Sfida epica ad Atene? Poco importa, la Juve è più forte e tanto deve bastare. A Napoli dominio bianconero targato Allegri. Alex Sandro può diventare un caso. Agnelli buon nome per la FIGC

Nasce a Bari il 23.02.1988 e di lì in poi vaga. Laurea in giurisprudenza, titolo di avvocato e dottorato di ricerca: tutto nel cassetto, per scrivere di calcio. Su TuttoMercatoWeb.com
05.12.2017 00:30 di  Ivan Cardia  Twitter:    vedi letture
Sfida epica ad Atene? Poco importa, la Juve è più forte e tanto deve bastare. A Napoli dominio bianconero targato Allegri. Alex Sandro può diventare un caso. Agnelli buon nome per la FIGC
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Un’epica battaglia attende la Juventus. Con quanta enfasi si potrebbe raccontare la sfida di Champions League che attende i bianconeri in casa dell’Olympiacos. Che poi, se vai ad Atene a giocarti buona parte della stagione, ci sta pure, di metterci un po’ di epica antica. Detto questo, però, la squadra greca è una delle più scarse della competizione, e quindi lasciamo da parte sia l’enfasi che le dichiarazioni di rito. Chi se ne frega del pericolo di sottovalutare l’avversario, di cui son pieni gli almanacchi del calcio: la Juve deve vincere e  basta. Per tutta una serie di ragioni che possiamo provare a riepilogare. Ma fondamentalmente per una questione molto semplice e che a volte ci sfugge: la Juve è più forte e tanto dovrebbe bastare. In sostanza, lo ha fatto capire anche Allegri, chiamando in causa la responsabilità della squadra.

Se così non fosse, basterebbe ricordarsi che i bianconeri si sono complicati da soli un girone sulla carta complicato ma non troppo, e che quindi sarebbe ora di rimettere le cose al loro posto. È già successo venerdì sera al San Paolo. Anche a rischio di essere autoreferenziale, penso che la vittoria in casa del Napoli confermi quello che avevo scritto la settimana scorsa: la Juve ha (aveva?) come limite se stessa. E non fa (faceva?) paura alle altre perché sembra (sembrava?) smarrita. I limiti emersi in questa prima fase di stagione non credo siano da ascrivere a fattori tecnici (continuo a pensare che in estate si potesse fare qualcosa di diverso, ma è un altro discorso) né propriamente di condizione (è vero che le squadre di Allegri carburano piano, ma non penso sia nella tenuta atletica il problema), quando di testa e di identità. La Juve resta, sulla carta, un passo avanti alla concorrenza, e quando riesce a essere davvero squadra anche il Napoli e il San Paolo possono cadere.

A proposito di Allegri. Parliamone: Spalletti primo sta facendo benissimo e viene portato (giustamente) in palmo di mano, Sarri ha costruito qualcosa di raro nel nostro calcio e viene altrettanto elogiato, Giampaolo e Inzaghi idem. Però ho come la sensazione che di Allegri si tenga a dimenticarsi. E anche qui rivedo un qualche parallelismo con Lippi: nessuno l’ha mai davvero considerato un grandissimo a tutto tondo, per esempio sotto il profilo tattico, però lui se n’è sempre fregato e ha riempito la propria bacheca di trofei. Stesso discorso per Allegri, estremamente sottovalutato. Un po’ fortuna, un po’ eredità di Conte: raramente ci si sofferma a vedere quello che il livornese ha costruito, o quello che riesce a fare nel corso di una partita. Al San Paolo l’ha vinta anzitutto lui. Ha scelto gli uomini giusti (a partire da Higuain), ha ingabbiato Sarri e ha soverchiato il suo (bellissimo ma) monotono piano di gioco. Credo che nel raccontare questa partita si siano commessi un paio di errori, prima e dopo. Prima, perché si pensa sempre al Napoli spettacolare e alla Juventus arcigna. Invece gli azzurri hanno la miglior difesa, e i bianconeri il miglior attacco: i numeri non sono tutto, ma qualcosa dicono. E poi perché ho letto (non dovunque, per fortuna) di una Juventus cinica (o peggio, provinciale) a fronte di un Napoli sprecone. In questo caso, i numeri sono davvero poco, se ci si ferma a contare possesso palla e tiri in porta. Il Napoli non è mai davvero andato vicino al gol, la Juve ha concretamente rischiato di fare il secondo. È questa la fotografia della partita, vinta in tutto e per tutto dalla Vecchia Signora e dal suo allenatore. È la dimostrazione che parlare di calcio bello o brutto non ha senso, perché per fortuna non esiste un solo modo di giocare a calcio, e non esiste un solo criterio estetico secondo cui valutare come una squadra lo fa. La notte del San Paolo può essere un momento cruciale della stagione, perché la Juventus si è riconosciuta come squadra, ha giocato e vinto come tale. La notte epica di Atene può anche essere non tanto epica, l’importante è che dia continuità a questo processo di costruzione della squadra.

Veniamo alle notizie un po’ più antipatiche. Cioè quelle emerse su Dagospia la settimana scorsa e poi rilanciate pochissime ore fa, sulla lite fra “anziani" e “stranieri”. Posto che sembra un giorno qualunque alle Poste, giornalisticamente è un tipo di notizia che in tutta onestà, per come era stata data inizialmente, non scriverei mai. Se mi racconti che è successo qualcosa, mi dici anche chi, come, quando e perché. Altrimenti io sono libero di non crederci. Dagospia ha corretto il tiro stasera: nel giornalismo moderno, un po' di fretta la si può anche capire, però quando si molla il carico bisogna comunque fare un minimo di attenzione. Alla luce dei nomi fatti (per la cronaca Alex Sandro, Lichtsteiner e Cuadrado) qualche dubbio rimane, anche perché sinceramente non saprei classificare Lichtsteiner, che mi pare sia eccome un senatore di questa squadra. Detto questo, pur essendo un sito di gossip, quello in questione è anche abbastanza affidabile quando si tratta di svelare altarini. Perciò, per quanto nebulosa e frettolosa, viene il dubbio che la notizia un minimo di credibilità ce l’abbia (oneri e onori loro, per quello che so io vera non lo è, ma ognuno ha le sue fonti). La mancata convocazione dello stesso svizzero, assieme a Mandzukic e Howedes, qualche dubbio nei maliziosi l'aveva alimentato. Dubbio, a prescindere dalla veridicità della notizia in sé, comunque fugato dagli ultimi aggiornamenti. Come rispondere dipende dalla società: se non c'è nulla di vero, oggettivamente, difficile andare al di là della smentita di rito. Se qualcosa dovesse esserci, alle volte i panni sporchi si possano anche lavare in pubblico. L’anno scorso abbiamo passato metà stagione a chiederci se ci fosse un problema Bonucci, e poi in estate è successo quello che è successo, senza che oggi l’opinione pubblica abbia un’idea più chiara al riguardo.

Chiudiamo le questioni antipatiche (poi passeremo a quelle di cui non frega niente a nessuno): la situazione di Alex Sandro, Dagospia o no, potrebbe anche diventare un caso. In campo lo è già, perché il brasiliano per ora è molto a di sotto delle proprie possibilità (a proposito, breve inciso: complimenti a Douglas Costa, si sta integrando molto meglio di quanto pensassi). Sul mercato, il bravissimo (ma non ditegli niente) Marco Conterio ci ha raccontato del rifiuto al maxi-rinnovo e della possibilità che in estate l’ex Porto parta per altri lidi. Sinceramente, tornando a Dagospia, è stato il primo nome a cui ho pensato quando ho letto “stranieri” (la metto fra virgolette perché mi fa ridere usarla seriamente in un contesto del genere, nel 2017). L’anno scorso ha fatto molto bene e ora qualcosa non sta funzionando, ma continua ad avere gli occhi delle big internazionali addosso, anche perché di terzini sinistri di quel livello (quello della stagione passata) ce ne sono davvero pochi in giro. Però siamo a inizio dicembre, fino a luglio c’è una stagione intera da vivere al meglio delle proprie possibilità. C’è tutto il tempo per, e direi anche la necessità di recuperare la situazione, venirsi incontro, evitare che da questione aperta diventi un caso vero e proprio. Insomma, fare quel mestiere che non mi azzardo a insegnare a nessuno, ma qualcuno deve pur fare.

Eccoci alle cose di cui non frega niente a nessuno. Che però sono le più importanti. Di tanto in tanto, io e altri miei colleghi, vi tediamo con questioni di politica federale. Che, appunto, non vi interessano. D’altronde già a votare ci va una persona su due, figuriamoci quanti possano essere interessati alla politica del calcio. Ce ne faremo tutti una ragione, noi che ne scriviamo e voi che di solito evitate di leggerci. Però è importante che i prossimi mesi diano inizio a un anno zero del nostro calcio. La mancata qualificazione al mondiale è solo la punta dell’iceberg, e penso che in fin dei conti c’entri anche relativamente poco. C’è invece tutto un sistema che ha bisogno di una cura, dai settori giovanili alla competitività delle grandi. Ci sono talenti che non riescono a sbocciare perché mancano sia le strutture che le opportunità, ci sono giocatori che a un certo punto della stagione sono costretti a mettere le scarpe nelle buste anziché nei borsoni. Ci sono squadre che si reputano big e poi rimediano figuracce europee da decenni. Se domani la FIFA dovesse organizzare un mondiale per club vero e proprio, delle italiane inviterebbe solo la Juventus. Un tifoso bianconero potrebbe pensare: perfetto. E invece no, perché le cattedrali nel deserto prima o poi crollano. C’è una riforma da portare avanti, ci sono le regole del gioco da riscrivere, ci sono facce nuove da introdurre e vecchie cariatidi da smaltire. Altrove ho scritto che Gabriele Gravina, attuale presidente della Lega Pro, possa essere un bel presidente per guidare il rinnovamento. Continuo a pensarlo. Però ci sono, ci possono essere, anche altre idee. Totti ha investito Damiano Tommasi, e anche lui sarebbe un bel volto per la rivoluzione, anche se penso che debba accompagnarsi a qualcuno un po’ più esperto di politica. Moggi ha proposto la figura di Andrea Agnelli. Ora, lascio perdere ogni discorso su Moggi, che a qualcuno sta simpatico e a qualcun altro antipatico. E lascio perdere anche il rapporto tra la FIAT e il nostro Paese, così complicato e pieno di ombre, eppure irrisolvibile e fondamentale. Agnelli (lo dico in maniera chiara: penso che il caso biglietti abbia poco fondamento e che finirà in una bolla di sapone) ha guidato la rifondazione della Juve, ha di sicuro le competenze per condurre anche quella del calcio. Sarebbe una storia che si ripete: nel 1958 fu proprio un Agnelli a prendere le redini del movimento dopo la mancata qualificazione al mondiale. Non ci andò tanto male.