Gli eroi in bianconero: Claudio GENTILE

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
27.09.2010 10:45 di  Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Claudio GENTILE
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© foto di Andrea Pasquinucci

Nel giugno 1958, cominciava a brillare ed a far parlare di sé la stella di Pelè, ma nessuno di quei ragazzini che sfidavano il sole nelle polverose strade del quartiere Sant’Antonio a Tripoli, disputandosi accanitamente una palla, aveva la benché minima idea che in quei giorni in Svezia si disputassero i campionati mondiali di calcio. Neanche se qualcuno glielo avesse detto, il loro interesse sarebbe mutato: erano ben più importanti le sfide quotidiane tra figli di emigranti e piccoli arabi che, in fondo simili a quelle che tutti i giorni si disputano nei nostri oratori, avevano però protagonisti ben lontani dall’identificarsi o voler emulare i celebrati campioni del tempo. In quelle sfide, giocate il più delle volte a piedi scalzi, occorreva tanta determinazione, grandi o piccoli che si fosse. E fu lì che Claudio Gentile imparò a forgiare il suo carattere, non potendo immaginare che ventidue anni dopo il suo nome sarebbe stato consegnato alla storia del calcio da un titolo mondiale e dall’essere stato capace di fermare gli ideali successori di Pelè, Zico e Maradona.
«Sono cresciuto in Libia, mio padre si era trasferito con la famiglia a Tripoli ed è lì che ho avuto le prime esperienze calcistiche; esperienze a livello di bambini, ovviamente, ma che mi hanno dato un’impronta incredibile. In parole povere, giocavamo a calcio, ma finiva a botte; io ero piccolo, ma ricordo che ogni pomeriggio, dopo la scuola, ci trovavamo in strada, gli italiani da una parte e gli arabi dall’altra. Si cominciava fra cento sorrisi poi, alla minima discussione, giù botte da orbi; sono stato temprato così alla battaglia, lì bisognava colpire il pallone ma, soprattutto, guardarsi alle spalle, per evitare i calcioni che arrivavano».

Se i Campionati del mondo in Spagna rappresentano il fiore all’occhiello, sono gli undici campionati giocati in maglia bianconera (nei quali ha totalizzato 415 presenze e 10 goal) ad aver affermato, partita dopo partita, le qualità di grande combattente di Claudio Gentile. Gli anni juventini rappresentano un magnifico esempio di carattere e professionalità, uniti alla volenterosa capacità di adattarsi alle esigenze della squadra. Gentile arrivò alla Juventus nell’estate del 1973 dopo una militanza, poco più che anonima, ad Arona (serie D) e Varese (serie B). Per trovar posto in prima squadra non incontrò grosse difficoltà, i problemi vennero in seguito.
«Inizialmente, ero l’alternativa a Furino, mi toccò fare il mediano, giocare cioè in un ruolo abbastanza atipico per me. D’altronde la concorrenza come difensore di fascia era terribile: c’erano Marchetti, Spinosi e Longobucco. Giocatori validi e senz’altro più esperti di me. Esordii in bianconero il 2 dicembre 1973 e fu una bella vittoria, 5-1 con il Verona. Giocai mediano e, almeno a quanto mi disse l’allenatore ed quanto lessi sui giornali, me la cavai benino e venni confermato. I veri guai iniziarono qualche mese più tardi, quando ormai venivo considerato più di una promessa. La forma incominciò a scadere, rischiai di uscire di squadra. Furono giorni bruttissimi. Mi dissi: è ora che dimostri di essere uomo oltre che giocatore. Fu la molla per risalire».

Una molla alla quale Gentile ricorse spesso,rendendosi conto che quella era l’interpretazione professionale giusta per continuare a vestire la maglia juventina:
«Giocare nella Juventus, non è né facile né difficile, come vorrebbe qualcuno. Però se non sei uomo, vai sicuramente a fondo. Perché si è condannati a vincere sempre e non ci si può mai permettere di sbagliare. Non è vero che alla Juventus ti vengono chiesti maggiori sacrifici sul piano fisico: l’unico vero guaio è se non riesci a farti la mentalità vincente. Ho visto tanti, più bravi di me, naufragare per non aver retto lo stress psicologico. Io, posso dire di non dover niente a nessuno. A Varese, ad esempio, né Sandro Vitali, né l’allenatore Maroso si accorsero mai di me. Le loro attenzioni erano piuttosto rivolte a Manueli, Calloni e Gorin. Per loro, io ero uno che aveva soltanto tanta volontà».

L’emozione del primo derby: «Mi toccò marcare Claudio Sala, l’elemento più difficile da controllare, perché non sapevi mai dove ti poteva scappare via. Me la cavai benino».
Facendo leva sulla propria grinta e determinazione, Gentile ha dunque costruito la sua carriera juventina vincendo tutto eccetto la Coppa dei Campioni: al suo attivo sono sei scudetti, due Coppe Italia, un Mundialito, una Coppa Uefa, una Coppa delle Coppe.

Tanti, naturalmente, i ricordi:
«La mia stagione magica fu quella 1976/77. Trapattoni era convinto delle mie qualità, al punto da farmi giocare a sinistra nonostante io non sia mancino e anzi con quel piede ci sappia fare piuttosto poco. Invece di spaventarmi, feci leva anche quella volta sulla grinta. E tutto andò benissimo, dando ragione a Trapattoni. Vincemmo campionato e Coppa Uefa ed io disputai la mia miglior stagione in bianconero».

Nella tarda primavera del 1984 il divorzio dalla Juventus: «Fu una scelta difficile perché, oltretutto, non avrei per nessuna ragione al mondo voluto fare uno sgarbo a Boniperti. Non dimentico certo quello che il presidente ha significato per me, la sua fiducia e la sua stima per la mia carriera. Non ho tradito, bensì fatto una scelta; a 31 anni mi offrivano delle condizioni migliori di lavoro e le ho accettate, come avrebbe fatto qualsiasi professionista con famiglia a carico. Cambiano soltanto le cifre, la sostanza è la stessa».

Nell’album dei ricordi di “Gento” (soprannome che gli venne dato dai compagni e forse anche per questo gli è sempre stato più gradito di quel “Gheddafi” riferito alle sue origini) ci sono anche capitoli curiosi. Uno di questi è quello riferito a tal Galuppi, attaccante del Vicenza:
«Altro che Maradona o Zico: è quel Galuppi lì che mi fece ammattire ogni volta che lo incontrai. Una vera dannazione, mi sgusciava da tutte le parti ed io non riuscivo a fermarlo neppure ricorrendo alle maniere forti. Mi spiace per lui, ma è stata una fortuna per me che non sia riuscito a sfondare ai massimi livelli del calcio!»