DYBALA, intervista con i Junior Reporter: "Ho due sogni: vincere la Champions con la Juve e il Mondiale con l'Argentina. Che emozione l'arrivo a Torino"

17.12.2020 14:35 di Rosa Doro Twitter:    vedi letture
DYBALA, intervista con i Junior Reporter: "Ho due sogni: vincere la Champions con la Juve e il Mondiale con l'Argentina. Che emozione l'arrivo a Torino"
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Paulo Dybala ha concesso un'intervista digitale ai Junior Reporter, rispondendo alle tante domande dei bambini.

E' stato difficile lasciare la tua terra e la tua famiglia così giovane per venire a giocare in Italia?
"Sì è stato un po' difficile. Io ero molto giovane e fare un viaggio così lungo non era semplice, però stavo seguendo la mia passione e mi piace quello che faccio sin da piccolo. Stavo seguendo il mio sogno e ho pensato a questo e alle cose positive che il mio sogno poteva portarmi". 

Cosa fai prima di entrare in campo?
"Quando entro in campo, alzo le braccia e chiedo al mio papà di accompagnarmi e aiutarmi in ogni azione". 

Qual è il tuo piatto preferito? Sai cucinare?
"Mi piacciono las empanadas, che è un piatto argentino facile da cucinare e si può fare in tanti gusti: di carne, di formaggio, di verdure. Sono molto facili da cucinare, le ho fatte con la mia ragazza e ho fatto anche alcuni video, così puoi provare a farle".

Se non avessi fatto il calciatore, quale lavoro faresti?
"Penso che ancora ora non saprei cosa avrei fatto. Ho sempre giocato a calcio, sono andata a scuola, ho avuto la fortuna di arrivare in prima squadra quando ancora ero a scuola. Ho dedicato tutta la mia vita a questo sport".

La tua squadra da bambino? E quali ricordi hai?
"Sono stato lì a lungo, ho avute tante esperienze positive e negative. Il ricordo più bello è l'esordio in prima squadra, il premio più bello per tanti anni di lavoro e sacrificio, in cui ho lottato per inseguire il mio sogno. Arrivare lì non era facile, ero molto orgoglioso per ciò che avevo fatto".

Quando andavi a scuola eri bravo come a calcio?
"Un po' a periodi. In alcuni periodi andavo bene, altri male. C'è stato un periodo in cui sono andato molto bene, la mia famiglia era come il mister, mi spingeva tantissimo e dovevo dare delle risposte. Alla fine quando giocavo in prima squadra, è stato più difficile perché ero più impegnato nel calcio quindi perdevo tanto tempo ma ho cercato di dare il massimo perché la scuola è fondamentale per il futuro".

Cosa mangi a colazione?
"Mi faccio un bel mate quasi tutti i giorni e poi cambio sempre. A volte le uova, a volte biscotti o prosciutto, un po' di proteine per fare un buon allenamento". 

Ora ti chiamano la Joya, a Palermo u Piccireddu, in Argentina El petrino: quale soprannome ti piace di più?
"La storia de El petrino io non me ricordavo perché ero molto piccolo ma quello a cui sono affezionato di più era U picciriddu perché a Palermo tutti mi chiamavano così e la gente mi trattava in maniera incredibile, al mio primo anno in Italia che non è stato facile per me con tanti cambiamenti e devo ringraziare la gente di Palermo, a quel soprannome sono rimasto più affezionato".

Qual è il significato della Dybala Mask?
"Io sono un appassionato dei gladiatori che nei momenti di difficoltà si mettevano la maschera. Così lo ho associato un po' alle mie partite di calcio. Alcune volte siamo in momenti di difficoltà, attraversiamo momenti difficile e in un momento complicato per me ho pensato a questo. Mi piaceva il messaggio che mandavo alla gente, non solo per chi gioca a calcio". 

Qual è stata la tua emozione più grande con la Juve? Quale sarà il tuo prossimo traguardo?
"Per fortuna ho vissuto tanti momenti belli. La mia prima esperienza è stata una finale vinta facendo un gol, abbiamo vinto tanto ed è difficile trovare un solo punto. L'arrivo alla Juve è stata un'emozione unica, indossare questa maglia, fare la prima conferenza stampa e presentarmi da giocare della Juve penso che sia stato uno dei momento più belli, al di là di quelli in campo. I traguardi spero siano ancora tanti, il prossimo sarà la finale che giocheremo a gennaio contro il Napoli in Supercoppa". 

Il tuo idolo da bambino? In che ruolo hai iniziato a giocare a calcio?
"Il mio idolo era Ronaldinho, mi piaceva come si divertiva in campo e cosa trasmetteva, con molta semplicità. Il mio primo ruolo è stato da punta a sinistra nei tre attaccanti". 

Quando si diventa grandi ci si diverte come quando si è bambini a calcio?
"Quando sei bambino ti diverti di più, giochi con gli amici, non hai pensieri. Quando uno è grande e gioca ad alti livelli, c'è grande responsabilità, si pensa meno al divertimento e più a fare bene, sei con tanti grandi giocatori, ci sono grandi sogni e devi essere attento al lavoro che fai. Ma dobbiamo ricordarci che è un gioco e dobbiamo divertirci per far divertire la gente a casa". 

Quando eri piccolo, chi ti accompagnava alla scuola calcio?
"Fino ai dieci anni, abitavo in un paesino molto piccolo, andavo solo in bicicletta con tutti i miei amici. Poi in città mi accompagnava sempre mio padre, poi a 15 anni sono andato a vivere in collegio della squadra dove giocavo con tanti altri ragazzi ed eravamo tutti insieme lì. Sono stato lì due anni e sono entrato in prima squadra". 

Così consiglieresti ad un bambino che un giorno vorrebbe prendere il tuo posto alla Juve?
"Non pensavo a dove sono arrivato, pensavo a divertirmi da bambino, a giocare, ad imparare, cosa potevo migliorare. Non pensavo molto ad arrivare ad un certo livello, mi divertivo, sapevo di essere giovane e pensavo di stare con i miei amici. Quando sei più grandi, inizi ad avere più sogni, ma io ti consigli di divertirti e di fare più gol possibili". 

Se tu fossi Babbo Natale cosa vorresti regalare ai bambini del mondo?
"Difficile questa domanda. Penso che ci siano tante cose che i bambini debbano avere ma la cosa più bella è augurarvi sempre il meglio, tanta felicità, di poter stare con la vostra famiglia, che è la cosa più importante e di essere felici che è l'unica cosa che conta".

Hai sempre saputo il tuo ruolo o ci hai messo tempo per decidere?
"Io ho fatto diversi ruoli, ho iniziato da attaccante sinistra, poi al centro, più dietro. Ho cambiato tante volte posizioni". 

Qual è il sogno più grande che vuoi realizzare da calciatore?
"Sono due. Uno poter vincere la Champions, ovviamente con la Juve e l'altro poter vincere il Mondiale con l'Argentina".

Perché ti chiamano la Joya?
"Ha inventato questo soprannome un giornalista perché quando ero molto giovane dicevano che tante squadre italiane volevano prendermi e il mio valore era alto, quindi come quello di un diamante". 

Quanto è importante indossare la maglia numero 10 alla Juve?
"Molto importante. C'è tanta responsabilità, lavoro ma sono orgoglioso di poter farlo. Da quando la Juve mi ha chiesto di indossare questo numero così importante per la storia di questo club, non è stato facile deciderlo perché sapevo cosa portava dietro ma al di là del numero, lo stemma davanti conta ancora di più ed è più difficile da portare perché dobbiamo essere pronti a dare il massimo per questa squadra". 

Cosa hai provato quando hai ricevuto la chiamata della Juve?
"Prima ho chiesto se era uno scherzo, in quel momento c'erano altre squadre che stavano chiamando ma ho detto subito al mio procuratore di chiudere alle altre telefonate e sentire solo quella della Juve. Da quando è arrivata la prima: non avevo più altro in meno". 

Per giocare bene è più importante l'affetto dei tifosi o della famiglia?
"Adesso che giochiamo senza tifosi è strano, ci manca tantissimo. Per me giocare senza tifosi è diverso, non è mai successo ma penso che la famiglia è sempre con noi a casa, invece i tifosi trasmettono un'energia speciale allo stadio. Da quando arriviamo, al riscaldamento, quando segniamo. Sono due cose diverse ma i tifosi allo stadio danno una carica diversa e poi anche la famiglia è parte dei tifosi". 

Dopo la tua carriera da calciatore, vorresti diventare allenatore, inseguire una passione e entrare nel management di una società, magari la Juventus?
"Ancora non ho pensato a come sarà il mio futuro, penso che il lavoro di allenatore non è facile, è molto impegnativo e difficile. Piano piano sto conoscendo altri mondi e mi stanno iniziando a piacere altri mondi che non c'entrano con il calcio ma non so se saranno parte del mio futuro. Spero di giocare per altri dieci anni e a quell'età penserò a cosa fare dopo". 

Che emozioni provi quando segni all'Allianz Stadium?
"E' unica, molto bella. Una sensazione di soddisfazione incredibile, noi lavoriamo tantissimo per quel traguardo, per vincere e festeggiare con voi. Non vediamo l'ora che torniate allo stadio per festeggiare con noi. Alla fine noi attaccanti vogliamo segnare e pensiamo a come esultare, ma è un'emozione unica: è difficile trovare le parole per descrivere quel momento. Sono tante emozioni di gioia insieme". 

A otto anni sapevi già dribblare bene?
"Con il tempo si impara. Quando ero giovane non ero così bravo, ho imparato giocando con gli amici, con i fratelli. Passavo tanto tempo con il pallone, la mamma si arrabbiava quando rompevo qualcosa. Cercavo sempre di imparare qualcosa e provare tante cose.