Gli eroi in bianconero: Raimundo ORSI

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
02.12.2022 10:17 di Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Raimundo ORSI
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Alle Olimpiadi di Amsterdam, 1928, l’Argentina era arrivata seconda dietro l’Uruguay. La Stella di Amsterdam era stata l’ala sinistra della Nazionale del Plata: tutti dicevano che quell’Orsi era un uomo prodigioso e la Juventus decise di assicurarselo. I giornali di allora non pubblicavano fotografie; non esisteva la televisione, perciò vi era grande attesa (non soltanto a Torino) di vedere in carne e ossa quel fenomeno. Lo si immaginava un tipo grande e grosso, pieno di muscoli, con una grinta feroce; invece, quando arrivò con il piroscafo a Genova, si vide che era tutto il contrario, con grande sbalordimento degli juventini, che si credettero presi in giro.
Raimundo, Mumo come fu subito chiamato, era piccolino, magro e stretto di spalle, con una vita da sartina, un naso a becco che non finiva più, i capelli lucidi di brillantina con la riga da una parte e due occhi da furetto. Per di più portava un soprabito troppo corto e strettissimo, che, aveva rubato a un fratello minore.
Poi si seppe anche che suonava il violino, che faceva le ore piccole a eseguire tanghi lacrimosi, che sentiva tanta nostalgia per la patria lontana e si concluse che sarebbe stata una grande delusione. In più c’era un fatto decisivo; gli stranieri, anche se di origine italiana, cioè Oriundi, non potevano essere ammessi al campionato. Si trovò, comunque, una formula accomodante: Orsi non avrebbe giocato per un anno. Una specie di purgatorio. Ma la Juventus lo pagava ugualmente: 100.000 lire di ingaggio. 8.000 al mese (lo stipendio di un ammiraglio) più un’auto Fiat-509, di quelle con la ruota di ricambio appesa dietro, sul portabagagli.
Questo avveniva durante l’ultimo campionato a doppio girone, cioè nel 1928-29, vinto dal Bologna. Orsi lo si vedeva solo in allenamento e dopo la partita di campionato della domenica. La gente si fermava per vederlo, piena di curiosità e di scetticismo. E così Orsi cominciò a sbalordire. Qualche corsetta per il campo, poi si esercitava a tirare in porta dall’angolino del corner. Almeno otto volte su dieci il pallone si alzava con molle parabola, veleggiava, rientrava, si ficcava in rete sotto la traversa. Nessuno aveva mai visto una cosa simile.
Terminato l’anno di quarantena, Mumo poté debuttare in bianconero e fu subito convocato in Nazionale. Giocò 194 partite in prima squadra, fu settantadue volte in Nazionale (tra Argentina e Italia), e Campione del Mondo nel 1934. Nella Juventus segnò ottantotto reti, in tutti i modi: di destro, di sinistro, con il ginocchio, di testa (poco, per non sciuparsi la pettinatura), dopo una galoppata da solo o in mischia furibonda; segnò anche con il sedere, voltando la schiena alla porta, su passaggio a mezz’altezza di Giovanni Ferrari, con il quale si intendeva alla perfezione. Segnò anche su rigore, perché l’incaricato del tiro dagli undici metri, nella Juventus, era proprio lui, contrariamente all’abitudine vigente in quell’epoca, in cui il rigore veniva tirato dai terzini, che erano per tradizione tipi spazza tutto, dalla cannonata micidiale.
Il grande Bertolini, altro juventino pluri scudettato e Campione del Mondo, che ebbe la fortuna di essere il mediano dietro a Mumo, disse un giorno: «Orsi è assolutamente imprendibile. Quando era in vena e aveva voglia (non sempre) faceva cose strabilianti. Mai visto un giocatore come lui».
Rincara la dose Baldo Depetrini: «Credo che Mumo sia stato l’ala sinistra più forte di tutti i tempi, senza limiti di età. Aveva scatto, velocità, un perfetto controllo della palla e disponeva di un dribbling e di un repertorio di finte di corpo che, da allora, non ho mai più riscontrato in un attaccante».
Fermava il pallone di botto, lo lasciava lì in mezzo, davanti all’avversario, immobile. Lo stadio piombava in un silenzio esterrefatto, astrale. Orsi muoveva appena l’anca, il terzino abboccava, finiva a terra, Mumo era già lontano, naso al vento. Che cosa gli mancava, per essere perfetto? Forse un poco di grinta, fuggiva dalle entrate decise, probabilmente perché non aveva la potenza di un Caligaris o la stazza di un Monti. Ma sarebbe sciocco pretendere da Paganini che suoni anche la grancassa.
Se ne andò dalla Juventus nella primavera del 1935, ai primi sentori della guerra in Etiopia. Inutilmente Bertolini gli disse: «Guarda che sei un fesso. Cosa torni in Argentina, mentre qui c’è gente che ti sgancia i biglietti da mille come fossero noccioline!»
Scrive un giornale, nel maggio del 1935: «Orsi è partito domenica per Buenos Aires e probabilmente non tornerà più. Se ne sarebbe andato quasi certamente a fine stagione, ma la malattia di sua madre lo ha indotto a partire prima, con il consenso dei dirigenti juventini, che lo hanno festeggiato offrendogli anche un vistoso ricordo. Orsi ha così chiuso la sua carriera, eccezionalmente gloriosa, perché oltre all’avere conquistato cinque volte il titolo di campione italiano ha anche vinto il Campionato del Mondo e la prima Coppa Internazionale».
Ci lascia nel 1986; con lui scompare uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi, ma anche un grande personaggio, per quanto di affettuosa simpatia ha espresso durante la sua vita.

VIRGINIO ROSETTA
Mumo era un personaggio divertente, pronto a fare scherzi e ad accettarli, molto superstizioso e un vero maniaco della scommessa; scommetteva sulle vittorie della Juventus, concedendo vantaggi esagerati, scommetteva che personalmente avrebbe segnato un goal, scommetteva al ping-pong, al tennis giocato con il palmo della mano, al biliardo e, se eravamo al bar Combi, scommetteva sulla prima macchina che si fosse presentata con il numero di targa che finisse con cifra pari o dispari.
Una volta, in vettura ristorante, naturalmente si stava mangiando, Orsi era seduto al mio fianco e di fronte a lui sedeva un nostro amico tifoso che, abitualmente, ci seguiva nelle trasferte: Durando. Cosa propose Orsi a questo signore? «Tutte le volte che il suo accendisigaro si accenderà, io pagherò a lei 5 lire (somma allora favolosa) che lei invece pagherà a me in caso contrario».
Quel signore aveva una macchinetta quasi nuova di zecca e non voleva accettare la scommessa, perché troppo sicuro di vincere; ma Mumo insistette e il gioco incominciò. Al primo colpo si accese e Orsi pagò le sue brave cinque lirette; al secondo, al terzo e al quarto colpo non si accese. «Sei troppo nervoso ragazzo», gli disse Orsi. Anche il quinto colpo fallì fra l’ilarità generale, perché oramai tutti erano attorno al nostro tavolo a godere lo spettacolo. Il gioco continuò ancora, ma raramente quel signore riusciva ad accendere la sua macchinetta e cominciava ad accalorarsi. Ma finalmente si mise a ridere di cuore; aveva capito lo scherzo. Mumo gli soffiava sulla macchinetta tutte le volte che aveva deciso di vincere ma, naturalmente, non tirava troppo la corda e gli permetteva di vincere qualche volta. Con il ricavato della vincita Orsi offrì i liquorini a nome di quel signore.