Armando PICCHI (seconda parte)

La storia di questo sfortunato allenatore, prematuramente scomparso.
17.07.2013 10:00 di  Stefano Bedeschi   vedi letture
Armando PICCHI (seconda parte)
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Inizia, come allenatore, sulla panchina del suo Livorno in serie B, nella stagione 1969/70, a campionato iniziato. Lo chiama il fratello Leo ed Armando rispose; gli amaranto navigavano in cattive acque, ultimi dopo il girone d’andata. Il Livorno si salva, chiudendo al nono posto. Poi arriva la proposta di Italo Allodi, figura storica del calcio nostrano, re del mercato, architetto della “Grande Inter”. Era la stagione 1970/71 ed a trentacinque anni Picchi, il più giovane allenatore della serie A, sedeva sulla panchina della “Signora” più blasonata e temuta d’Italia, quella bianconera.

«Il calcio mi piace moltissimo, ma non è tutto», diceva Armando, «non vorrei mai andare avanti a stento. La Juventus mi ha dato fiducia e tempo, sono nella migliore situazione possibile. Se dovessi fallire, tanto varrebbe cambiare mestiere; od allenatore della Juventus, con piena soddisfazione della società, oppure a Livorno a fare qualcosa d’altro».

Alla Juventus fu accolto con grande ammirazione, quella che meritano i grandi, leali avversari di un tempo. Debutt con una vittoria, a Catania, poi vennero le prime difficoltà a causa di una squadra che era stata costruita con giovani di belle speranze, che muovevano i primi passi della loro gloriosa carriera che li avrebbe trasformati in campioni, e veterani che fungevano da chiocce.

Tancredi in porta; Spinosi e Marchetti; Furino, Morini e Salvadore; il tedesco Haller ed il sardo Cuccureddu. Poi, Roberto Bettega, che in area avversaria svettava sempre su tutti; Fabio Capello che disegnava geometrie a centrocampo; Pietro Anastasi il saraceno, bomber di razza eccelsa.

E Franco Causio, leccese sanguigno dal talento cristallino, per il quale Picchi stravedeva. Di lui disse, prima della partita di Coppa delle Fiere contro il Barcellona: «Ho il problema di inserire in prima squadra Causio; più lo vedo in allenamento e giocare con la “De Martino” e più mi convinco che sia un giocatore di eccezionale avvenire. Sono certo che il suo turno verrà presto, ma non vorrei che si demoralizzasse troppo, restando troppo fuori dal giro».

Ci furono le sconfitte con il Milan di Rocco ed a Napoli, una limpida vittoria proprio su Herrera, che guidava la Roma, una sconfitta a Milano con l’Inter ed una bella vittoria a Firenze; fu un alternarsi di risultati che diede la sensazione che qualcosa di buono stesse maturando per un futuro glorioso e, che non fosse una sensazione illusoria, lo dimostrerà la vittoria dello scudetto dell’anno dopo.

La Juventus fin il girone di andata al quarto posto e cominci il ritorno con un clamoroso 5-0 sul Catania. Quella sera di fine gennaio Picchi fu invitato in televisione, alla “Domenica Sportiva”. Accett l’invito, a patto che fosse accompagnato da Anastasi. “Pietruzzo” era il centravanti della Nazionale, ma non stava attraversando un periodo di grande forma e Picchi lo aveva lasciato fuori squadra proprio nella partita contro i siciliani. Il presentatore della trasmissione, Alfredo Pigna, disse che, essersi presentato con Anastasi era una cosa da Picchi.

Difficile dimenticare quella domenica; dopo i filmati e le interviste di rito, Picchi lasci in fretta gli studi. «Non mi prenda per maleducato, signor Pigna, ma non mi sento niente bene».

Otto giorni più tardi, a Bologna, la Juventus stava perdendo 1-0, goal di Marino Perani su errore del portiere Tancredi. Mancava un quarto d’ora alla fine, quando volarono spintoni e schiaffi tra il “Barone” Causio ed il terzino del Bologna, Roversi. Intervenne Spinosi, nel parapiglia entrarono in campo i due allenatori: “Mondino” Fabbri e Picchi. L’arbitro era un giovane delle ultime leve, Gaetano Mascali di Desenzano sul Garda. Tir fuori il taccuino ed espulse Causio e Roversi, poi anche Picchi che ne disse qualcuna di troppo.

«Non è mai successo», mormor qualcuno in tribuna, «che un allenatore della Juventus sia stato espulso». Picchi usc dal campo con aria seccata, le mani infilate nelle tasche del cappotto, il bavero alzato sul volto scavato, non solo dall’arrabbiatura, ma questo lo si scoprirà più tardi. I fotografi scattarono le loro istantanee, senza immaginare che sarebbero state le ultime di Picchi. Sullo sfondo si notava l’arbitro che seguiva con sguardo severo, l’uscita dal campo dell’allenatore; gli era vicino Cuccureddu, le mani sui fianchi.

L’ultimo sole di una domenica di febbraio illuminava, lontano, il muro di folla; cos Armando Picchi, vecchio “Penna Bianca”, lasciava per sempre i campi di calcio.

Nell’ottobre del 1969 aveva sposato la bella indossatrice genovese. modella di “Grazia”, Francesca Fusco, dalla quale aveva avuto due figli, Leo, lo stesso nome del fratello, e Gianmarco. Proprio la nascita di Gianmarco aveva determinato un’altra svolta difficile nella vita dell’uomo che stava per riabbracciare il successo e la fortuna alla guida tecnica della Juventus. Sua moglie aveva sopportato le conseguenze di un parto difficile e, per un mese, era stata tra la vita e la morte, salvata soltanto dopo il terzo intervento chirurgico.

A quel tempo Picchi, ostacolato anche dall’inverno, si era sottoposto ad una vita sfiancante. Al mattino allenava la squadra, al pomeriggio raggiungeva Milano in auto, correva al capezzale della moglie, dormiva in clinica tre quattro ore per notte ed al mattino rientrava a Torino, per riprendere la routine quotidiana. Mai un pasto a tavola. Andava avanti a toast e birra.

A novembre, per, aveva accettato di disputare sul campo di allenamento del “Combi”, una partita fra tecnici della Juventus e giornalisti torinesi. Con il pallone fra i piedi aveva dimenticato tutto, correva con la leggerezza e l’entusiasmo del ragazzino, esaltandosi ogni volta che la sua squadra andava in goal.

Il male, per, aveva già cominciato a minarlo. Le rughe, sul suo volto asciutto, aumentavano di giorno in giorno. Visse ancora un momento felice, a Capodanno, nel ritiro di Rapallo con la squadra. Al suo fianco era, finalmente, riapparsa la moglie, magra ma pronta a ristabilirsi e si era fatta festa al “Covo” di Santa Margherita, con i giocatori affettuosamente attorno.

Di lui Salvadore un giorno disse: «Nella mia carriera non ricordo di aver mai parlato bene di un allenatore. Di Picchi debbo farlo, lui non lo sa ma giochiamo quasi sempre per lui».

Entr in clinica pochi giorni dopo; la prima diagnosi parl di mialgia sottoscapolare, poi, dopo un nuovo consulto, nel perdurare di dolori atroci, emerse la verità: Armando soffriva di un male incurabile. Quando, avvisati del terribile male, i giudici sportivi gli ridussero la squalifica causata dall’espulsione di Bologna, Boniperti si rec in clinica a dargli la notizia ma, affinché Picchi non sospettasse d’un gesto di pietà, gliela comunic con fare burbero.

«Ti abbiamo difeso, ma non lo faremo più: adesso che torni, devi essere più disciplinato, devi essere di esempio ai tuoi giocatori. Intanto, per il tempo che sei stato squalificato, ti verrà trattenuto lo stipendio».

E lui a difendersi con veemenza: « stato uno scatto d’ira, s lo ammetto, ho sbagliato».

O forse era già il male che lo minava a renderlo nervoso, oppure l’angoscia che gli era rimasta dentro dopo i terribili mesi passati al fianco della moglie messa in pericolo da un parto difficile. S’inteneriva, lui cosi apparentemente duro, al ricordo ancor fresco delle traversie della moglie, rivedeva quei tragici momenti, ignaro del dolore più atroce con cui stava per ricambiarla.

Tante volte, proprio per evitare che capisse, Allodi si sedeva vicino al letto, con matita e carta, a far progetti per rendere più forte la Juventus, la “sua” Juventus, una squadra giovane che ora bisognava far crescere. «Ti piacerebbe avere Tizio? Che ne diresti di cedere Caio?».

E lo sguardo di Picchi, nel volto scavato, diventava più lucido: «Che bella Juventus, faremo!»

«Ma tu devi sbrigarti a tornare: ho un giocatorino da farti vedere!»

«Certo che torno subito: io sono livornese, lascia che mi passi questo dannato d’un dolore (proprio a me doveva capitare un reumatismo cos!) e chi mi tiene più qui dentro? Un giorno o l’altro, senza che neanche vi avvertano, mi rivedrete allo stadio».

Invece, non lo rivedremo più allo stadio; operato inutilmente a Torino, fu trasferito in Liguria, a San Romolo, dove morirà il 26 maggio, un mercoled, mentre i suoi ragazzi stavano giocando la finale di Coppa delle Fiere, contro il Leeds. Erano le quattro di pomeriggio, l’ora piena delle partite.