Gli eroi in bianconero: Rino FERRARIO
La storia calcistica di Rino Ferrario comincia a sedici anni, quando, dopo il Collegio Arcivescovile di Desio, viene mandato al Collegio di Saronno. Nella squadra del collegio, Rino figurava all’ala sinistra e faceva progressi ogni giorno. A sedici anni, un dirigente lo invitò a giocare nella Pro Lissone, squadra che, a quei tempi, militava addirittura in Serie C. Rino accettò: mancavano dodici giornate alla fine del campionato e il giovane Ferrario le disputò tutte, sempre come ala sinistra. Ogni partita un goal, anche se sotto il profilo tecnico non era propriamente un mostro.
Rino per qualche tempo si dimenticò del football: divenne geometra e, in possesso della maturità scientifica, pensò di dedicarsi all’architettura. Dopo due anni, interruppe bruscamente gli studi a causa della morte del fratello e della mamma.
Furono giorni difficili, tanto più che il servizio militare parve bruciare tutte le sue aspirazioni. Ad Arezzo, dove fece la naia, la sua carriera di calciatore iniziò veramente. In occasione di un torneo calcistico delle Forze Armate, il poderoso Rinone fu seguito con interesse dall’ungherese Hajos, allenatore della compagine aretina. Alla fine dell’incontro Hajos prese da parte Ferrario e gli disse: «Giocheresti volentieri nell’Arezzo?» Rinone accettò; grazie anche a un opportuno infortunio del terzino titolare, disputò dodici partite con la grande soddisfazione della vittoria finale a premiare l’Arezzo.
Nel campionato successivo (1948-49) la società assunse un nuovo allenatore, Piero Andreoli, il quale si interessò molto alla giovane recluta, nella quale vedeva qualcosa di più di una promessa e lo provò al centro della mediana. Fu una grande invenzione: tempismo, potenza, lancio teso e preciso; imbattibilità assoluta sui palloni alti, doti agonistiche ineguagliabili. Forse Rino era un po’ grezzo sotto il profilo tecnico ma Andreoli ne modellò la personalità tecnico e stilistica. Al termine di quel campionato molte società fecero la corte all’Arezzo. A Rinone si interessò Erbstein, tecnico del Torino Campione d’Italia; bussarono anche Sampdoria e Genoa, poi la Fiorentina, che pure aveva Rosetta come centromediano. La spuntò la Lucchese, società maestra nel portare a termine con colpi a sorpresa la campagna acquisti.
Nelle file della squadra toscana giocava tale Avanzolini, esperto e tecnicamente dotato. Nelle prime giornate di campionato Ferrario fu relegato tra le riserve; ma dopo le sconfitte di Novara (5-0) e di Torino (3-1), la posizione di Avanzolini non risultò troppo solida. Provarono Ferrario contro il Palermo: e il pericoloso attaccante Di Maso non toccò palla; sembrava la promozione definitiva, ma per qualche partita tornò in auge Avanzolini.
La consacrazione avvenne con la stupenda prestazione sul terreno dell’Atalanta, dove la Lucchese impose il pareggio per 1-1. Ferrario giocò forse la sua migliore partita a Lucca contro il Milan: la squadra rossonera vinse per 2-0, ma il grande Nordahl non riuscì a tirare neppure una volta. Proprio in quell’occasione Toni Busini, Generai Manager milanista, fece le prime avances per l’acquisto di Ferrario: la cifra (venticinque milioni) sembrò esagerata; allora si fece sotto Gianni Agnelli e Ferrario diventò bianconero nel 1950.
Era un simpaticone, sapeva prendere tutto con filosofia, anche dover rimanere all’ombra di Carletto Parola, da tutti definito il più forte centromediano del mondo. Ferrario seppe aspettare con diplomazia e pazienza il suo momento: nel frattempo, giocando in allenamento con il grande Carletto, riuscì ad apprendere dal grande maestro l’arte dei football. Parola si infortunò con il Bologna e, nell’incontro successivo, proprio a Milano contro il Milan del GRE-NO-LI, toccò a Rinone misurarsi nuovamente contro il Pompiere rossonero e, come la prima volta, fu una prestazione sensazionale di Ferrario, oramai noto ai fan bianconeri con l’appellativo di Mobilia.
Il centromediano strabiliò il pubblico con una partita definita dalle cronache uno spettacolo nello spettacolo: Rino anticipò Gunnar sullo scatto, lo annullò nel gioco di testa, effettuò interventi perfetti e salvataggi stupendi. Nella partita con l’Inter, gli riuscì di mettere la museruola a Benito Lorenzi e fece la parte del leone anche contro con la Spal, impegnata nella lotta per la retrocessione. La Juventus segnò dopo un minuto e mezzo, poi fu costretta a sostenere l’urto della scatenata squadra ferrarese. Quel giorno tutta la difesa dovette lottare con le unghie e con i denti per tenere a freno l’irriducibile Fontanesi.
Carlo Parola ebbe modo di guarire con tutta calma: Rinone stava dimostrando qualità eccezionali. Tredici gare di seguito (ventiquattro in totale in quella stagione) e poi la soddisfazione di concludere con una vittoria a Padova nell’ultima di campionato, con lo scudetto come premio straordinario. Rinone disputa 153 partite nella Juventus e dieci in Nazionale.
Partecipò anche allo scudetto della stella, con qualche anno (e qualche chilo) in più. All’allenatore Broćić, che predicava più partecipazione al gioco urlandogli: «Attak! Attak!» Rinone rispose: «Attaccati al tram!».
Calcio che non c’è più...
MAURIZIO TERNAVASO, DA “HURRÀ JUVENTUS” DELL’APRILE 1988
Nell’autunno del 1950 ha inizio la fulgida carriera bianconera di un atleta esemplare il cui nome è rimasto legato a splendide stagioni di ripetuti successi della squadra: stiamo parlando del brianzolo Rino Ferrario (detto Mobilia), il cui ricco palmarès comprende ben dodici stagioni in Serie A (di cui sette nella nostra Juventus), due titoli di Campione d’Italia e dieci gettoni in Nazionale maggiore. Il luogo del nostro appuntamento è un modernissimo ufficio sito in un prestigioso palazzo a due passi dalla centralissima Piazza Solferino; e dopo i convenevoli abituali, la mia prima domanda non può che essere la seguente: di che cosa si occupa attualmente, signor Ferrario?
«Sono il presidente di un’agenzia di marketing e pubblicità di un certo rilievo e sono diventato tale dopo una lunga esperienza vissuta sempre in questo settore, settore che continua ad affascinarmi enormemente in guanto creativo, come del resto ritengo creativo anche il gioco del calcio».
Qual è l’esatta origine del soprannome Mobilia che l’ha sempre accompagnata nel corso della sua carriera?
«Quell’appellativo ha una duplice chiave di lettura e si presta a una doppia interpretazione: ero Mobilia sia in quanto figlio di un mobiliere brianzolo; sia in virtù di un fisico decisamente poderoso, un armadio insomma».
Se non erro, lei è stato tra i pochi giocatori ad aver indossato sia la casacca bianconera che quella granata; per di più, dopo aver giocato per una decina di anni da difensore puro, ha concluso la sua carriera proprio nel Torino agendo da centravanti: come può spiegate queste, chiamiamole così, metamorfosi?
«Nel 1959, dal momento che, oramai trentatreenne, non rientravo più nei programmi della squadra, decisi, pur di continuare a giocare, di passare la barricata: così mi ritrovai in Serie B con il Torino, dove rimasi per tre stagioni (la seconda e la terza in Serie A) figurando un anno, con otto goal, capocannoniere della squadra: infatti, dal momento che mi era da sempre piaciuto spingermi in avanti, si era studiato un mio impiego nel ruolo di centravanti, e i risultati furono discreti».
E quali erano le caratteristiche del Rino Ferrario giocatore ante 1959?
«Ero un terzino-centromediano mancino dal grande temperamento, dotato di un buon fisico e di un ottimo colpo di testa; io credo che, salvo casi sporadici, si nasca calciatori in virtù di un’intensa carica agonistica e temperamentale: così imparai poco alla volta la tecnica dal grande Sivori, e la affinai con il passare degli anni. Mi sono sempre divertito come un pazzo a giocare a calcio, e di certo da piccolo non avrei mai immaginato che sarei riuscito a guadagnare dei soldi facendo ciò che più mi piaceva».
Avendo smesso di giocare da oltre venticinque anni, l’amore per il calcio in genere le è venuto meno, o invece continua a essere un assiduo dello stadio?
«Devo confessare che adoro tuttora enormemente il calcio; pur, essendo di fede bianconera, assisto domenicalmente a ogni incontro che si svolge al Comunale, e per di più vado sempre alla ricerca dello spettacolo: per questo sono stato in Messico ad assistere agli ultimi Campionati Mondiali».
Vede attualmente in circolazione, in campo nazionale, un giocatore dalle caratteristiche simili a quel Nordahl che ha dovuto marcare tante volte?
«Al giorno d’oggi vi è abbondanza di centravanti di manovra, ma non di sfondamento, sicché i giocatori di tal ruolo sono più portati a costruire piuttosto che a realizzare personalmente: ne deriva che il ruolo che fu dei Nordahl, Jeppson e Lorenzi viene a mio parere ora ricoperto esclusivamente da un paio di giocatori stranieri: Casagrande e Careca».
Un’ultima domanda, signor Ferrario: ritiene che l’essere stato a suo tempo calciatore, e per di più in una squadra dalla grande tradizione umana e storica quale la Juventus, l’abbia agevolata in seguito, nel corso della vita di tutti i giorni?
«In proposito non posso aver dubbi: l’ambiente della Juventus dà all’uomo una preparazione particolare, inculca ai giocatori un’educazione e una mentalità, un modo di ragionare e di vivere che soccorrono poi quotidianamente; inoltre si è sempre a contatto con personaggi dall’enorme spessore sociale e culturale, ed anche ciò contribuisce a rendere estremamente appetibile una pur breve esperienza calcistica bianconera. Personalmente devo dire che gli anni trascorsi con la casacca a strisce hanno nel complesso forgiato più che positivamente il mio carattere e la mia personalità, e se ho raggiunto un certo successo nel mondo del lavoro ciò lo devo in parte anche a quel fondamentale periodo di vita».