Bucchioni: "Nessuno ha detto la verità sulla Juventus, cioè che stiamo parlando di un ridimensionamento"

A “1 Football Club”, programma radiofonico condotto da Luca Cerchione in onda su 1 Station Radio, è intervenuto Enzo Bucchioni, giornalista e scrittore. Di seguito, un estratto dell’intervista.
Direttore, l’Atalanta poteva fare qualcosa in più per evitare un passivo così pesante contro il PSG?
“Cosa poteva fare? Tenersi Gasperini! Questa, al di là della battuta, per me era l’unica soluzione. Lo dico perché la squadra fondamentalmente c’è, ma è mancato lo spirito che Gasperini incarnava. In panchina lui guidava davvero la squadra: aveva una personalità enorme, anche nei gesti, in tutto. L’Atalanta degli ultimi nove anni era la sua creatura. Era una squadra allenatore-dipendente, più di tante altre. Il progetto era nato e cresciuto con lui. Sono passati tanti giocatori, ma lo spirito, la capacità di fare quel gioco, la testa che funzionava, era sempre grazie a lui. Ora fa un po’ fatica: vedo una squadra che si è un po’ sciolta. Prova a fare quel gioco, ma senza la stessa voglia, motivazione, grinta, capacità di stare insieme. Ieri sera ho visto una squadra fragile, non solo dal punto di vista tecnico, ma soprattutto psicologico.”
Per l’Inter è stata una vittoria che è sembrata più di nervi e di carattere che di programmazione. È d’accordo?
“Sì, assolutamente. Serviva solo vincere, e l’Inter lo ha fatto. Dal punto di vista dell’autostima, dopo due sconfitte di fila, era fondamentale. Anche un pareggio sarebbe stato un altro passo falso, invece così puoi ritrovare un po’ di serenità. Analizzando la partita, hai vinto con due colpi di testa di Thuram, con tempi di inserimento straordinari, ma contro un Ajax molto fragile, proprio come dicevamo per l’Atalanta. I giovani dell’Ajax hanno mostrato limiti, poca continuità ed esperienza. Non è più l’Ajax dei grandi tempi. L’Inter, dal punto di vista del gioco, non ha fatto una partita strepitosa. Ci sono ancora difficoltà in alcuni giocatori, penso a Barella. E anche qui, come per l’Atalanta, c’è stato un cambio importante di allenatore. Quando manca una guida forte, capace di tenere assieme tanti campioni, i problemi si vedono. Io vedo una squadra che gioca come l’anno scorso, senza idee nuove. È una grande squadra, certo, ma con difetti evidenti. L’unica nota davvero positiva è stata il coraggio di lanciare un giovane come Pio Esposito in Champions. Lo conoscevo bene già dallo Spezia: ha fatto 19 gol l’anno scorso e ha dimostrato di saper giocare anche per gli altri, non solo per sé stesso. Ieri ha confermato di essere pronto: l’Inter si porta a casa un nuovo centravanti che può diventare importante anche per il futuro della Nazionale.”
Veniamo alla Juventus, anche lei protagonista in Champions League. Crede che festeggiare un pareggio casalingo in extremis, seppur emozionante, dia un po’ il senso del ridimensionamento del nostro calcio?
“Festeggiare cosa? La Juventus? Al di là dei tifosi, mediaticamente c’è questa narrazione: la Juve è tornata, la Juve non molla mai. Ho sentito i commentatori post partita: nessuno ha detto la verità, cioè che stiamo parlando di un ridimensionamento. Qui siamo in presenza di un effetto emozionale. Recuperare all’ultimo fa emozione, certo, ma resta un pareggio. Come il 4-3 con l’Inter: sono prove di carattere, ma non bastano. La Juventus ha ancora difetti enormi. Non puoi portarti in casa l’avversario, restare in dieci nella tua area, lasciare che il centrocampista avversario tiri tre volte dal limite e faccia tre gol. È un difetto gravissimo che va corretto. Per diventare una grande squadra devi migliorare queste cose. Oggi la Juve non è ancora tornata. Ha fatto due risultati emozionanti, ha battuto l’Inter, ma i problemi restano: a centrocampo è andata in difficoltà perché i tre attaccanti non rientravano. Serve equilibrio. Poi certo, la Juve muove meccanismi enormi: tifosi, sponsor, comunicazione. Per questo c’è sempre la voglia di dire che è tornata. Ma la realtà è che deve ancora crescere molto.”