Gli eroi in bianconero: Pietro FANNA

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
24.06.2022 10:20 di  Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Pietro FANNA
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Arriva alla Juventus nel 1977 dopo essersi messo in evidenza, nell’Atalanta, come uno dei talenti della nuova generazione. È molto dotato: tecnica individuale, velocità, fantasia, un calcio magnifico e, considerato che ha solamente 19 anni, si pensa che certe alcune agonistiche e di combattività verranno presto colmate: «Essere alla Juventus è una cosa magnifica, esaltante, il sogno di ogni calciatore e il fatto mi ha lusingato parecchio, anche se forse, da buon friulano, non l’ho dato da vedere».
Il titolare è il Barone Causio, ancora inamovibile e Fanna può vedere, imparare dal campione, fino al momento giusto per sostituirlo. Fanna è utilizzato in ruoli e mansioni non adatte alle sue caratteristiche. Seconda punta con Bettega, in altre occasioni al fianco di Virdis. Pierino Fanna, oltre allo scudetto conquistato nel ‘78, che lo vede più spettatore che protagonista, diventa comunque uno degli artefici di altri due campionati vittoriosi: ‘80-81 e ‘81-82.
«Sapeste quanto mi carico al pensiero che qualcuno creda in me! Ho superato in questo modo le perplessità che mi hanno assalito nel vestire la maglia bianconera. Si arriva a Torino e si prova l’impressione di toccare il cielo con un dito; poi, si rimane come schiacciati dal peso di tanta responsabilità».
Nonostante questi successi, Fanna non riesce completamente a convincere. Emerge una certa fragilità atletica e, nell’estate del 1982, è ceduto al Verona, dove troverà finalmente la sua vera dimensione che lo condurrà trionfalmente allo scudetto del 1985 e alla Nazionale. Eccellente nell’Atalanta, deludente alla Juventus, strepitoso nel Verona, di nuovo deludente a Milano, sponda Inter: è il tipico giocatore che deve essere nel cuore di una squadra, che deve essere sempre chiamato in causa, per il quale deve passare il gioco. Tutto questo è, chiaramente, possibile a medio livello, impossibile ad alto livello, con gente come Brady, Bettega e compagnia. Al primo dribbling non riuscito, si smarrisce, evapora, passano interi minuti senza che tocchi palla; con gente così, il Trap non è in grado di instaurare neanche un linguaggio comune, figurarsi un rapporto fruttuoso.
In poche parole, un grande talento bisognoso di essere coccolato, viziato e amato.

GIANNI GIACONE, DA “HURRÀ JUVENTUS” DEL MAGGIO 1982
In molti continuano a domandarsi chi effettivamente sia, calcisticamente parlando, Pietro Fanna da Moimacco, ventiquattro anni e ormai cinque stagioni di Juve sulle spalle. In pochi, molto pochi a dire il vero, almeno crediamo, possiedono la risposta sicura, quella con tanto di prova.
Il ragazzo di cinque anni fa è diventato uomo, ha messo su famiglia, ma queste, forse, son cose che riguardano assai più il personaggio che non il calciatore.
Che differenze, e quali similitudini eventualmente, ci sono tra quel Fanna, quello di Bruges tanto per esemplificare, e questo, contraddittorio eppure vivo, altalenante eppure consistente, in una parola difficile da capire e ancor più da spiegare?
Poiché non siamo tra quelli che hanno la risposta sicura, andiamo per approssimazione, e intanto ne parliamo, convinti che a molti interessi cercare vie magari nuove di avvicinamento al personaggio.
Che davvero rischia di essere lontano, dagli occhi come dal cuore.
Il ragazzo che approda a Torino da Bergamo, dove è idolo autentico, una specie di bambino prodigio capace di destare entusiasmi antichi, è già un tipo assai speciale, caratterialmente non ben definibile. Il primo impatto con i cronisti lascia interdetti personaggi navigati e abituati a fare i conti con ogni genere di giovin talento. Il ragazzo «c’è», si capisce che ha personalità e voglia di arrivare, ma è quasi spaventato dall’attenzione che lo circonda, sembra quasi chiedere il permesso di ritirarsi in santa pace e di uscire allo scoperto solo quando si sentirà pronto, caricato il giusto. Si intuisce al primo assaggio col terreno di gioco, al primo allenamento vero, che le doti ci sono, che il giovanotto mastica calcio come pochi altri, ma con una convinzione che va e viene, e più spesso la convinzione non c’è. Occorrono momenti particolari, climi speciali, per esaltare il ragazzo, la cui disarmante timidezza conquista comunque larghe fette di simpatia tra i supporters.
La stagione dell’arrivo di Pierino, del resto, ribadisce il legittimo intendimento della Juve a dominare la scena nazionale: la squadra sembra continuare sullo slancio dei 51 punti strappati l’anno prima, e molte cose notoriamente difficili riescono invece facili, quasi automatiche. Fanna è ala destra, ha sempre giocato ala destra ed ha le caratteristiche tecniche dell’ala destra classica. Con la maglia numero sette gioca un certo Causio, all’apice della condizione, e Causio proprio non si discute, ci mancherebbe altro. Allora Fanna ha chiuso prima ancora di cominciare? No, perbacco. Il calcio moderno richiede universalità, adattamento a più ruoli, a diverse incombenze. Fanna trova spazio al centro o a sinistra, e gli inizi sono assai incoraggianti. A Pescara, i suoi dribbling e le sue serpentine in progressione scardinano una difesa intera e regalano una vittoria di slancio. In casa, con la Roma, su un terreno infame, Pierino scavalla nel fango e va a segnare un gol antologico a Paolone Conti. Un gol che lo consacra beniamino dei fans, che gli dà fiducia, convinzione.
E poi, c’è la Coppa Campioni. La notte di Bruges.
Non è il caso di raccontare nei particolari; certi episodi di storia recente sono stampati nitidamente nella memoria. Per la stragrande maggioranza dei tifosi juventini, Bruges si identifica con un arbitro svedese in serata di cattiva vena che dà una grossa mano alla Juve per non consentirle di avere ancora qualcosa da vincere. Per molti, però, quella partita è anche la rivelazione di un talento grande, di uno che farà sicuramente parecchia strada. Di Pierino Fanna da Moimacco, insomma. Su un palcoscenico ostico, e in una serata assai poco favorevole agli exploit individuali, Fanna disegna una prestazione assolutamente da incorniciare, senza sbavature, con momenti lirici, di tecnica assoluta. Una specie di magia, forse irripetibile o forse no, chi lo sa. Certo, una gran bella serata, un contrasto stridente con l’esito della gara, che rimanda la Juve a casa a rimpiangere e meditare rivincite.
Bruges resta un episodio isolato, ahinoi. Ma è Fanna stesso un personaggio isolato, alle prese con sbalzi di umore che ne condizionano il rendimento nell’ambito magari di una stessa partita.
Il ‘78-‘79 ripropone eccellenti momenti di calcio alternati a fasi di involuzione anche tecnica. Qualcuno comincia a mugugnare, a dire che, con quel fisico, con quei mezzi tecnici, se non sfonda è solo e unicamente questione di carattere, di maturità. Ma si è maturi, a vent’anni? Si può esserlo o non esserlo. In passato, ci furono campioni grandi e maturi a diciassette anni e altri che non maturarono mai, pur avendo quella dote strana e indefinibile che si chiama classe. Ma Fanna, quel Fanna, ha classe?
Fior di tecnici, Trapattoni compreso, non hanno dubbi. Sissignori, Fanna ha classe, è un fior di campione allo stato semi-latente. Maturerà più tardi di altri, ma maturerà, se lo vorrà.
Nella primavera dell’80, in chiusura di un’altra stagione ricca di contraddizioni, Fanna innesta marce altissime e torna a far sognare. Segna all’Inter un gol da album dei ricordi, scartando tutti sulla fascia e facendo passare la palla tra palo e portiere, con millimetrica precisione. Perché Fanna sa dribblare su una moneta da cento lire, ma anche tirare. E quelle poche volte che si decide a tirare sono gol d’autore, come contro l’Avellino, in una strana partita di fine stagione, finita 3 a 3 con alcuni numeri d’alta scuola del friulano.
La partenza di Causio potrebbe rappresentare qualcosa di decisivo, per il destino di Pierino. Ma tutti sanno che non è così. Fanna, forse, per primo. La stagione del diciannovesimo scudetto ha avuto bisogno di parecchio Fanna, in ruoli e incombenze diverse. E Fanna è stato diligente, bravo o almeno bravino, ma sempre tentennante: un dribbling di troppo, un tiro col contagocce. Esplode Marocchino, che ha in partenza gli stessi problemi di Fanna, morde poco, anche se tiene piedi ottimi, ma alla fine vince Marocchino la sfida con Fanna, e la vince con la forza, la determinazione con la quale sradica il pallone dai piedi degli avversari e lo deposita a centro area per le giocate che decidono.
Fanna è meno potente di Marocchino, ma potrebbe essere più rapido, più veloce, più essenziale. Lo stesso Marocco, in tutta sincerità, lo ammette davanti a stuoli di cronisti.
E la storia si ripete, è roba di questi ultimi mesi, con l’esplosione di Galderisi, che ha cinque anni meno di Fanna, ma sembra che ne abbia dieci in più, quanto a determinazione, e, perché no, furore agonistico. La partita domenicale è una battaglia, dove si prende e si dà. Galderisi incarna alla meglio questo modo di vivere il ruolo offensivo. Fanna si approssima a incarnarlo, e magari presto lo riprodurrà al meglio: non mancano premonizioni, segni concreti. A ventiquattro anni, non sogna più gli svolazzi romantici sui campi dell’onor, ed ha capito qual è l’unica, sicura strada per arrivare alla meta. Crederci, fortissimamente, e considerare la panca come un trampolino di lancio, da cui decollare appena se ne presenta l’occasione.
Inutile recriminare o rimpiangere quel che poteva essere e non è stato, inutile anche appigliarsi alla sfortuna.