Gli eroi in bianconero: Flavio EMOLI
«Giocare nella Juventus è stata un’esperienza che ha indelebilmente marchiato la mia vita. Forse sbaglierò, ma il fatto di essere stato uno della grande Juventus mi fa sentire, ancora adesso, importante, quasi di un livello superiore. Anche se so che i meriti di tutto ciò sono in minima parte miei».
Laterale di carattere indomabile e di ottima tecnica, è il comprimario ideale dell’argentino Sivori per il quale si sacrifica in rincorse asfissianti. «Il ruolo assegnatomi prevedeva che giostrassi da mediano difensivo, mentre Colombo si muoveva un po’ più avanti. Ma il buffo era che, mentre Boniperti mi spronava sempre ad avanzare, Ferrario cercava in tutti i modi di frenarmi. Insomma, ero il classico uomo di spinta, il maratoneta di centrocampo in genere ben preparato fisicamente, tanto che alla fine degli allenamenti rimanevo regolarmente in campo per effettuare allunghi e cross continui a favore di Charles, che voleva perfezionare il colpo di testa. Passavo, poi, per un duro e cattivo, mentre non sono mai stato squalificato per gioco scorretto; se ero aggressivo lo ero all’inglese ed entravo sull’uomo solo quando c’era il pallone di mezzo».
Era soprannominato Cuore Matto, come il ciclista Bitossi e il povero Renato Curi. «Avevo un’anomalia congenita al cuore che venne fuori, per la prima volta, quando avevo 23 anni, a seguito di un elettrocardiogramma. Il responso di quell’esame lasciava poche speranze, tant’è che, tre giorni dopo, il dottor Umberto venne al campo e mi disse che, forse, avrei dovuto smettere di giocare. Fu un colpo tremendo. I medici, che all’inizio avevano erroneamente individuato gli esiti di un infarto, in seguito si resero conto che, quell’anomalia, spariva quando il cuore era sotto sforzo, ma la nomea mi è rimasta per tutta la carriera».
Scolpito nella roccia, caparbio e generosissimo, Emoli, elargisce tesori di energie su ogni campo d’Italia. Diventa così un giocatore molto importante per la compagine juventina, tanto da diventarne il capitano.
«Scendevamo sempre in campo convinti dei nostri mezzi, anche nelle giornate storte; in fondo, l’accoppiata Charles-Sivori garantiva almeno 50 reti a stagione, quindi potevamo dormire ovunque sonni tranquilli. Certo, non ci fossero stati i famosi dissapori di spogliatoio tra Boniperti e Sivori avremmo, forse, potuto vincere ancora di più, visto che eravamo i più forti in assoluto. Era davvero un altro calcio; pensavamo soltanto a segnare tante reti, quasi un centinaio a stagione e non ci preoccupavamo se, magari, ne subivamo due o tre per partita. Questa mentalità ci rendeva più simili a giocatori della domenica che a fior di professionisti. Eppure, quando scendevamo in campo noi, lo spettacolo era sempre assicurato».
Nei quadri bianconeri si ferma per otto stagioni: mette insieme 240 partite e 9 goal e lega il suo nome a tre scudetti (1958, 1960 e 1961) e a due Coppe Italia (1959 e 1960). Lascia la Juventus e si accasa al Napoli nell’estate del 1963, ottenendo la promozione in serie A della squadra partenopea, per poi terminare la propria carriera al Genoa, nel campionato 1967-68.
Emoli indossa in un paio di occasioni la maglia della Nazionale maggiore, con la quale esordisce il 23 marzo 1958, nella partita contro l’Austria. Completano il suo ruolino azzurro due presenze con la squadra B e una con la Giovanile.
ALBERTO FASANO, DA “HURRÀ JUVENTUS” DELL’APRILE 1982
Nato a Torino il 28 agosto 1934 e cresciuto nelle file dei ragazzi bianconeri, il tarchiato Flavio si fece ben presto notare come uno dei migliori prodotti dell’allevamento juventino.
La parola allevamento era ormai da tempo entrata nel vocabolario corrente delle società di calcio, sia sotto il profilo amministrativo che tecnico. Esso si può sostanzialmente definire così: un sistema organizzato e razionale per avviare i giovani alla, pratica del gioco, secondo le esigenze dei tempi, al fine di creare futuri campioni del domani.
Erano, quelli di Emoli, i tempi in cui, con Sandro Cocito dirigente responsabile e con Locatelli - Bertolini coppia di tecnici ineguagliabili, la Juventus aveva visto prosperare il proprio vivaio in modo favoloso. Basti pensare che nella formazione presentata al Torneo di Viareggio del 1954, giocavano quattro giocatori che, oltre a fare poi parte della prima squadra juventina, indossarono anche la maglia azzurra nella nazionale. Si trattava di Garzena, Emoli, Colombo e Vavassori; e di un periodo vicinissimo furono protagonisti anche Robotti, Mattrel e Stacchini.
Il nostro Emoli giocava mediano destro. Era un tipico mediano sistemista. E tutti sanno che il mutamento tattico da metodo a sistema aveva cambiato molte cose nel gioco.
Nel metodo il posto del mediano laterale era spesso il “refugium” degli incompleti; ma la qualifica di mediano era nobilitata dal centro, vero cervello motore della squadra. La marcatura del mediano metodista era quasi “ad personam” e questo giocatore si rendeva protagonista di arcigni duelli con l’ala da marcare.
A pensarci bene, tuttavia, dire che il posto di mediano laterale fosse il “refugium” era profondamente ingiusto. Il mediano doveva accoppiare le doti dell’incontrista, o dell’interdittore a quelle di battitore costruttivo; il mediano che rimandava a capocchia scadeva tra i paesani, ma il suo apporto al gioco rimaneva comunque sempre importante. Se l’uomo aveva classe diventava protagonista.
Il mediano sistemista propone quasi immediatamente la figura moderna del centrocampista. La sua posizione lo avvicina a quella del giocatore di scacchi, sempre in grado di misurare e vagliare con immediata prontezza le mosse proprie e quelle dell’avversario.
In molte squadre, il laterale sistemista può addirittura essere il regista. In alcune stagioni lo fu anche Emoli, pur se poi dovette cedere la bacchetta al biondo Boniperti e sacrificarsi al servizio del capitano.
La carriera di Flavio Emoli, all’inizio, fu un po’ difficile. Giocava in una Juventus avarissima di autentici assi: Boniperti e Præst, ormai avviato al viale del tramonto. I suoi compagni erano atleti coraggiosi e tenaci, dal gioco maschio e spericolato, come Bruno Garzena, il più dotato tecnicamente, Memo Oppezzo e Cesare Nay. Era una squadra dove tutti erano tenuti a faticare oltre misura, una squadra il cui gioco stentava sempre a decollare.
In quella stagione 1955-56 (la prima di Emoli come titolare) dovevano passare ben otto domeniche prima di gustare la gioia della prima vittoria.
Si era iniziato con un pareggio interno, avendo la Spal come avversario; in quella gara (conclusa sul 2-2) Emoli non aveva giocato. L’allenatore Puppo lo aveva fatto esordire nella seconda partita, la trasferta a Trieste, come mediano sinistro.
Poi c’era stata la dura sconfitta esterna ad opera di una Fiorentina che si sarebbe laureata Campione d’Italia. Quarta partita, il derby: finì a reti inviolate ed Emoli fu utilizzato come mezzala sinistra, ruolo nel quale giocò anche a Marassi contro la Sampdoria (sconfitta per 2-0). Ancora due pareggi con il Novara e a Roma, poi, finalmente, la prima vittoria di quel triste campionato, (senza Emoli in campo) a Torino contro l’Atalanta: 2-1. E la domenica successiva, il bis contro il Genoa, con rete vincente di Boniperti e superlativa prestazione di Emoli come interno sinistro.
Solo qualche tempo dopo l’amico Flavio tornò a fare il mediano e a sfaticare avanti e indietro per il campo. Il suo, tuttavia, era sempre un lavoro ordinato e preciso, fatto in funzione delle esigenze della squadra. Non è che si avventurasse in avanti solo per sentire il brusio della platea amica o per il gusto di farsi guardare, di imporre ostentatamente il proprio gioco ai compagni. Emoli sapeva conquistare la palla con forza e aveva l’intelligenza di batterla in avanti, con immediatezza, al compagno smarcato. Raramente i suoi disimpegni hanno messo in difficoltà la sua difesa, proprio perché le avanzate venivano fatte a ragion veduta, senza eccessivi sbilanciamenti in avanti, senza rompere le equidistanze tra attacco e difesa.
Emoli ebbe la capacità di acquistare una certa autorità nel proprio ruolo e di mantenere un alto rendimento per parecchie stagioni consecutive.
Ebbe, naturalmente, il premio per le sue doti, due maglie azzurre in partite importanti. La prima fu giocata a Vienna il 23 marzo del 1958 contro la temibile Austria di quei tempi: Flavio ebbe come compagni di avventura i bianconeri Corradi, Garzena, Ferrario e Boniperti. Gli austriaci riuscirono a superare gli azzurri con il punteggio di 3-2, dopo essersi trovati in svantaggio per 2-1.
Il 29 settembre del 1959, a Firenze, seconda gara internazionale per il medesimo juventino: un pareggio (1-1) con l’Ungheria forte di Alberi e Tichy, di Sandor e Fenyvesi. Si videro in campo, in quell’occasione, ben sette juventini: Castano, Sarti, Emoli, Cervato, Colombo, Boniperti e Stacchini. Una gagliarda prestazione di Emoli, citato da tutta la stampa italiana come centrocampista completo.
Fu quella la più grande soddisfazione per il giocatore bianconero, oltre a quella provata con la conquista di tre scudetti di Campione d’Italia.
Sul finire della carriera Flavio Emoli diede anche prova della duttilità d’impiego, operando come terzino d’ala. Fu il tecnico Paulo Amaral a vedere questa trasformazione da mediano a terzino. Ed Emoli si comportò come un Fregoli del calcio.
Esuberante, propenso a gettarsi nella mischia, là dove il gioco assurge a toni agonistici elevati, dote primaria di un combattente di razza, Emoli, pur cambiando ruolo, è riuscito a plasmare la sua condotta di gara, a sfrondare dal suo repertorio i rami secchi, a comprimere, cioè, quell’azione talvolta convulsa, seppur redditizia, che lo aveva inchiodato su un livello tecnico-tattico troppo limitato per le sue effettive possibilità.
Con Emoli terzino, la difesa della Juventus inquadrò a un certo punto in modo organico il suo gioco e il suo rendimento. Merito della mente Amaral, ma soprattutto del braccio Emoli, che anche in quell’occasione aveva fatto della sua professione una bandiera.