Gli eroi in bianconero: Guglielmo GABETTO

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
06.09.2022 10:25 di  Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Guglielmo GABETTO
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Nel vociare della festa Guglielmo Gabetto, invece, si dà da fare – scrive Renato Tavella sul suo libro “Il romanzo della grande Juventus” – lui è un cittadino sul serio, per carattere. È estroverso. Ride e scherza, balla, sfodera sorrisi e ogni tanto si defila in bagno e accende da fumare. Sempre meglio “tirar due note” di nascosto, che mostrare l’abitudine in pubblica, pensa. Farsi vedere dalle persone, lì convenute, s’intende; perché in Borgata Aurora dov’è nato e abita, fuma anche per strada, se gli va. Ma in Juventus è meglio evitarselo, è preferibile non farsi ripetere da Mazzonis che «un giocatore, ancora più se giovane, le sigarette non le dovrebbe conoscere».
«E bravo il nostro Guglielmo», va intanto dicendo più d’uno. Nel sentir fare i complimenti a uno dei suoi gioielli, Beccuti s’illumina. Ne ben donde di gongolare il bravo allenatore delle zebrette, già giocatore juventino in tempi pioneristici. Lui solo sa con quanto amore ha supportato sin da piccolo questa macchietta che è Guglielmo, simpaticissimo, argento vivo in corpo, che in campo si tramuta in fantastici colpi calcistici.
Secco, scattante, autentica spina nel cuore delle difese avversarie, Guglielmo si impone subito all’attenzione del pubblico, per il modo dinoccolato di correre, per la prontezza di riflessi, per il modo impensato di crearsi varchi verso la porta avversaria. Un vero acrobata, che nessun difensore voleva marcare, perché, prima o poi, sul filo del fuorigioco, lo avrebbe sorpreso. Scaltro e avveduto come pochi attaccanti, possedeva un eccezionale senso della realizzazione.
Nell’estate del 1941 i dirigenti bianconeri, pensando che Guglielmo sia a fine carriera, commettono un errore gravissimo e lo cedono al Torino.
In granata è cinque volte Campione d’Italia e si aggiudica la Coppa Italia nel 1943. È uno dei più prolifici bomber del nostro calcio, è sei volte azzurro con la Nazionale A (cinque goal) e disputa una partita con l’Italia B. Muore a Superga, nella tragedia aerea nella quale scompare il Grande Torino, il 4 maggio 1949.
Se fosse rimasto juventino, avrebbe sicuramente battuto ogni record, in fatto di segnature quel magnifico centrattacco, che tutti volevano avere insieme e nessuno contro.

VLADIMIRO CAMINITI
Si era guastata la serenità della Juventus all’indomani della tragica fine del presidente Edoardo, le nubi all’orizzonte e nel cuore degli uomini avrebbero impedito ai responsabili juventini di riparare adeguatamente i danni, la Juventus era sopravvissuta a se stessa archiviando la sua quinquennale gloria negli occhi e nelle cose, a vantaggio di Bologna e Ambrosiana Inter. Il suo miglior piazzamento nell’anteguerra sarebbe stato il secondo posto alle spalle dei milanesi neroazzurri nel campionato 1937-38, campionato a sedici, in una formazione esperta e gagliarda (Bodoira; Foni e Rava; Depetrini, Monti e Varglien I; De Filippis, Varglien II, Gabetto, Tomasi e Bellini, altri titolari Borel II, Santhià, Borel I, Bergonzoni, Amoretti), ma già l’anno successivo alla conquista del secondo alloro mondiale, mentre i libri di autori ebrei e antifascisti venivano ritirati dalle librerie, e si sanciva a Berlino l’alleanza politica tra Germania e Italia, la guerra è alle porte. L’Italia invaderà l’Albania come premessa all’evento inesorabile.
E la Juventus? Pierone Rava ricorda quei giorni con nostalgia e rabbia. Ha dovuto scioperare in campo perché i dirigenti bianconeri gli riconoscessero i diritti ai giusti guadagni da professionista; pure, la difesa Foni-Rava è degna degli antenati Rosetta-Caligaris. Nel giugno 1940 si terrà l’ultima edizione dei Littoriali, e uno dei pulcini della Juventus è cresciuto, al campionato del secondo posto dà il suo contributo sonante di goal, ben nove. Pierone Rava me ne parla come di un ragazzo vivacissimo, coinvolgente con i suoi scherzi e la sua perenne allegria.
Sa forse ciascuno di noi cosa gli riservi il destino? No certamente. Guglielmo si imbrillantina i folti capelli neri, e svicola in camp o ai difensori, velocissimo, frustante, con il suo dribbling secco in corsa, con le sue impensabili acrobazie coglie al volo le traiettorie dei palloni più difficili, segnando bellissimi goal. Ma è bello che nell’animo del collega anziano lasci subito l’impronta di uno stile originale, i sarcasmi e le risatine del giovane Gabetto non saranno mai dimenticati da Rava.
Incredibile ma vero che la Juventus se ne priverà presto, illudendosi di averne già spremuto tutti gli estri. Gabetto passerà nel Torino nell’estate del 1941, giorni di guerra, e vi inizierà una seconda più fulgente carriera, prima di quel botto mostruoso confermando tutte le doti di estro e di tecnica con altri 120 goal che, aggiunti ai 103 juventini lo tramanderanno tra gli attaccanti di più vivida classe di tutto il nostro calcio. Una classe fatta di coraggio e dedizione professionale.