SOTTOBOSCO - Tavecchio "Foera di bal": lo ha deciso il "rottamatore". Due ex Milan hanno cercato invano di salvarlo. Il silenzio della Juve e di Lotito. Collina, l'uomo del "cartone" e quella parola che mette i brividi...

Andrea Bosco ha lavorato al “Guerin Sportivo“, alla “Gazzetta dello Sport“, al “Corriere d'Informazione”, ai Periodici Rizzoli, al “Giornale“, alla Rai e al Corriere della Sera.
21.11.2017 12:40 di Andrea Bosco   vedi letture
SOTTOBOSCO - Tavecchio "Foera di bal": lo ha deciso il "rottamatore". Due ex Milan hanno cercato invano di salvarlo. Il silenzio della Juve e di Lotito. Collina, l'uomo del "cartone" e quella parola che mette i brividi...
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Alla fine Carlo Tavecchio si è dimesso. Non perché ne fosse convinto. Non perché ne sentisse l'inderogabile etica esigenza. Tavecchio si è dimesso perché gli sono mancati i voti.

Difatti  le sue prime dichiarazioni sono state “sciacallaggio e ambizioni hanno impedito una discussione serena  in seno al consiglio federale“.

Tradotto: il vecchio squalo, dopo aver tentato di resistere a fauci aperte, ha capito il giro dei vortici e si è immerso in profondità.

Sciacallaggio? Immagino da parte dei media che, svegliatisi da un lunghissimo letargo complice, alla fine hanno preso un posizione ferma. Per dirla nel dialetto caro a Tavecchio: “Foera di bal“. Non  credo la frase abbisogni di traduzioni .

Ambizioni? Quelle di chi gli ha fatto mancare i voti. Lega Pro e Lega Dilettanti . Le ricostruzioni del “tradimento“ sono in atto. E i colpi di scena più che prevedibili.

Aveva parlato – incredibile - Giancarlo Abete. Non certo in favore di Tavecchio. Ma soprattutto per due volte a stretto giro di posta aveva parlato Malagò. Uno che non parla se non ha le spalle coperte. E questa volta le sue spalle erano coperte dal ministro dello sport, Lotti, previa evidente consultazione con Matteo Renzi. E' il “rottamatore“ che ha deciso di staccare la spina del respiratore.

E quindi Tavecchio, l'uomo che aveva “voluto farsi re“ è caduto. Nonostante il tentativo di soccorso in extremis  da parte di Sacchi e Adriano Galliani “mediatori“ (richiesti) nel tentativo di convincere Ancelotti ad accettare l'offerta della Federazione prima del consiglio di lunedì .

Missione fallita: per fortuna Ancelotti è un uomo di buon senso che detesta le avventure e le situazioni raffazzonate.

Silenti i grandi club sulla vicenda (ad esclusione di Cairo e De Laurentiis ), Juventus compresa, spicca l'assordante assenza di parole di Claudio Lotito.  L'uomo dalla memoria lunghissima e dagli elefanteschi rancori.

Una vicenda orrenda, quella della Federazione, culminata nell'esclusione dell'Italia dal Mondiale  dopo 60 anni. Ventura che non si dimette e si fa licenziare per preservare il “malloppo“ residuo di 700.000 euro che la Federazione gli deve. Ventura che “sbrocca“ nei confronti della squadra un giorno prima della partita decisiva. Tavecchio, certo di andare al Mondiale, presuntuoso al punto di far prenotare anzitempo l'albergo della delegazione a Mosca e propenso, anzi deciso a cambiare timoniere - questi gli alisei circolanti - anche in caso di qualificazione .

Poi Tavecchio che piange, che confessa di non “dormire da 4 giorni“, ma che  si improvvisa tecnico,  che scarica ogni responsabilità su Ventura. L'ultima (gaffe) di un uomo che in vita sua, probabilmente, non è mai riuscito a palleggiare per tre volte di fila.

E poi Ulivieri, l'ex rivoluzionario che si incatenava ai cancelli, il rappresentante degli allenatori che aveva consigliato a Tavecchio di non dimettersi e che – a quanto si sa – non pare intenzionato a lasciare la carica di vicepresidente. Niente è più patetico di un barricadero che una volta  arrivato al potere diventa leader della conservazione .

Si va verso un commissariamento della Federazione. Le parole di Malagò sono state pietre tombali sulla voglia di Tavecchio di gestire la transizione. Commissariamento: una macchia che resterà sulla fedina calcistica del ragioniere brianzolo. Gira il nome di Collina. Attenzione: un Collina al quale andava stretta la dimensione nazionale, non accetterebbe mai di essere un pontiere. Collina in pista significherebbe, Collina per il futuro prossimo venturo. Al netto delle simpatie e delle antipatie  per l'uomo una candidatura forte. E soprattutto nel segno della discontinuità .

“Commissario“ peraltro è una parola che mette i brividi. L'ultimo a fregiarsene si chiamava Guido Rossi. L'uomo del “cartone“. Che con le sue decisioni ha contribuito ad incrementare l'astio e l'odio tra due tifoserie, già (storicamente) inimiche . 

Un quadro horror. Si cercherà poi di sostituire tela e cornice dopo il commissariamento,  con nuove elezioni .

Vademecum per i lettori.

Punto primo:  senza una riforma del metodo di elezione del presidente, nulla cambierà. Con reali possibilità di vedere Sibilia sul trono di Tavecchio . E' il calcio italiano, bellezze! Una contorta interpretazione della democrazia. Le società professionistiche che contano meno di quelle dei dilettanti. Meno voti, meno potere . La speranza è che la politica, intervenuta per una volta a proposito, imponga una riforma dello statuto e del sistema di elezioni.

Punto secondo: senza una ferma volontà di riforme, senza l'assenso dei club,  disponibili a rinunciare al proprio potere di veto,  non si andrà da nessuna parte. Un gattopardo, succederà ad un gattopardo.

Punto terzo:  serve un manager di spessore internazionale alla presidenza federale. 

Punto quarto: serve un programma. Che faccia piazza pulita di quanto finora non è stato possibile fare . E un nuovo Ct al quale venga data carta bianca nella gestione di tutto il movimento delle nazionali .

Punto quinto:  nessuno pensi che dopo l' immersione, Tavecchio non riemerga dagli abissi. E' un vecchio squalo, ma gli va riconosciuto di essere un grande combattente. Non mollerà, fino a quando potrà contare su amicizie e  connessioni. E' un uomo di sinedrio: conosce trappole, veleni, anfratti segreti. Conosce soprattutto l'animo debole degli uomini che l'hanno tenuto in piedi e alla fine lo hanno tradito. Va riconosciuto: a loro Tavecchio aveva dato l'indicibile. Ma gli uomini sono fragili e molto spesso vili e irriconoscenti.  

Punto sesto:  Tavecchio ha urlato polemicamente la sua difesa. Comprensibile dal punto di vista umano. Esagerato fino ad un comico “sono andato in Francia a giocare a boccette con i ragazzi“,  surreale per uno sproloquio in un ostentato francese,  presuntuoso nell'esprimersi, riferendosi a se stesso, in terza persona. Ieratico nell'anatema “dopo Tavecchio potreste piangere“ . Da “prima repubblica“ con il possibilista “potrei dare qualche consiglio per gli acquisti“ .

Punto settimo:  dal mio punto di vista Tavecchio non è migliore, né peggiore di altri . E' un italiano  senza nobili lombi, arrivato dove mai, neppure nei suoi sogni più arditi, avrebbe pensato di arrivare. Sempre in pista anche dopo qualche vistosa sbandata. Ci sono nel suo percorso responsabilità diffuse che sarebbe ipocrita ignorare: quelle di tanti presidenti “accompagnati al seggio“ a votarlo . Era inadatto mediaticamente e rappresentativamente. Ma qualche aggiustamento dal punto di vista economico e strutturale la sua presidenza l'ha fatto. E in Europa ha portato nei luoghi del potere gens italica.  E ha portato la Var:  con un protocollo, è vero,  infame. Ma azzardando una grande rivoluzione dal punto di vista tecnologico. Le polemiche non mancano, alcuni arbitri restano drammaticamente scarsi. Ma almeno sono evaporati i complottisti in servizio permanente: la ragione primaria per la quale Tavecchio sulla Var ha accelerato. E' poco, rispetto al tanto che doveva essere fatto. Ma l'eredità di Abete pesava, inutile nasconderlo.

Punto ottavo. Occhio alla valenza squisitamente politica. Tavecchio è un ex democristiano. Lo sono il presidente della Repubblica e del Consiglio. Ex democristiano è il segretario del Pd. Ex  democristiano è il presidente della Commissione che sta indagando sul flop delle banche in Italia. Il quesito, anche in chiave calcistico federale – nella consapevolezza che nessuno di quelli che ho citato possiede la statura di un Alcide De Gasperi o di un Aldo Moro – è sempre il medesimo: moriremo democristiani? Novanta giorni e sapremo.