Totti vs Del Piero: un capitano si vede anche dalle dichiarazioni

700 presenze e 300 gol con la stessa maglia sono numeri da extraterrestre, non da calciatore. E proprio questo è Francesco Totti, un campione dall’incredibile duttilità tattica e dalla capacità tecnica che non ha nulla da invidiare ai fenomeni che si sono succeduti negli anni (Messi, Cristiano Ronaldo e Luis Nazario da Lima a parte).
Capace di interpretare qualsiasi ruolo dalla trequarti in avanti, è un attaccante completo che è stato capace di numeri prodigiosi in grado di risolvere partite complicate. Unico handicap? Ha vinto poco. La sua amata Roma è circondata da un ambiente entusiasmante, che può comunque fagocitare tutto a seconda dell’andamento della squadra. La capitale è tosta, e purtroppo, nonostante il suo meraviglioso calore, non ha delle squadre abituate a vincere con continuità. Probabilmente è stato questo il suo grande peccato, aver deciso di incarnare il simbolo di una “Lupa” tanto bella quanto fragile, anche quando ebbe la possibilità di andare via, sobbarcandosi spesso sulle spalle pesi e prendendosi critiche immotivate. Ma questo è il destino di una bandiera: sacrificarsi per il bene della squadra in un ruolo eroico.
Dall’altro lato c’è Alessandro Del Piero, con numeri molto simili (705 presenze e 290 reti realizzate in bianconero), ed una fascia al braccio che li rende due facce di una stessa medaglia, con delle differenze comunque sostanziali. Alex ha giocato a Torino, in una città abituata a dominare con una regolarità disarmante ed in una società dove è fondamentale saper svolgere il proprio ruolo per permettere alla compagine di restare unita, sia nei trionfi che nei fallimenti. “Pinturicchio” non ha mai detto una parola fuori posto per evitare di destabilizzare l’ambiente.
Alex è stato il perfetto emblema di una Vecchia Signora che mantiene il suo DNA dalla nascita. Già nel 1934, Bruno Roghi, dalle pagine della Gazzetta dello Sport, dipinse perfettamente la situazione, ponendo l’accento sui valori del club: «Ancora una volta l’elogio della disciplina e della volontà. Ancora una volta il riconoscimento che la Juventus, parlando poco e sottovoce come s’usa nelle buone famiglie, non perde perché non si disperde. Le vittorie per essa sono numeri da mettere in fila e da sommare, non serbatoi di chiacchiere. É una squadra, quindi una società, che quando vince esulta, quando perde riflette. Altre delirano quando vincono, si flettono quando perdono. Il mestiere, per la Juventus, significa questo: il domani di una vittoria può chiamarsi sconfitta, ma il domani di una sconfitta chiamarsi rivincita. […] Sotto questo aspetto la Juventus fa bene a tenere cattedra. Bene a se stessa, bene ai suoi avversari, bene allo sport nazionale».
Alessandro è stato proprio questo, sia da giovane simbolo della Juve lippiana, che da attore non protagonista sostituito continuamente da Capello e messo in ombra da un gigante come Ibra, sia da Campione del Mondo retrocesso umilmente nell’inferno della serie B, che da mito omaggiato nel 2008 nel trionfo bianconero del Santiago Bernabeu, fino ad arrivare all’ultimo anno, quando, da comprimario, permise a Madama di riprendersi lo scettro d’Italia subentrando in corsa contro la Lazio ed il Cesena.
Mai una lamentela o una parola fuori posto davanti alle telecamere. La squadra veniva sempre prima si sé stesso, anche quando fu garbatamente silurato dal presidente Agnelli. Alex è stato un condottiero prima di essere un calciatore. Totti, esternando tutto il suo malcontento davanti alle telecamere di Raiuno non ha solo umiliato sé stesso, ma rischia anche di destabilizzare un ambiente che vede la sua Roma impegnata a Madrid nel ritorno di Champions League (compito più che arduo considerando la sconfitta dell’andata) e in corsa per il terzo posto in campionato.
Con tutto il rispetto, qui si vede la differenza fra un Signore del Calcio come Alessandro Del Piero ed un grande campione come Francesco Totti. Il primo è stato capace di stare in silenzio anche quando fu tagliato fuori da un club con cui era sceso fra i cadetti sei anni prima, il secondo si è sfogato ai microfoni della tv nazionale in quanto insoddisfatto per il trattamento ricevuto negli ultimi tempi.
Il calcio è un gioco di squadra e il bene del collettivo viene prima di quello proprio, sia per rispetto nei confronti di sé stessi, che dei compagni. Del Piero l’ha mostrato fino alla fine, Totti, con tutte le possibili attenuanti del caso, non l’ha fatto. Peccato.