Gli eroi in bianconero: Carlo BIGATTO

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
29.08.2018 10:34 di Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Carlo BIGATTO
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La Juventus, nel suo cammino secolare, ha sempre contato su questi uomini, leader non solo in campo, che hanno unito anni e anni di gesta sportive. Senza scomodare Boniperti, si pensi all’importanza dei Combi, dei Furino, degli Scirea, dei Del Piero, tanto per citarne qualcuno. Nella oramai lontana età dei pionieri merita senza dubbio il titolo di uomo bandiera Carlo Bigatto. Lo ricordano gli anziani e lo testimoniano le foto sbiadite dell’epoca, nel suo caratteristico abbigliamento con un caschetto bianconero di tela a proteggergli i capelli, un copricapo curioso con due alette che scendevano fino alle orecchie. Tutto ciò, assieme a due baffoni gagliardi, gli dava un aspetto truce che in campo poteva andar bene per mettere timore agli avversari, ma che non era nella realtà lo specchio di quest’uomo integerrimo, onesto, leale.

Così lo descrive un ritaglio di giornale dell’epoca: «Giocatore finissimo, dribblatore imperterrito e tenace, conosce tutte le malizie del mestiere. Guai all’ingenua ala avversaria che gli capiti tra i piedi. È destinata ineluttabilmente a fare una pessima figura, a restare con un palmo di naso e senza pallone; a misurare la cotica erbosa per qualche trappetta ben dissimulata. Bigatto è infatti il giocatore dallo sgambetto amichevole. Altri sa fare miracoli con l’agilità invisibile delle mani; egli è invece una specie di manipolatore… coi piedi. Un corpo secco dalle scure gambe muscolose, una faccia risolutamente sagomata, tutta angoli, completata da una fronte spaziosa che arriva a metà cervice, cominciò a giocare nella palestra del Collegio San Giuseppe, disputando partite senza arbitro contro Marchi I e i suoi occhiali. Poi, giacché abitava presso Piazza d’Armi, s’arrischiò anche all’aperto e debuttò in terza categoria in un club errante, il Junior, che giocava con una sgargiante maglia rossa. Con Carlino, diventavano celebri in Piazza d’Armi Vecchia, Boggio e Spinoglio».

Il Junior, poi la Juventus. Entra nella squadra dei fondatori, i Donna e i Collino, la porta per mano allo scudetto del 1926, quello degli Hirzer e dei Munerati, quindi la cede ai Combi, agli Orsi, ai Cesarini, giocando ancora una partita nel dicembre del 1930, il primo anno del grande quinquennio. Accompagna per mano tre generazioni di bianconeri, poi i tendini di quel campione oramai trentacinquenne non riescono più a sorreggerlo ancora in campo.

Arriva alla Juventus nel 1913, a diciotto anni, esordendo come centrattacco. Ma non è il suo ruolo e presto si trasforma in mediano, destro o sinistro, alternandosi a Omodei o Maffiotti. Nel match di Milano contro il Nazionale-Lombardia si frattura una gamba e resta per tre mesi ingessato. Appena guarito, riprende il suo posto alla fine del campionato 1912-13 giocando con il veterano Capello, Dalmazzo, Peyer, Bona, Giriodi, Boglietti, Omodei, Montano, Arioni. Gioca tutto il campionato successivo e poi parte per la guerra, nella brigata di fanteria Pinerolo. All’armistizio si trova a Pola dopo aver vagato per tutti i fronti.

La leggenda vuole che arrivasse a fumare 140 sigarette al giorno. Forse è un’esagerazione, ma è senz’altro vero che Carlo Bigatto volle restare sempre dilettante a tutti i costi, rifiutando categoricamente stipendi anche quando, nel finale della carriera, giocava oramai con professionisti come Rosetta. Gli piaceva la sua libertà, non voleva che corressero rapporti di denaro con la squadra del suo cuore. Anche per questo poteva fumare le sue 140 sigarette al giorno. Come avrebbero fatto a dargli una multa?

Erano decisamente tempi eroici, c’erano personaggi eroici. Come Peppe Giriodi, che un giorno, a uno schiaffone del mediano Soldera del Milan, reagisce mettendosi sull’attenti e cercando di richiamare l’attenzione dell’arbitro sollevando una mano. O come Valerio Bona: il 22 febbraio del 1914, la Juventus gioca a Milano contro l’U.S. Milanese. Bona cade a terra dopo un urto con un difensore e l’arbitro Goetzloff decreta il rigore. Per uno scrupolo che oggi senz’altro fa sorridere, il direttore di gara ha un dubbio e chiede proprio a Bona se il rigore è giusto. Zio Bomba, così è soprannominato per la potenza del suo tiro, è il rigorista della Juventus, la tentazione è tanta. Ma risponde candidamente che no, la colpa è sua, è lui che ha travolto il terzino. La partita finisce 0-0, Bona non esce dal campo pentito per la sua lealtà. Un segno distintivo di onestà cristallina che contribuisce a rendere mitica la Juventus.