La maglia va onorata. La Juventus non è un reddito di cittadinanza

Troppi giocatori non hanno capito il valore della maglia che indossano. Testa, gambe e cuore: a molti mancano tutte e tre.
14.09.2021 18:50 di  Enrico Danna   vedi letture
La maglia va onorata. La Juventus non è un reddito di cittadinanza
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© foto di Insidefoto/Image Sport

Ci sono maglie che pesano più di altre: quella bianconera è sicuramente una di queste. Di qualunque colore sia la divisa che si indossa, però, il primo “dovere” di un calciatore è sempre quello di onorarla. Questo, al di là dello stipendio percepito (che comunque ha la sua bella rilevanza): è una questione di rispetto non solo verso la Società, ma soprattutto nei confronti dei tifosi. Se in campo hai dato tutto, i tifosi lo capiranno e ti applaudiranno a prescindere dal risultato finale.

Da oltre due anni a questa parte, diversi giocatori della Juventus pascolano sul campo senza costrutto, con la testa altrove e la voglia rimasta tra le lenzuola delle camere da letto. Gente che dovrebbe “mangiare l'erba”, probabilmente va avanti a damigiane di camomilla. Certi atteggiamenti non casuali ma reiterati nel tempo, sono il sintomo di una grave difficoltà a stare concentrati e sul pezzo per tutti i 95 minuti della gara. Questione mentale, soprattutto: la testa fa sempre la differenza. Perché diciamolo: la rosa non sarà da squadra in grado di vincere la Champions League, ma nemmeno di quelle che possano farsi mettere sotto dall'Empoli o dal Benevento e dal Crotone nella scorsa stagione. Mentre prima gli avversari entravano in campo timorosi, ora entrano in campo baldanzosi: chiunque ha la convinzione di poterci battere. In casa e fuori. Insomma, da occhi di tigre a occhi da triglie lesse è un attimo. Alcuni giocatori della Vecchia Signora percepiscono il rapporto con la maglia bianconera alla stessa stregua di alcuni percettori del reddito di cittadinanza: stanno lì sul divano vivendo di rendita nell'attesa del mese successivo. E no, così non va bene. Si deve lottare, sudare e correre per meritarsela sul campo, quella maglia. In tanti, dimostrano di non averlo capito. Forse un giretto nello spogliatoio da parte di qualche ex giocatore, che ne so, un Montero per esempio, potrebbe schiarire le idee.

L'atteggiamento da divano si riverbera poi sul campo: gli avversari arrivano sempre per primi sul pallone, in qualunque zona. Chi perde palla, dei nostri, difficilmente rincorre l'avversario per tentare di recuperarla. Quando un nostro giocatore è in difficoltà, pare che i compagni siano più attenti a nascondersi che a proporsi per dargli una mano. Si pensa a fare il proprio compitino e basta (il problema è che almeno facessero bene quello). Quando si segna un gol, la luce si spegne. Quando si subisce un gol, la luce si spegne. Anche a Napoli, così come con l'Empoli, non c'è stata alcuna reazione nervosa, dopo il vantaggio partenopeo. Pochi falli di quelli “intelligenti”, molti cartellini collezionati per stupidaggini o sbadataggine. Scelte di gioco incomprensibili. Quante volte abbiamo visto uno dei nostri partire in contropiede con possibilità di sviluppare una azione potenzialmente pericolosa, salvo poi fermarsi e magari tornare indietro? Quante volte abbiamo sprecato ripartenze in superiorità numerica per pressapochismo e svagatezza? Quante volte ci siamo persi l'avversario su una ribattuta o una respinta del portiere? Già, il portiere che pare vivere nel mondo di Oz da almeno due anni a questa parte. Che sicurezze può infondere ad un reparto difensivo che già si vede arrivare avversari da ogni parte per via dell'inesistente protezione da parte del centrocampo?

Troppi calciatori sotto la soglia di rendimento accettabile. Inutile fare nomi e cognomi: tutti hanno gli occhi per vedere (tranne la Società che, evidentemente, è contenta del rendimento nullo di alcuni giocatori strapagati). Sono quasi tutti calciatori giovani, che dovrebbero, come si diceva prima, “mangiare l'erba”. Invece ciò che manca, è la fame, la cattiveria agonistica, la determinazione. Quella fame che ad esempio dimostra di avere Federico Chiesa. Ecco, se qualcuno volesse umilmente rimettersi in gioco e imparare da Chiesa in quanto a determinazione, voglia e grinta, non potrebbe che beneficiarne. E ne trarrebbe giovamento l'intera squadra. Anzi, l'intero gruppo, perché parlare di “squadra” oggi è sbagliato.

Una squadra è costituita da un gruppo di giocatori che lottano insieme per lo stesso traguardo. Nella Juve di oggi sono in pochi quelli che lottano, ancora meno quelli che hanno capito il valore della maglia che indossano.