeggiò in campo i suoi quaranta anni) che questo friulano timido ed introverso, pieno di pudori e di silenzi, con una vita ed una carriera senza svolte, senza pettegolezzi e senza clamori, è il personaggio più solido e convincente del nostro calcio a livello mondiale. Campioni più fascinosi, più eleganti, più controversi ed anche più bravi di lui sono fioriti e tramontati sotto gli occhi di Zoff. Decine di portieri che gli sono stati alle spalle hanno visto sfumare le loro speranze di successione. E, rassegnati, hanno finito con l’ammirarlo. Si direbbe che il nostro Dino abbia esplorato (come pochissimi altri campioni) una nuova fisiologia atletico sportiva, consegnando al mondo un esempio che non potrà essere cancellato.
Ed oggi, al tirar delle somme, all’ultimo atto sempre venato da una certa tristezza, ci sembra perfettamente naturale che questo saluto a Zoff sia un rito che non appartiene soltanto a noi ma s’incrocia dal Sud America alla Russia, dall’Inghilterra alla Cina, dalla Germania all’Australia. È il mondo, insomma, che festeggia il nostro campione interpretandone una vicenda dove valori umani, tecnici, atletici e professionali felicemente convivono. Limitarsi a valutare il campione sarebbe, in effetti, limitativo. Dalla straordinaria carriera di Zoff emergono soprattutto luminosi valori morali: trionfi vissuti in umiltà, brucianti sconfitte smaltite con la ricerca silenziosa e tenace di una rivincita. Dopo l’Argentina sembrava seppellito, in Spagna è diventato Campione del Mondo.
Zoff è stato serio e coerente con sé stesso sino in fondo. In un mondo in cui un personaggio di grande impatto popolare può commerciare persino la propria intimità, anche la notizia dell’addio di Zoff avrebbe avuto un prezzo. Dino l’ha maturata in sé stesso, poi ha dato un appuntamento a tutti quanti fossero interessati a sapere quale sarebbe stato il suo futuro. Ed ieri ha detto quel che doveva dire, in tutta tranquillità, con il solito terrore per l’enfasi e per la retorica. Tra le tante doti, ne va sottolineata una, la più semplice, quella che ci porta alle radici del personaggio: una persona seria.
Non è il caso, mi sembra, di moltiplicare le parole. Dino se ne offenderebbe. Limitiamoci a offrirgli un “grazie” grande quanto la sua carriera che ci sfuma davanti, forse al momento giusto, prima che certi meravigliosi ricordi possano invecchiare.
Candido Cannavò
Così lo descrive Vladimiro Caminiti:
«È stato unico come portiere per la sobrietà dello stile non privo di un suo fascino misterioso, segreto, che risaltava in certe partite all’estero, ad esempio in Inghilterra, al forcing martellante cross su cross dei fondisti inglesi, il suo spazzare l’area di rigore con uscite monumentali per tempismo e autorevolezza atletica. Ma più di tutto ha avuto, come portiere, mente e fisico corrispondenti come nella massima di Giovanale (“mens sana in corpore sano”) da cui questo suo rendimento inattaccabile, e le sue mani sempre intatte (un solo infortunio fisico in una carriera interminabile), e la sua strategica sapienza nell’interpretare il ruolo su se stesso, fuori da ogni tradizione. Nessun campione di calcio somiglia a Zoff nell’asprezza contenuta del carattere, così poco facondo e così fecondo di risolutive intuizioni. Il suo sodalizio con Scirea è bellissimo sul piano umano; Boniperti se ne ricorderà il giorno che lo promuove allenatore. per affiancarglielo. Poi, Scirea muore tragicamente e Zoff rifiuta qualsiasi altro secondo».