Gli eroi in bianconero: Stephen APPIAH

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
22.12.2022 10:18 di  Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Stephen APPIAH
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© foto di Federico De Luca

Nasce ad Accra, in Ghana, il 24 dicembre 1980; sbarca, a soli diciassette anni, in Italia e nell’Udinese, Parma e Brescia da prova di grandi qualità atletica e di ottima visione di gioco. Un centrocampista tosto, con piedi buoni e capacità di contrastare come di inventare. Approda alla Juventus “lippiana” nel 2003, mettendosi in mostra, sin dalle prime amichevoli estive. Purtroppo per lui, la squadra fatica a riproporsi sui livelli delle due stagioni precedenti e anche Stephen, pur giocando parecchio, alterna momenti buoni ad altri incerti. Il bilancio stagionale è comunque di trenta partite e un goal, alla Sampdoria, nel congedo casalingo.
È l’estate 2004 il momento migliore della stagione di Appiah; capitano della Nazionale ghanese impegnata alle Olimpiadi di Atene, Stephen gioca un torneo su livelli altissimi, rivelandosi come uno dei massimi talenti dell’Olimpiade e si guadagna, così, la conferma in bianconero alle dipendenze di Capello.
La concorrenza del nuovo acquisto Emerson non lo aiuta, però, a trovare con continuità un posto da titolare, sicché il suo momento di gloria arriva nel finale di stagione; gioca, infatti, una grande partita nel 5-2 casalingo sul Lecce condito da un pregevole goal in contropiede e realizza un’altra splendida rete, nel commiato casalingo contro il Cagliari.
«Nei due anni di Juve sono stato benissimo, grande società, compagni fantastici, tutto bello. Ricordo che dopo il mio primo allenamento in bianconero andai a cena con Gigi Buffon, che già conoscevo dai tempi di Parma, e per prendermi in giro urlò: “Abbiamo il nuovo magazziniere tu che fai qua? Presentati!” ed io per tutta risposta replicai: “Amico invece di parlare a vanvera vai a farmi un’insalata senza pomodoro e cipolla, ma metti il tonno!”. Tutta la squadra scoppiò a ridere, anche mister Lippi e il direttore Moggi, ci divertivamo non poco».
Un degno congedo dai tifosi, prima di trasferirsi in Turchia, al Fenerbahçe; avrebbe dovuto essere il suo rilancio, invece va incontro a una serie incredibile di eventi negativi.

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Una telefonata allunga la vita, recitava un tormentone mediatico di qualche anno fa. Se a Stephen Appiah la vita si è allungata veramente non è ancora lecito saperlo, di sicuro è stata stravolta. Lo squillo di un cellulare e una voce amica dall’altro capo: «Pronto, Stephen? Sono Lilian Thuram. Lo sai che l’anno prossimo giochiamo insieme nella Juve?».
Un episodio bello e divertente, che il giovane talento ghanese condisce con tutta la sua immensa simpatia: «Stavo facendo le valigie per andare a giocare la Coppa d’Africa, in Ruanda, con la mia Nazionale. Arriva questa telefonata di Lilian, mio amico fin dai tempi del Parma, che mi dà questa notizia e mi dice che Luciano Moggi mi vuole parlare. Credevo fosse uno scherzo, ho chiamato il Direttore e quando lui mi ha convocato per le visite mediche ho capito che era tutto vero. Ora sono qui e sono molto contento e orgoglioso di essere un giocatore della Juventus».
È iniziata così l’avventura bianconera di Appiah, ultimo capitolo in ordine di tempo di una storia da tutta raccontare. Iniziata nel suo Ghana, ovviamente. Primo di quattro figli (ha un fratello, Albert, e due sorelle, Augustina e Vivian, la più giovane con i suoi quindici anni), inizia la sua brillante carriera negli Allievi di una formazione chiamata Mighty Victory. Il talento è limpido e non sfugge ai talent scout locali. A sedici anni arriva già il momento dell’esordio nella massima serie ghanese, nell’Hearts of Oak, oltre all’approdo nelle nazionali giovanili, vero e proprio trampolino di lancio per l’Europa.
Prima tappa, Turchia, Galatasaray. Sì, avete letto bene, proprio quel Galatasaray ora euro rivale della Juventus in Champions League. «Nel 1997, il mio procuratore ha portato me e altri ragazzi ghanesi a Istanbul. Sono stato un mese in prova, ma alla fine i dirigenti turchi hanno deciso di non ingaggiarmi perché ero troppo magro. Così, invece di restare in Turchia sono finito in Italia. Quando ero a Parma, prima della partita con la Fiorentina, ho avuto modo di incontrare Fatih Terim, che mi ha ancora riconosciuto. L’incontro in Champions League? Non posso che essere contento della vittoria nella partita di Torino, ora però voglio fare bene quando andremo a giocare in casa loro, per dimostrare che a suo tempo hanno sbagliato le loro scelte».
Invece di Istanbul e il Galatasaray, la nuova patria di Stephen diventano il Friuli, Udine e l’Udinese. Subito una maglia bianconera, segno di un destino che poi saprà ripetersi. Qualche problema culinario e un maestro di calcio e di vita come Alberto Zaccheroni. «Quando sono arrivato in Italia, non conoscevo il cibo, così mangiavo solo biscotti e gelati. Poi ho imparato ad apprezzare la cucina italiana e devo dire che meglio di così non potevo trovarmi. A parte questo, Udine per me è stata una tappa fondamentale. Sono stato accolto benissimo dai compagni e dai tifosi. Le cose sono andate bene, soprattutto grazie a Zaccheroni. Ricordo l’esordio a Milano contro il Milan e, la settimana successiva, quello da titolare nella vittoria per 4-2 sulla Roma. Il mister mi ha detto: “Stephen, se sbagli due o tre passaggi non fa niente, ma se ne sbagli quattro vieni subito in panchina”. Mi ha fatto ridere con quella battuta, ma lì ho capito che aveva fiducia in me».
Se la classe del giovanotto non era sfuggita in Ghana, figurarsi in Italia. Le grandi squadre cominciano a mettergli gli occhi addosso e presto arriva la chiamata del Parma, desideroso di continuare a tenere il passo della nobiltà del calcio italiano. Un’avventura che parte in ritardo a causa di un problema di salute che lo costringe ai box per parecchio tempo. «Nel 1999 sono stato costretto ad andare a Chicago per curarmi. Fortunatamente tutto è andato per il verso giusto e nel 2000 sono arrivato in Emilia. Anche qui mi sono trovato benissimo, ho conosciuto tanti bravi ragazzi, tra i quali Buffon, Thuram e Di Vaio che ho poi ritrovato qui alla Juve. Purtroppo non ho avuto la possibilità di giocare molto, c’erano tanti giocatori nel mio ruolo e gli allenatori che ho avuto non hanno creduto fino in fondo nelle mie capacità».
Estate 2002, nuova svolta. Il Parma presta il ragazzo al Brescia per regalargli un anno di continuità in campo. Ed è un successo. La simpatia e la disponibilità lo fanno entrare da subito nel cuore dei tifosi lombardi. La sua tecnica lo fa invece entrare da subito nei meccanismi di gioco di Carlo Mazzone. Risultato: trentuno presenze e sette reti, un bottino notevole per un centrocampista. Assolutamente incredibile per un ragazzo che in cinque anni non aveva mai assaporato la gioia del goal. «Un anno fantastico, in tutto. Ho trovato un gruppo molto unito che mi ha accolto a braccia aperte. Mazzone mi ha fatto giocare con continuità e così ho potuto disputare un gran campionato. L’Appiah goleador? Prima dell’esordio contro il Piacenza, il mister mi ha detto: “Hai un bel tiro, perché non ci provi?”. Grazie a Baggio e Toni che giocavano di sponda, ho così avuto molte possibilità di segnare».
Un feeling, quello con il goal, che si unisce a un altro. Il destino sembra rimetterci lo zampino: due partite del Brescia al Delle Alpi, due goal di Appiah. «Contro il Torino abbiamo fatto tutti una grande partita e abbiamo vinto con merito. Con la Juve non è andata così bene. Evidentemente avevo già capito che questo stadio mi portava bene. Spero di farne tanti altri di goal qui al Delle Alpi».
Una rete contro i suoi futuri compagni, contro il suo futuro tecnico, quel Marcello Lippi che già da tempo aveva inserito il suo nome in cima alla lista degli acquisti per la stagione successiva. Una rete che comunque non ha fermato la corsa dei bianconeri che, poche settimane dopo, hanno potuto fregiarsi del ventisettesimo scudetto. Ma come vedeva Appiah la Juve da avversaria? «La Juve è la Juve, il massimo. Si vedevano da subito le differenze con le altre squadre. Non poteva sfuggire il fatto che tutti giocavano insieme, uno spogliatoio fantastico. Devo confessare che mentre arrivavo qui, pensavo sarebbe stato difficile inserirsi perché ci sono grandi campioni. Invece tutti si sono dimostrati subito simpatici e aperti con me. Non ho potuto fare altro che constatare quanto fosse eccezionale questo gruppo».
Un gruppo, una squadra, ma sarebbe meglio dire un intero popolo, quello bianconero, che lo accoglie a braccia aperte. E il talento ghanese ripaga subito tutti. L’etichetta di rivelazione portatasi dietro dopo la stagione a Brescia, è presto sostituita con quella di campione. Grinta, classe e, soprattutto, un’incredibile naturalezza a fare in modo semplice anche le cose più difficili. Un innesto del tutto naturale negli schemi della squadra e negli affetti della gente. Appiah dà subito tutto alla Juve e la Juve regala subito ad Appiah la prima gioia, la vittoria della Supercoppa a New York. «Prima di arrivare qui, potevo vantare solo la vittoria di una Coppa Italia nel Parma. Meno male che è arrivata presto la Supercoppa. Devo abituarmi, perché la Juve sa vincere e mi può insegnare a farlo. Sicuramente questa è la squadra più forte in cui abbia mai giocato e con questa squadra voglio togliermi tante soddisfazioni. Fin dal ritiro estivo ho sentito i tifosi chiederci la Coppa dei Campioni. Ma io non ho ancora vinto niente e non mi accontento. L’ho detto anche a Del Piero: “Alessandro, voi avete vinto tanto, ma io no. Quindi voglio scudetto e Champions League”. Io voglio vincere qualcosa, anzi voglio vincere tutto se è possibile».
Idee chiare, il ragazzo. Vincere per la Juve, per se stesso ed anche per la sua terra. Per quell’Africa sempre più culla di giovani campioni desiderosi di imporsi in Europa e nel mondo. Africa che in Juventus fino ad ora è stata solo legata al nome di Oliseh, rimasto un anno a Torino senza troppa fortuna. Un motivo in più per Appiah per cercare di emergere in bianconero: «Uno che gioca in una grande squadra, come Juventus, Real Madrid o Manchester, deve rappresentare la bandiera dell’Africa. Giocando in Champions League si ha la possibilità di farsi notare anche nel nostro continente ed è bello che la gente africana possa vedere uno di loro impegnato in queste società così blasonate. Speriamo di continuare così».
Allora in bocca al lupo, Stephen. Che anche in Ghana e in Africa siano orgogliosi per le tue vittorie ottenute con la Juventus.