Gli eroi in bianconero: Antonio CABRINI

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
08.10.2020 10:30 di Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Antonio CABRINI
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Si è imposto subito come un ottimo terzino moderno: le sue qualità apparvero talmente evidenti, che anche in un club come la Juventus, rispettoso della tradizione e, soprattutto, delle gerarchie, decisero che sarebbe stata follia rinviare il lancio di quel giovanotto dal volto d’attore e dal fisico di atleta. La vita juventina di Antonio Cabrini inizia ufficialmente alle quindici di domenica 13 febbraio 1977 a Torino. L’incontro, con la Lazio, è vinto per 2-0 dai bianconeri.
Buon auspicio, del resto anche quello era un anno scudetto. 7 partite e 15 nel campionato successivo, tutte giocate ad altissimo livello. Quando la stagione del Mundial di Buenos Aires si apre, Enzo Bearzot decide che Cabrini avrebbe fatto parte della comitiva azzurra.
E così, il debutto in azzurro avviene nella più famosa ribalta del mondo.
Cabrini è nato l’8 ottobre 1957 nella fattoria dove, da 200 anni, vive la sua famiglia, fra i paesi di Casalbuttano e Casalverde, a pochi chilometri da Cremona.
Il nome della cascina è singolare: Mancapane, perché, si dice, in tempi remoti, una volta al mese, arrivava il gabelliere per riscuotere le tasse e gli abitanti protestavano che mancava tutto, anche il pane.
A 13 anni si trasferisce a Cremona, in casa di una nonna. Libri e gioco del calcio. Frequenta le medie, gli piacerebbe il diploma di perito agrario e arriva fino al penultimo anno quando l’impegno nel calcio diventa totale.
Il futuro campione del mondo gioca nel San Giorgio, squadra di Casalbuttano. Poi il salto nelle giovanili della Cremonese.
«Mi sono presentato da solo, avevo 14 anni. Cercavano ragazzini, quel giorno eravamo una cinquantina. C’erano diversi allenatori, fra i quali Nolli, ex giocatore della Sampdoria ai tempi di Baldini. È stato il mio vero scopritore, lui mi ha creato come giocatore.

Inizialmente giocavo all’attacco, ala sinistra. Negli allievi c’era bisogno di un terzino e Nolli mi mise lì».
Il football, allora, era ancora soltanto un gioco, ma presto sarebbe arrivato il debutto in Serie C: «Fu a Empoli, cercavamo un punto, mi resi conto che in questo mestiere c’era da lottare, ma potevo starci».
Tre anni con la Cremonese allenata da Titta Rota, poi l’Atalanta, in Serie B: 35 ottime partite e un goal.
Cabrini era in comproprietà con la Juventus che, a fine stagione sborsò, senza batter ciglio, i 700 milioni per il riscatto.
E in bianconero l’ascesa è rapida: la maglia da titolare, le convocazioni nelle Nazionali giovanili, l’ingresso nel Club Italia.
«Ho un carattere abbastanza espansivo e aperto, per cui non ho avuto difficoltà di ambientamento a Torino e non ho mai avuto problemi di solitudine; per questo devo ringraziare Tardelli e Scirea, due ragazzi straordinari con i quali ho legato tantissimo, sin dai primi giorni del mio arrivo alla Juventus. Non ho avuto nessun problema nemmeno in Nazionale; al mio esordio, in Argentina, i 9/11 della squadra erano bianconeri, quindi avevo la sensazione di giocare ancora nella Juventus».
È l’idolo delle teenager, elegante di un’eleganza alla moda, un po’ casual, forse un po’ vistosa e così, nelle rare partite mediocri, allo stadio, qualcuno lo chiama “Uomo Vogue”.
Nessuno lo discute come giocatore: è diventato The best in the world, più bravo dell’argentino Alberto Tarantini, più bravo del brasiliano Leandro.
Non beve, non fuma, ama leggere, soprattutto Hemingway; gli piace la musica, più leggera che classica, e apprezza Bob Dylan; al cinema lo hanno incantato Jacqueline Bisset e Robert De Niro.
Qualcuno gli ha anche suggerito di fare l’attore, con quel volto da bello dello schermo. Un giorno avrebbe sospirato: «Sarebbe bello girare un film sotto la regia di Ingmar Bergman».
Gira il mondo con la Juventus, ma nel cuore gli rimarrà sempre la sua fattoria e a Cremona corre appena può.
Quando decide di mettere su famiglia, conferma di essere oramai maturo. In campo il rendimento è sui livelli più alti: gli affondo verso la porta avversaria appaiono incontenibili.
«Per me il calcio è un fatto anche dinamico. Anzi, è soprattutto un fatto dinamico. Io non sarò mai un tattico», ha spiegato.
Ma quando gli viene chiesto di seguire le consegne, lo fa con scrupolo. Pochi si accorgono che accarezza il pallone, soprattutto con il sinistro. Come Sivori, del resto, o Puskás.
Un grandissimo, da primi cinque di ogni epoca nel suo ruolo; sa mettere il silenziatore ad ali veloci e temute, spingersi avanti e rifornire di cross gli attaccanti e, alla bisogna, è frequentemente in grado di risolvere personalmente l’incontro, sia di testa, eccellente tempismo ed elevazione fuori dal comune, sia su calcio piazzato, sia con ciabattate da fuori.
Una continuità di rendimento impressionante, fu fuori fase solo dopo il Mundial argentino; non seppe, infatti, reggere l’impatto con l’improvvisa fama.
Stuoli di ragazzine lo avevano eletto loro idolo, al punto che il Trap non esitò a rispedirlo in panchina; rischiò di perdere il posto anche in Nazionale (la concorrenza non era affatto male, Maldera, Baresi e, soprattutto, Nela).
Superato il momentaneo sbandamento, ritornò a essere il miglior esterno sinistro al mondo in quegli anni, nonostante gli antagonisti: l’inglese Sampson, il brasiliano Junior (bravissimo, ma in realtà centrocampista, dirottato sulla fascia solo perché quel Brasile aveva un numero impressionante di centrocampisti di grande valore: Socrates, Falçao, Cerezo, Batista e Dirceu), il francese Bossis, il belga Renquin, il tedesco Briegel (il grandissimo Breitner era stato oramai dirottato in mezzo al campo, per mere ragioni anagrafiche).
Tutta gente di assoluto valore ma che non poteva competere con Cabrini nel ruolo di esterno.
Con la Juventus totalizza 440 presenze con 52 goal. Vince tutto: oltre al Mondiale 1982, 6 scudetti, 2 Coppa Italia, una Coppa Campioni, una Coppa delle Coppe, una Coppa Uefa, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa Europea.