Ciro Ferrara: "Dopo Napoli sono andato alla Juve per restare ad alti livelli. L'esperienza in panchina? Ho capito che allenare non era il mio mestiere"

29.11.2023 11:30 di  Giuseppe Giannone   vedi letture
Ciro Ferrara: "Dopo Napoli sono andato alla Juve per restare ad alti livelli. L'esperienza in panchina? Ho capito che allenare non era il mio mestiere"
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Intervenuto a "Radio Serie A con RDS", Ciro Ferrara, ex giocatore ed allenatore della Juventus, ha affrontato diversi temi:" 

Sulla carriera di Ciro Ferrara, tra Juventus e Napoli:
“Tra Juventus e Napoli c’è sempre stata grande rivalità. Quando i bianconeri venivano al San Paolo, c’era grande attesa: era una partita fondamentale per la stagione. È sempre stato così, io per primo sentivo molto la rivalità. Il mio periodo al Napoli ha fortunatamente coinciso con dei momenti di successo per la società, nei quali la partita contro la Juventus ha sempre rappresentato un periodo di svolta. Penso alla vittoria di Torino l’anno dello scudetto, penso alla vittoria in rimonta in Coppa Uefa, o allo storico gol di Diego Armando Maradona… e io, tra l’altro, ho esordito in un Napoli-Juventus: non potevano quindi che essere queste le mie due uniche società. Nel 1994 sono arrivato alla Juventus, era in difficoltà perché da nove anni non vinceva lo scudetto. Perché ho scelto di andare a Torino? Ero a fine contratto con il Napoli, mi avevano comunicato che per necessità di bilancio non sarei stato rinnovato. Scelsi di andare alla Juventus per un motivo: pensavo che i bianconeri mi potessero permettere di rimanere al livello che avevo raggiunto a Napoli. E così è stato. Napoli per me è casa, ho realizzato il sogno di tanti ragazzi di arrivare in prima squadra, che è coinciso con l’arrivo di Maradona a Napoli. La Juventus è stata una consacrazione, mi ha permesso di trovare nuovi stimoli e nuove motivazioni”

Sui primi ricordi da calciatore: 
“La mia è stata una carriera particolare: oggi si inizia nelle scuole calcio da piccoli, a 5 o 6 anni. Io giocavo nel cortile con gli amici di mio fratello, spesso in porta perché ero il più piccolo. Il mio primo vero provino è stato a 14 anni: mi si è stravolta la vita pochi anni, perché a 17 anni sono arrivato in prima squadra a Napoli. È stato tutto molto veloce, non ho avuto tempo di metabolizzare. Ho fatto anche altri sport, ma in nessuno c’era quel desiderio di diventare un professionista a tutti i costi. Con il calcio era diverso. La strada è stata una scuola, da Napoli e dalla Campania sono usciti grandi giocatori. Se in strada ho mai giocato contro dei “possibili” Maradona? No, di Maradona ce n’è stato soltanto uno”

Sulla malattia che ha dovuto affrontare da piccolo:
“Ho avuto il morbo di Osgood-Schlatter, capita a molti ragazzi nel periodo dello sviluppo se non si è formata bene la cartilagine. Avevo continui problemi e sono stato operato al ginocchio: per un mese sono rimasto in sedia a rotelle. Nonostante questo, giocavo comunque a calcio: mio fratello mi lanciava il pallone e io lo colpivo di testa. Sono sempre stato positivo a riguardo, non l’ho vissuta male”

Sullo scudetto vinto con gli Allievi del Napoli:
“Sono stati bei momenti, per noi era stato il primo successo e l’abbiamo vissuto in maniera incredibile. Eravamo convinti di andare in vacanza, ma cinque giorni dopo sarebbe stato annunciato Maradona allo stadio e il Napoli decise di organizzare una partita celebrativa prima della quale Diego ci premiò. Ho ancora una fotografia di Diego mentre mi premia, ero un bambino e mai avrei immaginato che 20 giorni dopo sarei stato convocato in prima squadra”


Sullo scudetto vinto a Napoli:
“Vincere a Napoli è speciale, è un qualcosa che rimane nella storia. Da altre parti c’è più abitudine al successo, la maniera di gioire è diversa. Vale di più uno scudetto vinto a Napoli che vinto altrove? Un trofeo è un trofeo, qualsiasi esso sia: è un successo dopo un percorso di sacrifici. Quando vinci gioisci, è chiaro che quando è la prima volta non la dimentichi mai. Lo scudetto più bello vinto dal Napoli? Il primo è stato qualcosa di incredibile. Anche quello dell’anno scorso è stato entusiasmante, hanno festeggiato napoletani in tutto il mondo”

Sulla dichiarazione di Cassano, secondo cui “Maradona ha vinto lo scudetto con degli scappati di casa”: 
“Ho già risposto in maniera diretta ed educata. Se mi ha dato fastidio? Si può immaginare. Non tanto per me, quanto per i miei compagni. Mi sono sentito in dovere di replicare. Ormai è passata, comunque vorrei sempre essere uno scappato di casa e vincere”

Sul rapporto con Diego Armando Maradona:
“Il nostro rapporto è nato nel momento in cui mi ha premiato al San Paolo. Il solo pensiero di allenarmi con lui e con grandi campioni era incredibile. Io davo del “lei” a tutti, dopo pochi giorni gli ho chiesto un autografo e lui ha fatto una dedica scrivendo il mio nome. Mi sembrava incredibile che lui, appena arrivato, conoscesse già il mio nome. Ho avuto la sensazione che mi avesse preso sotto la sua ala per farmi crescere immediatamente. Dopo un anno, sono diventato titolare, anche se ero pur sempre un ventenne. La capacità di Diego è stata quella di non far pesare la sua grandezza, questo è stato il motivo per cui chiunque l’ha sempre rispettato. Non si è mai messo al di sopra degli altri, non ha mai fatto pesare nulla a noi compagni. Se non abbiamo fatto abbastanza per Diego in certi momenti? Sì, è un rammarico che ognuno di noi si porta dietro. Ma a quell’età non potevo avere il carisma per metterlo in guardia. Sarebbero serviti professionisti per farlo uscire da certi momenti. Non so se il nostro aiuto sarebbe servito, Diego era particolare da questo punto di vista. Quando non stava bene, per noi la cosa importante era portarlo al campo: era l’unico modo per vederlo felice, distratto ma presente con i compagni. L’amore che ci ha sempre dato gli ha fatto meritare il rispetto assoluto sia per il calciatore sia per la persona. Ci sono stati due momenti per me importantissimi: uno di questi è quando si è ritirato alla Bombonera: sono stato l’unico italiano invitato quel giorno. L’altro momento è stato il giorno del mio ritiro, quando è tornato al San Paolo dopo 14 anni. È tornato per me e per salutare il suo pubblico: mi fece un grande regalo. Ci siamo ritrovati in altre occasioni, tutte le volte che mi vedeva correva ad abbracciarmi: gli ho voluto molto bene”

Su Diego Armando Maradona come calciatore: 
“Per me è stato il più forte di tutti i tempi. È stato qualcosa di diverso. Anche i più piccoli conoscono Diego, è nell’immaginario di tantissimi tifosi. Ha abbracciato tutti, senza distinzione: questa è stata la sua grandezza. Le cose più incredibili gliele ho viste fare in allenamento. Un ricordo fuori dal campo? Per me vederlo felice era importante. Penso a qualche serata in casa mia, con Pino Daniele a cantare e a Diego ballare. Ho in mente questa immagine”

Sulla morte di Diego Armando Maradona: 
“Ero da solo a casa, quando ho saputo della sua morte non volevo crederci. Ho spento il telefono, mi sembrava irreale. Ho fatto una telefonata soltanto per avere conferma: ero senza parole. Avrei voluto dargli un ultimo saluto, ma per restrizioni dovute al Covid non sono riuscito. Ne ho approfittato l’anno scorso per andare da solo a Buenos Aires e rivisitare i posti più importanti della vita di Diego. Gli ho dato un ultimo saluto, è bello pensarlo finalmente sereno e felice. Penso che sia davvero così”

Su Luca Vialli:
“Abbiamo parlato di Diego, ma è doveroso parlare anche di Luca Vialli. Ho vissuto dei momenti sportivi incredibili e due degli artefici di quei successi non ci sono più. Luca ha rappresentato il capitano per eccellenza, per carisma e capacità di trascinare il gruppo. Ci siamo sfidati parecchie volte e quando ero vicino alla Juventus mi chiamava spesso per convincermi ad andare. Ci sono tanti episodi che mi legano a lui, tanti bei momenti. È vero che mi voleva portare al Chelsea? Sì, questo è un piccolo rammarico. Avevo due anni ancora con la Juve e non me la sentivo di cambiare, ma un’esperienza all’estero mi sarebbe piaciuta. Quando è mancato, la sua famiglia ha chiamato a Londra pochi intimi: essere tra quelli mi ha fatto capire tante cose”

Sul rigore calciato contro l’Ajax:
“Non so perché ho tirato io. Qualche rigore con il Napoli lo avevo già calciato, ma non mi era mai capitato di essere il primo rigorista. In quella partita siamo arrivati ai rigori, il mister voleva che tirassi io nonostante avessi male alla caviglia. Ho deciso di calciare il primo: nel percorso dal centrocampo al dischetto ho cambiato mille volte idee sulla direzione, per fortuna è andata bene”

Su Marcello Lippi e l’esperienza da collaboratore al Mondiale 2006:
“Avevo smesso da poco, conoscevo i ragazzi e mi sentivo uno di loro. È stato un arricchimento del bagaglio tecnico. Lavoravo già come responsabile del settore giovanile della Juventus, ma quell’esperienza mi ha spinto a cercare di intraprendere la carriera da allenatore. È stata una bella esperienza, vissuta dietro le quinte perché era lui l’allenatore. Noi collaboratori dovevamo cercare di mantenere il gruppo unito in un momento storico complicato per il calcio italiano”

Sulla carriera da allenatore:
“È stato un errore allenare la Juventus? No, al posto mio chiunque avrebbe tentato. Col senno di poi posso dire che le cose non sono andate bene nel percorso. Quello era un momento in cui non avrei mai potuto dire di no. Nonostante tutto, l’esperienza mi ha fatto capire determinate cose. Ho capito che allenare non è il mio mestiere, non mi permetteva di essere il solito Ciro Ferrara e non mi faceva stare sereno”.