Gli eroi in bianconero: Massimo CARRERA

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
22.04.2022 10:26 di Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Massimo CARRERA
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Si mette in mostra con il Bari, tanto che nel 1991-92 è acquistato dalla Juventus. La squadra bianconera ripresenta Trapattoni in panchina, dopo il disastroso campionato del duo Montezemolo-Maifredi. «A un certo punto ho pensato che avrei concluso la carriera con la squadra barese. Sentivo parlare di possibili cessioni a grandi club, però alla fine non se ne faceva nulla. Credo che la Juventus abbia rappresentato davvero l’ultima chance, ma anche la migliore possibilità».
Carrera è schierato come terzino destro, ruolo che ricopriva anche al Bari e offre sempre buone prestazioni, culminate anche con una convocazione nella Nazionale di Sacchi. «Forse ho dato il meglio di me come libero, nel ruolo che continuo a preferire. Però, Trapattoni, mi ha quasi sempre impiegato in marcatura e mi sembra di essermela cavata. Non ho problemi neppure come terzino di fascia, posizione che tra l’altro mi consente di realizzare qualche goal. E, se c’è bisogno, non mi trovo male neanche a centrocampo».
Parole pronunciate senza presunzione, anche perché si tratta di rilievi quasi cronistici. La versatilità di Carrera è, infatti, fuori discussione e non si limita alle incombenze tattiche: perché questo difensore camaleonte passa con facilità pure da uno schema di gioco all’altro. Efficacissimo nel modulo tradizionale del Trap, a proprio agio nella zona. Questione di gavetta: «Il gioco a zona lo conosco bene, perché l’ho praticato per alcuni anni agli ordini di Catuzzi nel Pescara. Ritengo fondamentali quelle stagioni per la mia crescita professionale e umana, e pensare che gli inizi furono piuttosto difficili: restavo spesso in panchina e temevo di perdere la fiducia in me stesso. Invece, l’allenatore mi ripeteva di non scoraggiarmi, così ho tenuto duro e sono diventato titolare».
Con l’arrivo di Lippi, Massimo è schierato da libero, anche se, inizialmente è la riserva di Fusi, il quale, però, denuncia molte incertezze e Lippi butta nella mischia il già esperto difensore lombardo. Carrera entra stabilmente in squadra e comanda la difesa da vero leader, contribuendo all’esaltante stagione culminata nell’accoppiata campionato e Coppa Italia, tanto da essere definito da Lippi un vero fuoriclasse. Nelle stagioni successive, arrivano Vierchowod e Montero e Carrera parte quasi sempre dalla panchina ma, tutte le volte che è chiamato in causa, offre ottime prestazioni. Nell’estate del 1996, è ceduto all’Atalanta, dopo aver totalizzato 166 presenze con un goal e un palmarès di tutto rispetto: uno scudetto, una Coppa Italia, una Champions League, una Coppa Uefa e una Supercoppa Europea.
Ritorna alla Juve nel 2009, nelle vesti di coordinatore tecnico del Settore Giovanile. Ma nella stagione 2012-13 siede sulla panchina della Prima Squadra, a causa della squalifica di Conte e del suo vice Alessio. Ottiene ben sette vittorie (fra cui quella a Pechino contro il Napoli valevole per la Supercoppa Italiana) e tre pareggi (due dei quali a Londra contro il Chelsea e in casa contro lo Šachtar nel girone di Champions League).

“HURRÀ JUVENTUS” DEL DICEMBRE 2009
«Quando arrivavano i bianconeri a Bari, spuntavano un sacco dl amici e conoscenti che mi chiedevano un biglietto per andare allo stadio, perché una partita come quella non potevi perderla. Lo stadio era sempre pieno all’inverosimile e l’attesa per la gara era sempre spasmodica. Mi sono reso conto dell’amore per la Juventus a Bari anche quando giocavo a Torino. Fuori dall’albergo o mentre il pullman andava allo stadio era pieno di tifosi bianconeri. I miei ex compagni di squadra già giorni prima mi chiedevano maglie dei giocatori della Juventus. Anche se all’epoca non c’erano ancora scritti sopra i nomi, facevano a gara per avere quella di Baggio o Vialli. Questo a testimonianza della passione che c’è per la Juventus anche in Puglia».
E per un giocatore del Bari cosa significa giocare contro la Juventus? «Significa molto. È una gara in cui hai modo di metterti in mostra: sai che spesso è un’impresa proibitiva per cui devi dare il massimo ed anche qualcosa di più, ma al contempo non hai molto da perdere e puoi fare bella figura. Partita delicata quindi ma che può offrirti anche delle sorprese».
Sorprese come quella della stagione 1990-91. La Juventus di Gigi Maifredi prende una sonora batosta dal Bari. Tu sei stato uno dei migliori in campo in quella partita. «Ricordo che la Juventus di Maifredi fino a quella gara stava disputando un buon campionato. Noi giocammo benissimo, aggredendo dal primo minuto i bianconeri non concedendo mai spazio. Fu una vittoria meritata».
Quello era una Bari grintoso ma anche molto tecnico. «Sì, c’erano giocatori come Di Gennaro, Scarafoni, Monelli, João Paolo. E poi molti baresi, giocatori cresciuti nel vivaio del Bari e arrivati poi in prima squadra. Sono stati cinque anni molto belli. Abbiamo spesso giocato al di sopra delle nostre possibilità per portare a casa buoni piazzamenti. Dopo il primo posto in B nel 1988-89, anche in A siamo riusciti a fare bene».
Nell’estate del 1991, cioè l’anno dopo, il passaggio alla Juventus. Sulla panchina siede Giovanni Trapattoni. «Era una squadra in costruzione. In quegli anni abbiamo posto le basi per i grandi risultati che avremmo poi ottenuto qualche anno dopo. Nel 1991, quando sono arrivato, la Juventus si era piazzata così male da non poter neanche partecipare alle coppe, poi però, nel volgere di pochi anni, ancora con Trapattoni, abbiamo ottenuto buoni risultati. Secondi dietro al Milan in campionato il primo anno e, la stagione successiva, vittoria in Coppa Uefa. Una squadra forte anche se le mancava qualcosa per arrivare a dominare».
Cosa ricordi della tua esperienza con il Trap? «Grandissimo allenatore e grandissimo uomo. Aveva una passione incredibile che sapeva trasmettere a tutti, in particolare ai giovani. Finiti gli allenamenti spesso rimaneva lì per spiegarti alcuni movimenti, per migliorarti tecnicamente, negli stop, nei tiri. Un personaggio veramente carismatico».
L’arrivo di Lippi cosa cambiò? «Soprattutto la mentalità direi. È stato proprio quello, oltre all’arrivo di qualche giocatore, a farci fare il vero e proprio salto di qualità. Si entrava sempre in campo per vincere. Si correva per novanta minuti e si aveva sempre fame di vittorie. Eravamo partiti con un modulo, poi dopo la sconfitta a Foggia per 2-0 siamo passati al 4-3-3, più spregiudicato e aggressivo che ci ha permesso di vincere lo scudetto, la Coppa Italia e l’anno successivo la Champions League».
Dotato di una grande duttilità tattica, Massimo è impiegato da Lippi in più occasioni per coprire ruoli diversi in difesa. «Nel Bari giocavo soprattutto come terzino destro. Anche Lippi in alcune occasioni, a seconda degli impegni o delle emergenze, mi ha impiegato in quel ruolo. Ma giocavo soprattutto come centrale. Con Ferrara o con Kohler».
Tifoso della Juventus sin da piccolo, cosa vuol dire poter indossare la maglia bianconera? «È il coronamento di un sogno. Sin da: primi calci che tiri al pallone sogni di diventare professionista e di indossare quella maglia. Un sogno difficile da realizzare, ma proprio per questa ragione, ancora più emozionante quando si avvera».