Gli eroi in bianconero: Roberto GALIA

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
16.03.2022 10:24 di  Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Roberto GALIA
TuttoJuve.com
© foto di Federico De Luca

Dire cose importanti in perfetto silenzio è un privilegio degli uomini veri – afferma Maurizio Crosetti su “Hurrà Juventus” del maggio 1992 –. Dirle senza urlare, in un calcio ricco di eccessi, è impresa titanica. Eppure, Roberto Galia percorre questo strano mondo da tanti anni ed è riuscito a non cambiare, a non fare deroghe. Il bello è che, la sua, non è l’umiltà un po’ appiccicosa e retorica dei vinti, ma una serenità che deriva dalla piena coscienza dei propri mezzi e dei propri limiti; una «scheda» personale che il centrocampista bianconero tiene a mente e usa come cartina di tornasole della realtà: «Mi conosco, so di non essere un fuoriclasse ma un giocatore prezioso forse sì. Ho cambiato diverse maglie, sono sempre andato d’accordo con i miei allenatori e sempre ho avuto la precisa sensazione di essere utile. Non è poco».
No, non lo è. Troppo comodo incantare le platee in virtù delle doti naturali, della classe indiscutibile. Se nasci Platini o Baggio, la vita puoi complicartela solo tu. Ma se nasci Galia, tutto è più difficile dall’inizio: «Me ne accorsi appena arrivato alla Juventus. Quando toccavo il pallone, dalle tribune si alzava una specie di mormorio che pian piano diventava contestazione aperta. Quella sfera mi bruciava tra i piedi; avevo paura di sbagliare, non ci capivo più nulla».
Altri si sarebbero smarriti. Avrebbero deciso che la Juventus non faceva per loro. Roberto ha continuato la scalata con lo spirito del gregario: «Devo ringraziare Zoff e Maifredi, cioè i tecnici che mi hanno dato coraggio a dispetto del giudizio generale. E aver convinto gli scettici è stata la mia vittoria più importante».
Galia è un mix di saggezza popolare e tenacia. Nato a Trapani ma cresciuto a Como, sintetizza il meglio di due anime. Altra impresa notevole, in tempi di leghe e beghe, nord-sud: «Sono legato alla Lombardia, però non posso dimenticare la mia terra. Le esperienze di vita e sportive mi hanno insegnato che in ogni luogo ci sono persone ricche di contenuti e degne di essere conosciute. Il razzismo è davvero un atteggiamento assurdo».
Esistono giocatori che ogni allenatore vorrebbe. Ecco, Galia ne è il prototipo: Perché sa soffrire, capisce la partita, è tatticamente sagace, difende e attacca. E ha due piedi più che dignitosi. Non a caso ha segnato, da centrocampista-difensore, quindici gol in Serie A. L’ultimo «importante», contro l’Inter, addirittura da antologia: scatto «alla Schillaci», pallonetto «alla Baggio» e palla in rete. Boato della folla, quella stessa che non poteva vederlo: «Segnare è sempre importante, tifa sentire bene: ed io sono abbastanza abituato a segnare».
E difatti la Juventus ha vinto la Coppa Italia del ‘90 proprio grazie a una prodezza di Galia, a San Siro contro il Milan. Oltre 250 partite in serie A, più di cento con la maglia bianconera.

Eppure di copertine ne sono arrivate poche, di titoloni ancora meno. E ogni estate, il mediano gregario sente pronunciare il proprio nome tra quelli che potrebbero cambiare squadra. Salvo non cambiarla mai: «Sono abituato anche a questo e non ci bado, i giornalisti fanno il loro mestiere ed io credo che esista molta verità in quello che scrivono: ogni anno rischio di andar via, perché ci sono squadre e allenatori che mi vogliono».
Parole pronunciate senza un filo di presunzione o arroganza. Ma è un dato di fatto che quelli come Galia, contino più delle presunte stelle. Forza del cosiddetto «rendimento». O, per dirla con uno slogan pubblicitario, della «qualità costante nel tempo». «Il mio gioco» spiega Galia «ha pochissimi lampi e, quando mi riesce qualche numero a effetto, la gente si stupisce. È successo in occasione del gol all’Inter: nessun problema. Però io credo di offrire un contributo sicuro. I miei campionati non sono quasi mai condizionati da alti e bassi».
«È un giocatore ideale» spiega Trapattoni «perché con lui si va sul sicuro. Lavora con grande applicazione e altissimo senso professionale, non si fa mai trovare impreparato, è un titolare a tutti gli effetti anche quando non gioca. Ho sempre detto che per conquistare gli scudetti serve gente così. Un allenatore ha bisogno di certezze, deve poter ottenere un rendimento medio garantito: il principale segreto del successo è la costanza. Certo, poi devono scattare altri meccanismi, servono i colpi risolutivi, ma senza la base ogni discorso è inutile. Pensando alla squadra come a una casa, direi che Galia è un pezzo delle fondamenta».
Anche i compagni apprezzano questo siciliano di poche parole. «Come carattere siamo diversi» dice Tacconi «ma lo stimo molto. È un ragazzo intelligente, un gran lavoratore. E ha carattere. Roberto è sempre stato al proprio posto: una dote rara».
Esiste poi un’ultima qualità, forse la principale. L’educazione, la maturità di chi non ha mai fatto polemiche se relegato in panchina. La serenità di chi accetta di ricominciare daccapo ogni stagione, alla conquista di una maglia che, alla fine, arriva sempre, ma che non è affatto scontata. Anzi, è probabile che arrivi proprio perché rincorsa, sudata, voluta. Questi sono i silenziosi discorsi di Roberto Galia.
I numeri di Roberto: 217 presenze e 11 reti, 1 Coppa Italia e 2 Coppa Uefa. E, non ultimo, il rispetto e l’apprezzamento dei tifosi bianconeri.