PJANIC A VANITY FAIR: “Salihamidzic mio idolo, con Allegri un gran rapporto, non mi capacito di quanto successo alla Roma...”

13.08.2019 16:10 di  Massimo Pavan  Twitter:    vedi letture
PJANIC A VANITY FAIR: “Salihamidzic mio idolo, con Allegri un gran rapporto, non mi capacito di quanto successo alla Roma...”
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© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

Miralem Pjanic ha parlato a vanity fair, ecco un estratto raccolto da tuttojuve.

 Da piccolo, in un Paese dove il calcio è in gran parte non professionistico, era considerato un marziano?
«In effetti sì, ero qualcosa che non avevano mai visto. Non passava settimana senza che i giornali locali parlassero di me, o degli osservatori che venivano e vedermi, del campione che sarei diventato».
La sua famiglia spingeva o frenava?
«La mia è una famiglia umile, senza idee strambe in testa: semplicemente, hanno rispettato le mie scelte. Compresa quella di andare a giocare al Metz, a tredici anni, nonostante ci fossero squadre più blasonate a volermi. I miei idoli erano i campioni bosniaci come Salihamidzic e volevo diventare come loro, far felice la mia gente. Quando ci siamo qualificati ai Mondiali, ho pianto per la felicità e l’orgoglio».
Dalla Bosnia siete scappati tutti insieme?
«Mio padre faceva il calciatore e girava il Paese. Ha capito per primo cosa stava per accadere, sentiva le tensioni, amici d’improvviso diventavano nemici, l’odio etnico negli stadi e nei villaggi. Ha preso due borse di plastica ed è partito, per prepararci il terreno».
Da emigranti, come siete stati accolti?
«Molto bene. Chi vuole costruire qualcosa in Lussemburgo lo può fare, vivere senza la paura di non mangiare o non avere un tetto. Lavorando, e con tanto sudore, ovviamente». 
Com’è il suo rapporto con l’Islam?
«Un rapporto normale, bellissimo, come si deve avere con ogni religione, senza estremismi, anni luce da quei pazzi che uccidono sotto la bandiera di Maometto».
Prega?
«Quando ne sento la necessità, ma non certo cinque volte al giorno».
Va in moschea?
«In quella di Torino no, non sono mai andato».
Quando ha iniziato a godersi la vita?
«Non è che me la goda poi tanto, sinceramente. Vivo attraverso il mio lavoro e attraverso mio figlio Edin, che ha sei anni, punto. La vita me la godrò quando avrò smesso col calcio».

Quello che è accaduto ai suoi amici De Rossi e Totti, bandiere liquidate, se lo spiega?
«No, non me ne capacito. Li ho sentiti e ne abbiamo parlato: sono dispiaciuti e loro stessi faticano a darsi una spiegazione. Totti ha voluto tirarsi fuori da una situazione che non gli stava bene, non s’identificava con le modalità di gestione del club, non era soddisfatto del ruolo ed era convinto di poter dare di più. Ma so che ci sta male. Quello che hanno fatto a De Rossi, poi, è davvero un mistero. Quando vedi partire i più bravi, anno dopo anno, ti fai delle domande. E alla fine ti stufi. Per Radja mi spiace, so che ragazzo e che calciatore è. Ma ogni tanto commette degli sbagli, è troppo diretto e troppo aperto, dovrebbe essere più intelligente e più discreto. Certo ha vissuto tutta la carriera così, e forse riesce a da- re il meglio di sé proprio in queste situazioni. Spero possa uscirne presto».
La stupisce che Allegri non stia allenando?
«Con lui ho un gran rapporto, ci sentiamo spesso. Vuole solo riflettere un po’. E quando avrà deciso, non avrà problemi a trovare una grande squadra».
Vi siete mai scornati?
«Certo, è normale. È uno che ti dice le cose in faccia, e idem io. Più che altro mi prende in giro, sostiene che appena arrivato dalla Roma non fossi in grado di fare passaggi più lunghi di cinque metri, e che se sono diventato un grande calciatore lo devo solo a lui. Ma quando sostiene d’essere stato il più forte centrocampista italiano della storia, a quel punto sono io a ridere».