Spalletti: "La Nazionale? Alla squadra ho detto troppe cose, e non le ha fatto bene. Acerbi? La cosa è andata diversamente da come la racconta"

Intervenuto al "Festival dello Sport", Luciano Spalletti, ex ct della nazionale azzurra, si sofferma a parlare della sua esperienza come allenatore dell'Italia, facendo il punto su quello che non è andato per il verso giusto: "Ho commesso l'errore di trasferirgli troppo questo mio amore per il calcio. Poi sono successe delle cose ed ho sentito dire delle altre cose. Ho cercato di trasferire il mio modo di vivere questa professione, ma lì probabilmente ho sbagliato per averli intasati di cose dette e richieste. I calciatori invece ora hanno più bisogno di essere leggeri, perché le pressioni sono tante. Hanno bisogno magari di arrivare alla partita, ascoltare la musica in spogliatoio e queste cose qui. Ho tentato di far capire che il calcio è una cosa seria. Mi sono successe due cose antipatiche quando sono arrivati a prendere dei nostri calciatori in ritiro. Lì sono entrato negli ingranaggi a dire troppe di queste cose. E non ha fatto bene alla squadra. Noi dobbiamo sempre domandarci con che occhi e quali orecchie loro ascoltano e vedono le cose. Devo sempre essere bravo a capire: come arriverà questa cosa che sto dicendo, al gruppo? Una domanda che mi sono sempre fatto.
Il caso Acerbi? Sono sempre di più quelli che trovano delle scusanti o delle motivazioni per non assolvere i propri impegni, le proprie responsabilità importanti, che vanno prese. Sono sempre di meno quelli che ci mettono la faccia nel momento del bisogno, quando c'è bisogno di un confronto umano per andare a vedere cosa succede. La possibilità in questo caso c'era stata per dire quelle cose che ha detto. C'era un'altra convocazione di 20 giorni prima: perché non dici niente? Il giorno prima della convocazione poi lo chiamo e gli dico: 'Guarda, avevi ragione tu, perché bisogna sempre guardare il campo'. Il campo dice sempre chi risponde, lui aveva fatto gol al Barcellona ed era stato decisivo ad alto livello. Avevo spiegato che in campo aveva detto che lui fosse ancora un leader e gli dissi: 'Per questo ho pensato di convocarti'. In quel momento c'era Gatti infortunato, così come Buongiorno e Gabbia. Fra Mancini e Acerbi scelsi Acerbi. Quando ho telefonato, mi ha risposto il giorno prima della convocazione e gli dissi che lo avrei chiamato. E lui mi rispose: 'Se lei ritiene di chiamarmi, vengo'. Poi passò qualche giorno e mi mandò un messaggio per dirmi: 'Ci ho ripensato, non vengo più'. Allora l'ho richiamato e ha ritirato fuori la questione di Juan Jesus. In quella questione eravamo dovuti intervenire perché quelle sono cose delicate. Se lui è contento così, sono contento per lui. Ma la cosa è andata diversamente da come l'ha raccontata.
Come ho vissuto l'addio alla nazionale? Mi fido di me stesso, quando mi fanno allenare una squadra faccio come mi pare. Sono partito da quel campetto delle case popolari e nessuno mi ha regalato niente. Non ho mai avuto un procuratore, né come calciatore né come allenatore. Non perché ce l'abbia con i procuratori, ma perché magari un procuratore ti può aiutare in certe situazioni. Io ho fatto la scalata fino alla Nazionale da solo. Quindi andando ad allenare, se mi fanno allenare io sono a posto, non mi serve altro. Nell'Italia non mi mancava niente. A quest'Italia è bene dirgli che abbiamo tutto, altrimenti si vanno a creare pressioni".
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