Gli eroi in bianconero: Luciano FAVERO

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
11.10.2021 10:35 di Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Luciano FAVERO
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«Ero a conoscenza delle trattative della Juventus per prelevarmi dall’Avellino e mandarmi alla Lazio, quale contropartita di alcuni giocatori; partii per le vacanze con la consapevolezza di vestire la maglia biancoazzurra laziale. Fu proprio in vacanza che ricevetti dalla società la notizia del mutamento di programma; la cosa mi lasciò letteralmente incredulo e la mia felicità esplose nel più vivo entusiasmo. Poi è sopraggiunta una fase all’insegna della paura di commettere errori; essere accanto a personaggi di fama mondiale, mi ha fatto scaturire un senso di inferiorità e di imbarazzo che ha creato delle difficoltà al mio rendimento iniziale. Soprattutto, ero deluso dalla consapevolezza di vedere i tifosi juventini titubanti a un mio impiego nella squadra bianconera; molto mi giudicavano non da Juventus. È stato un periodo molto duro, poi, in una partita casalinga contro il Napoli, sono riuscito ad annullare Maradona e la gente ha cominciato a scoprire anche Luciano Favero, quale protagonista delle vittorie della Juventus».

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Quando arriva a Torino, nell’estate del 1984, e diventa immediatamente “Il Baffo”, Luciano Favero è ancora un giocatore giovane, 27 anni, ma ricchissimo di un’esperienza maturata sui campi della provincia e Trapattoni per sostituire Gentile ha bisogno soprattutto di un difensore rodato e affidabile, di spessore. A dire il vero, quel ricordare il passato fra club di non primissima fascia (Varese, Messina, Salernitana, Siracusa, Rimini e Avellino) è piuttosto ingeneroso nei confronti del giocatore nativo di Santa Maria di Sala, Venezia, perché le cinque stagioni trascorse in bianconero confermeranno sì la quantità, ma anche la qualità del gioco di Baffo Luciano. Ed anche l’affidabilità la mostrerà e la confermerà in oltre 200 partite con la maglia della Juve, quasi tutte da terzino destro, ma con ottime prestazioni anche al centro della difesa, e due gol. Il primo, il 27 ottobre 1985 a Udine: è il 2-0, al 50’ di una partita che poi vedrà i friulani segnare il gol della bandiera grazie ad una deviazione di Cabrini alle spalle di Tacconi. La seconda marcatura quasi due anni più tardi, a Torino: è il terzo gol bianconero nel 3-1 al Pescara.
Insomma, piedi buoni non solo per sporcare le giocate avversarie, ma anche per finalizzare a rete e per “battere” in un simpatico confronto a distanza il suo predecessore Claudio Gentile, che in bianconero di reti ne aveva messe a segno in totale una. Un confronto che oggi Luciano respinge con un sorriso. «Non sapevo di questo vantaggio su Claudio, ma naturalmente me lo tengo. La sua eredità non fu facile, soprattutto nei primi mesi, ma penso di essermela cavata bene anche grazie al fatto che per tre anni consecutivi non ho saltato una partita e i tifosi hanno fatto presto l’abitudine a vedermi con la maglia numero 2 della Juventus. I gol? Ricordo soprattutto il primo, all’Udinese. Io faccio un anticipo a metà campo e scatto in avanti, scambio con Serena e batto in diagonale Brini. Avevo i piedi buoni? Sì, sui cross giusti… Giocavo a destra, da terzino, ma all’occorrenza ho saputo prendere il posto sia di Brio che di Scirea, in quest’ultimo caso, ad esempio, quando Gaetano si infortunò nel corso della finale di Coppa Intercontinentale».
Cinque anni alla Juventus permettono di raccogliere molti ricordi e di poterli separare anche in maniera netta. «Il più bello è quello della Coppa Intercontinentale, al di là del risultato era già una cosa grandissima essere là. Poi ci sono stati momenti neri ma neri davvero. La sera dell’Heysel e quell’altra maledetta, nella quale anche se io non ero più alla Juve, imparai della morte di Scirea, povero Gaetano. Sì, le pagine felici sono state molte di più ma quel paio di nere sono state così profonde da essere dolorosamente indimenticabili. Torniamo alle note positive. I compagni: tutti straordinari. Lo dividevo la stanza con Stefano Tacconi. No, ci conoscevamo da prima di Avellino, perché avevamo fatto il militare insieme».
Dopo cinque stagioni alla Juventus, nell’estate 1989, le strade di Luciano e della società bianconera si separarono. «Sono andato a Verona, nell’ultimo anno di Bagnoli. Una stagione sfortunata, culminata con la retrocessione, presto riscattata solo un campionato dopo con la promozione della squadra affidata a Fascetti. Poi ho smesso, ad altissimo livello. In effetti sto ancora giocando in una squadra di Prima Categoria, ma soprattutto per tenermi in forma alla mia veneranda età. Sono tornato nel mio paese natale, ovviamente seguo con affetto una Juventus, che in questa stagione mi sembra aver trovato un eccellente equilibrio. Tutte le squadre hanno alti e bassi e in questo senso mi sembra che la Juve sia quella più abituata a gestirli. Il calcio di oggi? Sul campo è uguale al mio. È il contorno a essere cambiato».
Parola di Baffo? «Parola di Baffo, anche se li aveva anche Tacconi. E Boniek, ma erano chiari. E Rush, piccoli, quasi invisibili».
Parola di un giocatore che alla Juve ha dato moltissimo e che questo mese ci ha fatto piacere salutare per tutti voi.